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CkyMMRE LAPO DE' RICCI Gentilissimo Amico m on n rechi maraviglia s*io pubblico una nuova edizione della Geìiusalbmm£ Liberata del Tasso, ebbene questo Poema sia stato tante volte ristampato anche negli ukUni tempi , nessuno lo ha fatto nella forma delT ottavo , qual se- II sto a me sembra il piìi conveniente sì per la Biblioteca dell amatore come per il' Gabinetto deW uomo studioso. Ho procurato che la parte tipo^cifica riesca di una certa ele- ganza ^ ho scelta una buona quali- tà di carta ^ e vi ho a^iunto un :.; '.'piccpla:,TÌtratto delt Autore inciso * *..'* .àllsC/p.Mnta secca dal celebre Sig» ' *'."*-^4^^^ Morghen , con quella V y'nidè'siHù della quale egli solo è il padrone ancora nelle piìi piccole cose. Jn quanto al testo , mi sono ser- vito dell edizione data dal diligen- tissimo Signor Posali coi torchi di Tommaso Masi in Livorno nel 1810. Egli la trasse da quella fa- mosa deW Osanna di Mantova del 1 584, giudicata dal Ser assi la mi- gliore di tutte, come la piti confor- me alla mente del Poeta, perchè pubblicata per le cure del Sig. Sci- pione Gonzaga , amico di lui confi- (lentissimo, e che ne aveva spiati ad uno ad uno tutti i pensieri. Nel rivederne peraltro le prove ^ ho voluto consultare altre edizioni sì antiche come moderne , e in par- ticolare quella data con molta cu- ra dal dejunto mio Zio Gio. Clau- dio MoUni in Parigi nel 1783,- ed allorquando mi è avvenuto di tro- vare in essa qualche varia lezione la quale fosse piU corrodente al sentimento, e che fosse stata usata da qualche antico editore, io tho senza scrupolo alcuno adottata. Ben di rado mi è occorso di dover usare di questa licenza, ma tale riscontro mi ha procurato il piace- re di poter correggere un doppio error di grammatica che il Tasso certamente non fece, e che trovasi con tutto ciò in pressoché tutte le precedenti edizioni, le quali V una dalt altra lo hanno copiato. Riscon- trasi esso nei due ultimi versi ir deli ottava 64 del Canto XIX, ove si fa dire al Tasso: Ben ei darà db the per te à chiede, Ma oon^mua rayrai d'aka meancede; e si fa cosi accordare la parola, con- giunta del genere fcmminirw con ciò mascolino ^e si con^un^ colse* condo caso , errore di cui non trO' vasi esempio nei nostri classici au- tori. Quattro sole edizioni mi è riw- scito trovare , nelle quali si legge come veramente dee leggersi: Ma eoa giaota i'avnd d'alta mercede. Tutte le dette quattro sono stampate nel i58i, cioè avanti che l autore avesse data € ultima mano al suo poema. Due di esse sono quelle da- te contemporaneamente in Parma in i^* ed in Casalmaggiore in 12** da quello stesso Angelo Ingegneri, letterato Veneziano, il quale raccol- se presso di sei infislice Torquato , allorché presentatosi alle porte di Torino eolle divise delP indigenza, sarebbe stato villanamente scaccia- to dui custodi di quelle , se il detto Ingegneri trovatosi a caso presente e riconosciutolo , non lo avesse pro- tetto e ricoverato {i).La terza è da- ta dal Morsili in Lione in i6.^ ed è copiata dalle due suddette. La quarta finalmente è data da Celio Malespiniy in Venezia pel Percha- eino nelT anno medesimo. (i) Non posso tràUenermi dal qui riferire le stesse parole dell' lagegnerì nella sua Dedica a Carlo Ema- nuele Principe di Savoja, che trovasi in fronte alle dette sue edizioni , e colla data di Parma primo di Febbraio i58i. «, Due anni e mezzo fa , quando il povero Signor ^ Torquato Tasso, portato dalla sua strana maninco- ^ nia, si condusse sin alle porte di Turino, onde per ^ non aver fede di sanitìi \enne ributtato; fui qnell'io ^ che in ritornando dalla Messa udita a'Padri Cappuc- ^ Cini, lui incontrato introdussi nella Città; fatte prima ^ capaci le guardie delle nobili qualità sue, le quali (co- ^ me ch'ei fusse male all' ordine^ e pedone) non però af- „ fatto si nascondevano sotto a sì bassa fortuna. L'AI tez- ^ za vostra Serenissima fu poi che laccarezzò e favori, e ,. se non che il Sig« Marchese da Rste l'avea già raccolto ^ ed accomodato, occupando in ciò il Inoco alla corte- ^, se volontà di Monsig. di Turino, son sicuro ch'ella ^ saria stata quella che l'avrebbe ricevuto, e fatto- y, gli di tutto ben provvedere , tanta in lei si conob- )^ be pietà^ di cosi indegna miseria, e tale di sì alta 9) virtÀ gusto ed ammirazione. TI U detto mio Zio vide t errore, e il corresse spontaneamente , ma solo per metà, ponendo congiunto. Tutte le altre edizioni che ho po- tute consultare , anche lepiìi splen- dide , ripetono t errore medesimo che oraper la prima volta correggo. Ho creduto di non dover soppri- mere t ottava 4i del canto XVI, la quale comincia Dissegli Ubaldo allor: già non conviene: E vero che si è menato gran ru- more in questi ultimi tempi sul do- versi o no rifiutar quest' ottavaJo so che moke buone edizioni t escludo- no^ mu altre pur buone t ammetto- no^ e fra le altre la suddetta di Li- vorno della quale mi sono valso , onde non sembrandomi ancora be- ne sciolto il quesito, coli avvertirlo (come io faccio) lascio ciaschedu- no nella libertà di ammetterla o di rifiutarla. Quanto alla punteggiatura ed idt ortografia , mi • sono regolato secondo il gusto moderno , dimi- nuendo fuso soverchio delle vir- gole e delle majuscole» Sarebbe da desiderarsi che qual- che paziente erudito si accingesse con sana critica a fare per il no- stro Autore quel medesimo lavoro che il Lorrd>ardi ^hfece per Dan- te , che il Signor Morali ha ora fiuto per t Ariosto, e che il mio dotto amico il Sig* Marsand, Pro- fessore in Padova, sta facendo al presente per il Petrarca, Così sa- rebbe una volta stabilito qual testo dovesse seguirsi nella ristampa dei quattro Padri dell Italiana Poesia y stati tante volte sfigurati dagU edi- tori. Qualunque siasi questa fatica, io ve t offro in pegno di quelT ami- cizia che a voi mi lega, e della quale sommamente mi pregio. Io so che in mezzo a studi più sérj vili ^}olgete pur talvolta lo sguardo ai sommi poeti della lirjgua nostra, dei quaU, non meno che dei Latini, tanti squarci ritenete a memoria ; sicché spero che gradirete questo m,io sincero tributo. Così possiate voi, riandando di tempo in tempo I più bei pezzi di questo poema, procurarvi qualche sollievo alT a- cerbo duolo che vi sta fisso nelT a- nimo per la recente perdita degli ottimi Genitori vostri, stati strappa- ti quasi da un colpo medesimo alla vostra tenerezza , ed alle delizie di chiunque ebbe la sorte di essere ammesso alT amabile lor società, e di ammirare ipre^ dell'animo loro gentile. Crediate che Jra questi non è ed certo il meno dolente , n Vostro Affez. Amico G. Moum. VITA DI . TORQUATO TASSO ■•TKATTA dall' elogio d£l medesimo DI MONSIGNOBB ANGELO FilBRONI VITA DI TORQUATO TASSO J^ELLÀ città di Sorrento venne alla luce Torquato Tasso il dì 1 1 di marzo del 1 544- n padre di lui, Bernardo, erasi là trasferito per vivere a se stesso, alla sua famiglia e ai suoi studj^ dopo che ad esso ne fu fatta liberal concessione da Ferrante Sanseverino Principe di Salerno, ai servizj di cui in qualità di pri- mo segretario era stato chiamato fin dall* an- no i53i. La madre di Torquato fu Porzia de' Rossi , nobile famiglia originaria di Pistoja , che in Napoli traspiantata fu grandemente £ivorita dalla fortuna. Gli avversi casi, nei quali Bernardo Tasso trovassi avvolto quasi per tutto il corso della sua vita, il costrin- sero a procacciarsi un decente stabilimento fuori di Bergamo, ove la nobile, e in alcuni tempi potente assai , fianiglia de Tassi fii^sat^ xii VITA aveva nel secolo XIV la sua dimora. In tem-« pò che il padre di Torquato dovè trattenersi fuori d'Italia col suo signore, la madre con- dusse a Napoli il figlio di sette anni, il quale ebbe quivi la prima sua letteraria e morale educazione presso i padri della nascente allo- ra compagnia di Gesù; e ne' tre anni che frequentò le loro scuole non solo apprese perfettamente la lingua Latina, ma molto in- nanzi ancora s'incamminò nella Greca, e tan- to profittò neir arte di comporre sì in prosa come in verso, che le sue produzioni da lui medesimo recitate destarono un insolita mara- vigb'a in tutti quelli che le ascoltarono. Tor- nato essendo Bernardo di Francia in Italia nel 1 554 awisossi di trovare in Roma un asilo contro le persecuzioni degl^-Imperiali. Ma essendosi suscitata un aspra guerra tra Filippo IL e il Pontefice PacJo IV. per la quale Bernardo, già incorso nell' odio della parte Spagnuola, non si credeva sicuix) in Ro- ma, si ricovrò sotto la protezione del magna- nimo Guidubaldo IL duca d'Urbino. Colà dipoi venuto ancora Torquato, e accoltovi dal duca con singolare benignità e ammirazione 'de' suoi straordìnarj talenti, continuò lo stu- dio delle lettere Latine e Greche, al quale ufù quello delle Matematiche e della Filo- DEL TASSO xiii sofia; né tralasciò pur anche di eserdtarsl nell'arti cavalleresche. Dopo due anni di di-* mora nella corte d'Urbino, Bernardo deter«< minossi a pubblicar con le stampe il suo Poe-> ma intitolato Y Amadigi, e le altre sue rime ad istanza di una nobile compagnia di dotti ingegni sotto il nome di Accademia Venezia-» na. Avendo egli perciò condotto il suo figliuo-^ lo a Venezia , mentre questi serviva ad esso d'ajuto copiando una gran parte degli scritti paterni, ebbe occasione di conoscere bene a fondo le regole del Hnguag^o Toscano , e di coglierne i più bei fiorì. Ma benché grandi fossero le speranze da Bernardo ;cònce[)ite del felice riuscimento del suo Torquato nella colta letteratura; tuttavolta déliberossi d'in-* viario a Padova, perchè in quella rinomatisi sima Università attendesse particolarmente alla Giurisprudenza, che reputava l'unica via a conseguire onori e ricchezze^ onde ioi^ trarsi alla dolorosa necessità o di laoguire nell'indigenza, o di sacrificarsi dlla'protezid^ ne, ed di capriccio dei grandi. Uarìdità di un tale studio mal s'adattava al vivacisaimò ingegno di Torquato; e perciò di nascoso si rivolgeva a' suoi geniali studj, frutto de'quàti fii il poemetto ddi Rinaldo compostò V anno dopo della sua dimora in Padova, quando Mv VITA non era ancor giunto al diciottesimo delFetà sua. Pubblicato nel 1 56a , anche })er con- senso del padre, destò subito gran maraviglia, accresciuta dalla giovanile di lui età e daf sapersi che era nato tra le spine legali nel breve spazio dì dieci mesi. Il maggior premio che ritraesse Torquato da questo suo lavoro fu la ])ermissione di attendere a quegli stud) die più erano confacenti al suo genio. Fin d'allora concepì Talto pensiero di scrivere un poema sopra la conquista di Gerusalemme fatta dall' armi Cristiane sotto il comando di Gotti fredo Buglione ; e ne abbozzò i primi tre canti. Compiuta ch'ebbe Torquato in Pa- dova la sua studiosa carriera, si vide astretto dalle domestiche angustie a procurarsi un li- berale padrone, e il trovò nel cardinale Liuigi d'Est e, a cui aveva dedicato il poema del Rinaldo. Entrò nella corte di lui verso il fine dell'anno i565, nel tempo appunto che la città di Ferrara era in feste i^ev Y arrivo dell' arciduchessa Barbara figlinola di Ferdi* nando I. Imj/eratore, destinata per isposa ad Alfonso IL fratello del cardinale, principe sopra ogni altro valoroso e magnanimo. Que- sti fu che animò il nostro Poeta a })roseguire V incominciato lavoro della Gerusalemme , ch'era rimasto per Ijen due anni interrotto.. DEL TASSO xT in pòchi mesi furono condotti t fin» sei canti con somma felicità. Molte altre ccnnposizioni furono in questo tempo da lui fatte, che sa- ranno un' etema testimonianza de' suoi gratis- simi sensi, e della stima e ddla maraviglia che in lui destate avevano i rari meriti delle due principesse Leonora e Lucrezia , sorelle del duca, le quali prendevano gran diletto della erudita conversazion di Torquato, e molto s'adoperavano in procacciargli onori e vanta^. Frattanto il cuore di lui sensibilis*^ simo ricevè uno de' più dolorosi colpi per la morte del padre, a cui renduti gli estremi officj, diede tr^^ al dolore per celebrar le nozze di madama Lucrezia principessa di Ferrara col principe Francesco Maria della' Rovere , conchiuse nel verno del i Sjo. S'egli perde una protezione nella partenza di quella principessa, rimaneva la sorella Leonora oU tremodo gentile, e tutta dedita a coltivar la menie co' savj e dotti ragionamenti degli uo- mini letterati. Corteggiandola Torquato anche con maggiore assiduità di prima, e renden- dcÀe il rispetto e l'omaggio di cui era degna ^ dette luogo all'invenzione dell' amorosa pas^ sione della principessa verso il poeta, senza che gli autori di questa htoh ahtÀQXìo riflet- tuto che l'amore della virtù era in questa XVI VITA donna si tenero e deUcaio da non pareiie h> nocente quel che avesse potuto pur leggiera mente adombrarlo. Essendo dipoi passato dal- la corte del cardinale a quella dd duca Al- fonso, Tozio onorato ch'egli godeva, mercè la grazia del suo signore, fece eh' egli attendes*- se più di projxfóito a ripub're e perfezionare le parti già compiute della, sua Gerusalemme. Era tale in lui la delicatezza del gusto e la maturità del giudizio , che mai non rifiniva di togliere e di mutare, e bramava sopra ogni cosa che gli episodj dipendessero necessaria- niente dall'azione principale, e tutti cospiras- sero al compimento della impresa. A solleva- re poi Tanimo tutto immerso in si profende meditazioni , intraprese di dar perfezione a quel genere di poesia che poc' anzi era nata nella stessa corte di Ferrara, pa* opera di Ago- stino Beccari. Questo è il dramma pastorale, che non ricusando il soccorso della musica, fu subito ricevuto con incredibile applauso , e risvegliò in molli il desiderio di trattarlo* Quanti però corsero questa carriera dovettero confessare di cedere la palma al Tasso, che pubblicando il suo Aminta composto in men di due mesi, ma però prima ideato, entrò nel i^orioso possesso d'esser chiamato il più elegante poeu drammatico. £ veramente DEL TASSO xvn trìcmfano nella favola e la grazia dell' espres* sione, e la dolcezza del verso, eia leggiadria delle immagini, e la naturalezza degli affetti. Né a scemar queste lodi valsero^ punto le critiche, p^ altro giuste , di stile talvolta trop- po fiorito, di alcuni concetti più ingegnosi che a pastor non convenga , d' alcune parlate soverchiamente prolisse , d'un intreccio non sempre verisimile, e di uno sv)lup|)o alquanto sferzato, difetti perdonabih all'età giovanile del })oeta , e che posti in confronto delle sin- gdari bdlezze, come ombre in faccia al sde svaniscono. La. fevola sì rappresentò per la pri- ma volta in Ferrara con solenne apparato nel i573; poi anche in Firenze; ed a pena vide la luce con le stampe fu tradotta nelle piìi col- te lingue d'Europa. Fu allora che concepì r idea di dare alla scena Italiana una trage- dia che trionfasse su tutte l'altre già pub- blicate. Si propose di formare con inviluppo simile a quel dell' Edipo Tiranno, di Sofocle, il Torrismondo re dei Goti. Ma terminato appena il primo atto e due scene del secondo, levò la mano dall' opera, forse perchè non piaceva al duca eh' égli non attendesse uni- camente a ^v com{Hmento d tanto suo asjiet- tato poema. Questo era giunto allora a diciotto canti, ma gli ultimi sei di questi non appaga- xviii V J T A vaao il diiHcil giudizio del poeta. Finalmente dopo una lunga e forte applicazione, verso la primavera del iS'jS fu terminato il poema. Prima però di darlo alla luce, volle sottomet- terlo alla censura di parecchi uomini dotti che, yarj di pareri, produssero nel suo animd confusione e incertezza , e un indugio alla richiesta pubblicazione. Il Tasso valutò queste censure, e mutò e levò molte cose. Poco mancò che egli non ne togliesse del tutto l'e- pisodio di Sofronia e di Olinto, perchè, tranne lo Speroni, tutti gli altri censori furono d* ac- cordo in condannarlo come troppo vago, fuor di tempo inti'odotto, non troppo ben connes- so, e infelicemente sciolto per forza di mac- clìina. Per buona fortuna della poesia il Tasso ^ dopo varj contrasti sostenuti con se medesi* mo, si risolse di ritenerlo, mutandovi sola- mente alcune piccole cose. Quanto allo stile se convennero questi severi giudici in lodarne il colorito e l'armonia, dissero altresì che sembrava loro troppo fiorito e troppo abbon- dante di ornamenti. Protestò egli in una let- tera al Gonzaga che, quanto agli ornamenti, sarebbe stato più tosto indulgente a lasciarli che molto sevèro nel. rimoverK per- chè giudicava che l'essere talora troppo ornato non fosse tanto difetto o eccesso dell' arte ^ DEL TASSO xrè qnaato proprìetà e necessità della lingua, che non avendo ritenuto molti modi proprj della Latina, e più ancora della Greca, atti ad inalzar lo stile senza bisogno d* esquisito or- namento, lo necessitava di andare in cerca di molte figure e di molti modi presi dalla me- diocre fonna e dall' umile, che supplisssero a queUa mancanza. Quanto acutamente giudi- casse Torquato le sue proprie produzioni , quanto fosse diligente nella ricerca de' più piccoli nei, quanto docile e modesto nel se- condare l'altrui parere quando fosse stato dettato dalle regole dell'arte , ne porgono una prova le lettere, con cui egli si vedeva co- stretto a stancare gli amici, e prova ancora maggiore i molti viaggi da lui intrapresi a tal fine in varie delle più colie e scienziate città d'Italia. Mentre che egli in Ferrara si tratteneva, era la delizia non sol de' princìpi Estensi, ma di tutte le più colte dame che abbellivano la lor corte. Ciò valse a inasprir contro di lui la rabbia de' suoi emuli ed in- vidiosi, che in mille modi lo disturbarono con le loro persecuzioni, oltraggi e calunnie. L' animo suo malinconico fu talmente agitato, die sospetti gli divenivano fino i suoi mag- giori amici, e la sconvolta fantasia lo trasportò a segno di dubitare d'essere stato accusato di XX VITA miscredenza al tribunale della sacra Inquisì-» zione. Cominciò anche a temere che si ten- tasse di toglierlo di vita o col veleno o col ferro. Giunse a tal segno di frenesia, che nella stanza medesima della duchessa scagUò un coltello dietro uno de' suoi servitori, del quale per avventura aveva preso qualche sospetto ; il che produsse Y ordine d'arrestarlo. Il duca che lo amava e compativa teneramente, dopa una lettera supplichevole che Torquato gli scrisse per domandargli perdono, comandò che fosse posto in Ubertà e che si sottoponesse a una rigorosa cnra con l'assistenza de'piìt valenti medici e de' suoi servidori medesimi. Nulla valse a ^ombrare i timori e i sospetti da cui era turbato perpetuamoite; tal che cogliendo il momento di essere stato lasciato solo, risolvè di provveder con la fuga alla propria salvezza. Lungo sarebbe il ridire t travagli e i disastri , ch'ali sc^erse ne' suol viaggi, fatti quasi sempre in qualità di men- dico, prima a Sorrento dov' era maritata no- bilmente V unica sua sorella, dipoi a Manto- va, a Venezia p a Urbino, e finalo^edte a Torino. In questa città poteva restare con suo decoro e vantaggio, se avesse voluto en- trare al servizio del principe di Piemonte Carlo Emmanuele. Ma il trasporto che uu- DEL TASSO xxr tri sempre per gli Estensi fece che rìnunziasse ad ogni offerta , e che adoperasse ogni mezzo per ricuperare la grazia del duca di Ferrara, e tornasse alla sua corte . Il matrimonio di quel sovrano con Margherita Gonzaga, e le feste che si preparavano per solennizzarlo , accrebbero in Torquato il desiderio del ritor- no, e senza valutare le prudenti ragioni di chi cercava dissuadernelo, giunse a Ferrara nel Febbrajo del 1579 un giorno avanti r arrivo della novella sposa. Le molte cure pel ricevimento di questa fecero che Torquato non potè avere udienza uè dal duca, né dalia- principessa, e da' ministri stessi e da' genti- luomini Ferraresi fu anche peggio trattato; onde pentitosi di aver lasciato Torino, si ab- bandonò al suo umore e alla sua collera, e proruppe pubblicamente nelle maggiori e più ingiuriose villanie che immaginar si potessero cosi contro il duca e tutta la casa Estense , come contro i principali ^signori della corte, maledicendo la passata sua servitù, e ritrat- tando quante lodi aveva mai (late ne' suoi versi a que' principi e ad alcuni particolari , che tutti in quell'eccesso spacciò per una iuurma di poltroni, d'ingi*ati e. di ribaldi. H duca avvertito di questo villaqo procedere , ^eredè di dov^r trattare il T«sso come un for^- txir VITA sendato; é quiadi ordinò che fosse condotta neUo spedale di Sant'Anna, e quivi diligen^ temente custodito. L facile ixamaginare l'av- TÌlinìento e la costernazione che cagionò air animo già infermo di Torquato il vedersi racchiuso in un ospedale di pazzi. Riavutosi alquanto dalla stupidità, in cui giacque per alcuni giorni, conobbe anche più vivamente r infelicità del suo stato, di cui si trovano da lui fatte le più ])atetiche e lagrimevoli descri- zioni. Lo squallore, la sete, la solitudine , e più ancor la durezza degli assistenti , V ama- reggiavano a segno di esser trasportato a qual- che bt^ve delirio o frenesia, com'ei medesimo soleva chiamarla. Ed è pur cosa mirabile, che questa frenesia invece d'istupidirlo, in lui anzi aguzzasse V ingegno; onde quel che scriveva in quésto stato aveva tal nobiltà di pensieri e di })arde, che seinbrava parto di un estro isu- periore e quasi divino. Scrisse da prima due nobilissime canzoni , al duca T una, T altra alle principesse sorelle, con le quali tentò di risve- gliare in loto qualche compassione del suo infelicissimo stato. Ma ciò fu invano; ond'eb- be ricorso air intercessione dell' Imperador Ridolfo, e del cardinale Alberto d'Austria suo fratello ^ supplìcabdqli di far opera per la sua liberazione. Implorò ancora gli ufiicj dells^ DEL TASSO xxm Córte di Mantova; ma il duca rispondeva Mmpre che non dalla libertà ma dalla medi- cina soltanto poteva l'infermo sperar la sua guarigione. Alla noja e a' disagi della carcere, e alla infermità e debolezza del corpo si uni pure il rammarico di vedere stampato, poco meno che scontraffatto e mutilato, il suo poe- ma; e ciò per opera di Celio Malaspina, il quale ne aveva avuta una copia imperfetta dal granduca di Toscana. A ripararlo del suo onore si mosse il suo amico ed ammiratore Angelo Ingegneri , che aveva in sei notti con- tinue tr9scrìtto il poema da una copia emen- data dall'autóre medesimo. Ne fece pertanto due edizioni nello stesso tempo, in Gasalmag- giore Tuna, V altra in Parma, che, qxumtunque di gran lunga migliori della prima, non però giunsero a renderlo pienamente contento. Fu- rono per altro ben ricevute dal pubblico, che si congratulava con la nostra lingua di avere, dopo quasi quattrocent' anni dal suo nasci- mento, ottenuto al pari della Greca e della Latina lin vero e perfetto poema epico. Altri molti disturbi afflissero l'animo sensibilissimo di Torquato, tra i quali non fu il minore la controversia che dovè sostenere con gli ac* cademid della Crusca. Cammillo Pellegrini da Capoa^ insigne letterato, avea composto uà ^xiv VITA dialoga intitolato il Carrafa, ovvero dell'epica poesia , ia cui spiegava il mirabile artifizio adoperato dal Tasso nel tessere il suo poema. n dialogo fu stampato in Firenze Tanno 1 584^ e la pubblicazione di esso fé nascere due par* titi divisi tra '1 Tasso e T Ariosto. Dee far ma- raviglia^ che Lionardo Salviati^ il quale fino a quel tempo si era mostrato amico del Tasso^ si accingesse a deprimerlo a segno di mostrarlo non solo inferiore all' Ariosto, ma perfino al Bojardo e al Pulci ^ giudizio indegnissimo di mi che aveva la fama di nomo dotto nella Greca y Latina ed Italiana letteratura,' e di un crìtico di prìm' ordine. Ma perchè sarebbe stato per lui troppo vergognoso il comparire a viso scoperto, stimo bene di valersi del nome dell'accademia della Crusca , la quale non era allora che ima privata conversazione di gentiluomini studiosi , che ora in un luogo^ ora in un altro si radunavano a recitar com- posizioni motteggevóli. Avendo egli tirati al- cuni nel suo paruto, e tra questi Bastiano de' Rossi segretario della stessa accademia, si pose a stacciare di mala maniera il dialogo del Pellegrini. La prima stacciata (che cosi chiamasi il libretto daini pubblicato od 1 585) invece di apportar pregiudizio alla celebrità della Gerusalemme, l'accFebbe anzi maggior-- DEL TASSO XXV nente; e moltissimi ad una voce dicevaDo, che dovevasi aver riguardo non solo al meri- to singolare dell'opera, quasi divinizzata dalla pubblica voce, ma anco allo stato dell' Au- tore, atto più a destare compassione che in* vidia. Fu pertanto posta in ridicolo quella «S'ifocc/ato con diversi scrìtti e satire; e Tavreb- be disprezzata Torquato, se l'onore del padre malmenato in quello scritto noa lo sforzava a prenderne la difesa con una Apologià in breve tempo distesa, nella quale dichiarò d'essere stato mosso a comporla unicamente dalle leggi di natura. Interessato il Salviati ad accreditare le ragioni di questa disputa , quasi ella fosse non già un offesa , ma un giusto risentimento delle ingiurie ricevute, cavò dal dialogo del Tasso intitolato del Piacere one-^ sto alcune espressioni a detta di lui pòco onorevoli alla nazion Fiorentina ; e su di ciò fece scrìvere una lunga lettera al suo de' Rossi, se pur non la scrìsse egli medesimo. Il Tasso fece ben presto l'apologia del suo dialc^o, pro- testando ch'ei non ebbe mai animo malvagio contro la città di Firenze, (he anzi l'aveva sempre lodata, e che quanto ùl dire a suo padre in uua Orazione inserita in quel dia- logo , niente toglieva alla gloria di lei, e che non si discostava da quel che avevan detto Z L b xxYi VITA Dante, Giovanni Villani, Monsignor della Gasa, ed altri scrittori figli diletti della me* desima. La risposta data a questa Apologia fu oltremodo ignominiosa e villana, a cui il Tasso per allora non estimò di dover replicare. Gomparve però nell'anno stesso i585 una bella scrittura del Pellegrini in difesa del pro- prio dialogo; e la dolce e gentil maniera, con cui tratta i suoi avversar) nel mentre che gì' istruisce con sodezza e varietà di dottri- na, gli obbligò a segno, che per non lasciarsi vincere di cortesia lo aggregarono non motto dopo alla loro Accademia. Il Salviati rispose con molta dottrina e con maggiore modera- zione di prima alla scrittura del Pellegrini; ma non potè rattenersi da spargere di tratto in tratto de* motti piccanti, e di quelle eh' ei chiama vivezze , e che altri direbbe con più ragione contumelie. Mossone a sdegno un gio- vine letterato Riminese, Malatesta Porta , ri- spose a questo scritto, enumerando con bella, nobile e convincente maniera i pregi singola- rissimi del Poema del Tasso. Non potè però vedere questa risposta il Salviati, perchè dopo essere stato diciotto mesi nella corte di Fer- rara ( e dal desiderio e dal bisogno d'esservi ammesso ebbe forse origine l'impegno preso d'inalzar l'Ariosto sopra il Tasso ) tornato a DEL TASSO xxvn Firenze $aà patria morì povero agli 1 1 . di loglio dell'anno 1589. Poco dopo la morte del Salviati ebbe fine questa contesa tanto fa- mosa, da cui non iscapito, ma accrescimento di gloria ritrasse Torquato , perchè servì a far conoscere maggiormente l'eccellenza del suo Poema» Per essa ancora si estese la fama deU l'Accademia della Crusca, che poi giunse a sì alto segno da potere senza contrasto ren* dersi arbitra, e regolatrice del nostro linguag- ^o; e nel possesso di questa gloria procurò di emendare l'ingiustizia dei suoi fondatori, dando alla maggior parte dell'opere del Tasso quella autorità che suol concedersi a coloro die usando correttamente e giudiziosamente il detto linguaggio, ne accrescono, per cosi dire, il patrimonio. Era pur già finalmente riuscito a Don Vincenzio Gonzaga, figliuolo del Duca di Mantova, d' ottenere con le sue continue ed efficaci premure la liberazione di Torquato, la quale avvenne il dì 5 o 6 di luglio del i586, dopo sette anni, due mesi e qualche giorno di miserabile prigionia. Esso ool principe suo liberatore passò a Mantova, dove fu accolto benignissimamente dal padre di esso, Guglielmo, uno de' più saggi sovrani di quella età; fii provveduto di stanze in pa« lazzo , e fornito di tutto quello che poteva xxvin VITA servire al comodo della vita e al decoro della persona. Quivi riprese con molto ardore i suca studj , correggendo ed ampliando le opere già scritte y e componendone delle nuove. Con- dusse a fine il suo Torrismondo cominciato (come si disse) fino dall'anno iS^/\. Le ma- sciiere, le danze e gli spettacoli , che godè in grau copia nel carnevale, furono un gran conforto alla sua sempre agitata e torbida fan- tasia. Venuta poi la quaresima, dette luogo a più gravi pensieri, a più nobili studj, che fu- rono quelli della Teologia e della lettura de' Padri, e specialmente di Sant'Agostino, col religioso fine di trarne lumi onde ben re- golare la vita ed emendar le sue Opere. Es- sendo venuto a morte il duca Guglielmo, a cui successe il figlio di lui suo insigne benefat- tore, Vincenzo, voile a questo offerire il dono del suo Torrismondo. Una prova del felice incontro di questa Tragedia si è, che in pochi mesi fa ristampata per ben dieci volte in va^ rie città d'Italia. Non parve al carattere so- spettoso del Tasso, che questo suo dono eia sua persona fossero così ben ricevuti dal Du- ca, come se n'era lusingato; onde si con- fermò nel proponimento già prima fatto di lasciar quella corte. Parti sprovveduto quasi di tutto alla volu di Roma nell'ottobre del DEL TASSO XXIX I S87 , e colà giunto meschinamente, riscosse , dalle persone dotte e da molti soggetti qua* lificati, singolari dimostrazioni di stima, e concepì grandi speranze di conseguire qual- che impiego odono, oppure onesta pensione in ricompensa di varj componimenti fatti ad onore del gran Pontefice Si&to Y. Ma non avendo quella pazienza eh' è necessaria per preparare ed aspettar le fortune, deliberò di passare a Napoli per vedere se potea ricupe* rar per giustizia la dote materna , sempre inu- tilmente richiesta, e per grazia una porzione almeno delle facoltà del padre, confiscate al- lora che in pena d'aver seguiuto il prìncipe di Salerno fu insieme con lui dichiarato ri- ì>elle e sbandito. I molti soccorsi ed agj che in quella città ottenne, per benefizio di rispet- tabili e dotd amici , tra quali si distinse Gio* vanni Batista Manso Marchese di Villa , gli diedero il comodo d'eseguire il disegno da lungo tempo formato di riformare la sua Gè* rusakmme, e di scrivere l'altro suo Poema eroico intitolato la Gferusalemme Conquistai ta^ desiderando, come egli scrisse al Gataneo, che questo Poema togliesse il credito ali al- tro j datogli dalla pazzia degli uomini piut- tosto che dal suo giudizio.Qvjdsto nuovo lavo* ro fu dedicato al cardinale Cintio Aldobrandi* XXX VITA no, nipote prediletto di Clemente VIH, e àf* fezionatissimo al nostro Tasso. Pubblicato che fu in Roma nel i SqS, riportò un incredibile applauso. Cessata poi la maraviglia destata dalla novità, ripigliò ben presto i suoi diritti la prima Gerusalemme^ se non come più per-* fetta, e più conforme alle regole dell' arte, al« meno come più bella e più dilettevole. At- tese poi con gran proposito al compimento dell'Opera delle Sette Giornate del Monda Creato j incominciata qualche anno prima a richiesta d' una religiosissima principessa Na^ poletana. Benché avesse Torquato tutto il mo- tivo di vivere in Roma contentissimo dell'ai* bergo che aveva nel Vaticano, e de' favorì che riceveva da' suoi affettuosi e splendidi mecena- ti; tutta volta obUìgato di cedere all'incostanza del suo carattere, domandò a questi licenza di tornare a Napoli, coL pretesto di assistere alla lite della dote materna, la qual lite al- tr esito poi non ebbe che uno scarso accomo- damento. Erano già scorsi più di quattro mesi dacché Torquato viveva in Napoli con molta sna sodisfazione , perché da tutti ono- rato, quando il cardinal Cintio , che mal sof- friva questa sua lunga assenza, gli fè scrìvere di tornarsene a Roma, avendogli ottenuto dal Papa, e dal Senato Romano l'onore del DEL TASSO XXXI trionfo e della corona d'alloro in Gampido- ^o. Attesta il Mansoche il Tasso non fu punto commosso da si lusinghiera novella , e che senza il consiglio degli amici non avrebbe ceduto ai graziosi inviti dd cardinale. Alsiio arrivo in Roftna, dbe accadde sai principio del novembre dell'anno i5gi^ OEiostrb sempre più la sua . indifferenza per l'onore destinabili, e aswlto lietamente il consiglio di quelli che per hv più bello il trionfo proposero di di&riHo ali» primavera. Un più grave pensiero oecupavalp allora y che era quello della morte vicina, traendone argomento dallo spossaménto deUe fi>rze, e dai peggioramento delle sue antiche indisposizioni. Giunto il mése d'aprile, temr pò fissato per la sua incoronazione, si senti più del s(Àx%o aggravato da' suoi abituali ipr comodi; onde disperando della vita tempo- rale , per pensare più agiatamente ali'etcsrna^ domandò al cardinale licenza di rmjcarsi nel Monastero di Sant'Onofrio pressò i Padri Girolamioi. La febbre comparsa il dì io d'aprile, che i medici attribuirono al sover- chio uso da lui fatto di latte e di cose dolci, resistè a tutti i rimedj , e fu dato per ispe- dito. Andrea Cesalpino, archiatro pontificio, mandato all'infermo dal Papa medesimo, lo avverti che non era molto lontana l'ultima xxxii VITA DEL TASSO sua ora. Ricevè quest'annunzio con grandis-)^ sima fermezza di animo, ed abbracciando il medico lo ringraziò di si cara novella ; indi levati gli occhi al cielo , rendè le più umili grazie a Dio, perchè il volesse dopo si lun- ghe tempeste condurre in porto. Il cardinale Cintio di ciò informato corse subito a lui ; e il maggior conforto che gli recò fu la bene-, dizione e l'assoluzione papale, che l'infermo ricevè con divozione e con giubbilo edificane te. Visse Torquato anni cinquantuno, un mese^ e quattordici giorni, essendo pa$sato all' eternità il di 2 5 aprile del iSgS, Furon Bitti al ddunto quegli onori , che alla virtù, di tanto uomo si convenivano; il cadavere nobilmente vestito e con la chioma cinta di alloro fu portato per le contrade del Vatica- no con solenne pompa al sepólcro : poscia gli fu eretto quel vago e decoroso deposilo, che ora si trova al lato manco della chiesa di S. Onofrio. ALLEGORIA DEL POEMA SCRITTA DA TORQUATO TASSO eroica Poesia ^ quasi animale in cui due nature si congiungano j d! imitazione e di allegoria e composta: con quella alletta a se gli animi e gli orecchi degli uomini^ e maravigliosamente gli diletta : con questa nella virtù o nella scienza^ o nelF una o nell'altra gli ammaestra. E siccome t epica imitazione altro giammai nonèche somigli-- anza^ed immagine di azione umana y cosi suole r allegoria degli epici dell'umana vita esserci figura. Ma r imitazione riguar^ da le azioni dell uomo che sono ai sensi esteriori sottoposte ^ ed intorno ad esse prin- cipalmente affaticandosi y cerca di rappre- sentarle con parole efficaci ed espressive^ ed atte a por chiaramente dinanzi agli xwiv ALLEGORIA occhi corporali le cose rappresentate ; ne considera i costumi , o gli affetti , o i di-- scorsi delV animo , in quanto essi sono in* trinsecij ma solamente in quanto fuori se il escono^ e nel parlare^ e negli attij e neir opre manifestandosi accompagnano fazione. V allegoria alt incontro rimira le passioni e le opinioni e i costumi ^ non solo in quanto essi appaiono , ma princi* palmente nel loro essere intrinseco , e più oscuramente le significa con note, per cosi dire^ misteriose^ e che solo dai conoscitori della natura delle cose possono essere a pieno comprese. Ora j lasciando t imitazio- ne da parte , delt allegoria y che è nostro proposito , ragionerò. Ella^ si come e doppia la vita degli uomini ^ cosi or delt una y or deir altra ci suole esser figura ^ perocché ordinariamente per uomo intendiamo que- sto composto di corpo e di anima e di mente ; e allora vita umana si dice quella ' che di tal composto è propria y nelF opera- noni della quale ciascuna parte d! esso con^ corre e, operando ^ quella perfezione acqui- sta y della quale per sua natura è capace. Alcuna sH>lta y benché più di rado y per uoi mo s^ intende non il composto , ma la no^ hilissima parte d essoy cioè la mente ^ e sé^ DEL POEMA XXXV tondo quest^ ultimo significato si dirà che il wVer deWuomo sia il contemplare j e V operare semplicemente con V intelletto ; cornee che questa s^ita molto paia partecipare della divinità^ e quasi transumanandosi angelica disteni re. Or della wta delFuomo contemplante e figura la Commedia di Dante ^ e t Odissea quasi in ogni sua parte: ma la s^ita civile in tutta V Iliade si vede adombrata^ e nelt Eneide ancora , benché in questa si scorga piuttosto un mescola^ mento di azióne e di contemplazione. Ma perchè F uomo contemplativo è solitario ^ e r attivo vive nella compagnia civile ^ quin- di avviene che Dante ^ e Ulisse nella sua partita da Calipso si fingano non ' accom- pagnati da esercito^ o da moltitudine di se- guaciyma soli si fingano ^ dove Agamennone ed Achille ci sono descrittici uno generale deir esercito Greco ^ F altro condotliere di molte schiere de^Mirmidoni; ed Enea si ve- de accompagnato quando combattere quan^ do fa t altre civili operazioni ^ ma qiiando scende altirferno ed ai Campi elisi ^ lasciai compagni r e resta ^ non eli altri ^ il suo fe- dele AcatCj il quale non soleva mai dalfian^ €0 allontanarglisi. Né a caso finge il poeta che vada egli solo^ perchè in quel suo viag- XXXVI ALLEGORIA giù ci è significata una sua contemplazione delle pene e depremj^ che neU altro secolo air anime buone ^ ed alle ree si ri serbano. Oltra di ciò , F operazione deW intelletto speculativo ^ che è operazione d^ una sola potenza^ comodamente dalFaziondun solo ci s^ien figurata ; ma F operazione politica che procede dalF intelletto , ed insieme dair altre potenze delF animo j che sono quasi cittadini uniti in una repubblica^ non può cosi comodamente essere adombrerà da azione , in cui molti insieme^ e ad un fine operanti non concorrano. A queste ra- gioni ed a questi esempj avendo io riguardo^ formai t allegoria del mio poema tale , quale ora si manifesterà . Jjjssendo composto V esercito di varj principi e d* altri soldati Cristiani , signi- fica r uomo virile , il quale è composto d' anima e di corpo , e d! anima non sem- plice^ ma distinta in molte e varie potenze. Gerusalemme città forte , ed in aspra e montuosa regione collocata ^ alla quale ^ siccome ad ultimo fine , sono drizzate tutte le imprese deU esercito fedele , ci segna DEL POEMA xxxvn la Jelicità civile , qual però conviene ad uomo cristiano j come più sotto si dichia- rerà , la quale è un bene molto difficile da conseguire , e posto in cima alt alpestre e faticoso giogo della virtù , ed a questo sono volle ^ come ad ultima meta , tutte le azioni deir uomo politico. Goffredo^ che di tutta questa adunanza è capitano^ è invece delFin^ telletto y e particolarmente di queir intel- letto che considera non le cose necessarie, ma le mutabili , e che possono variamente avvenire , ed egli per voler £ Iddio , e de principi è eletto capitano in questa impresa , però che t intelletto è da Dio e dalla Natura costituito signore sovra t al- tre virtii deir anima y e sovra il corpo , e co- manda a quelle con potestà civile , ed a queste con imperio regale. Rinaldo j Tan- credi, e gli altri principi sono in luogo deir altre potenze delt animo, e il corpo (2a/ soldati men nobili ci vien dinotato : e perche per t imperfezione delF umana na- tura, e per gì inganni delF inimico di essa r uomo non perviene a questa felicità senza molte interne difficoltà , e senza trovar fra via molti esterni impedimenti , questi tutti ci sono dalla figura poetica dinotati. La morte di Sveno e de compagni, i quali xMViii ALLEGORIA non congiunti al campo , ma lontani son^ uccisi j può dimostrarci la perdita^ che t uomo cistite Ja degli amici e de seguaci , e d^ altri beni esterni ^ che sono istrumenti della i^irtà, ed aiuti a conseguir la felicità. Gli eserciti d^ Àfrica e dJ Asia^ e le pugne awerse altro non sono che i nemici ^ e le sciagure , e gli accidenti di contraria Jòr^ tana. Ma svenendo agt intrinseci impedii menti , t amor che fa vaneggiar Tancredi e gli altri cas^alieri , e gli allontana da Goffredo^ e lo sdegno che desvia Rinaldo dalt impresa , significano il contrasto che con la ragionevole fanno la concupiscibile e t irascìbile virtìi ^ eia ribellion loro. I Demoni j che consultano per impedir t ac- quisto di Gerusalemme y sono insieme fgu* ra e figurato , e ci rappresentano se mede- simi j che s oppongono alla nostra civile fe- licità^ acciocché ella non ci sia scala alla cristiana beatitudine. I due magi Ismene g ed Armida y ministri del Diavolo^ che pro^ curano di rimuovere i Cristiani dal guer- reggiare ^ sono due diaboliche tentazioni che insidiano a due potenze delV anima nostra^ dalle quali tutti i peccati proce^ dono. Ismene significa quella tentazione ^ che cerca d^ ingannare con false credenze DEL POEMA XXXIX la virtù , per cosi dire, opinatrice. Armida è la tentazione che tende insidie alla pò- lenza che apparisce , e cosi da quello pro^ cedono gli errori delt opinione , da questa quelli delt appetito. GF incanti d! Ismeno nella scisma ^ che ingannano con delusioni j altro non signijicano che la falsità delle < ragioni e delle persuasioni, la qual si ge- nera nella selva, cioè nella moltitudine e varietà de^ pareri e de^ discorsi umani; e perocché V uomo segue il vizio e fugge la virtù. , o stimando che le fatiche e i peri-- coli siano mali gravissimi e insopportàbili, o giudicando, come giudicò Epicureo e isuoi seguaci, che ne^ piaceri eneltozio si ritro^ vi la felicità, per questo doppio è t incanto e la delusione: il fuoco, il turbine, le te* nebre, i mostri e t altre si fatte apparen* ze sono gt ingannevoli argomenti che ci dimostrano le oneste fatiche , gli onorati pericoli sotto immagine di male. I fiori, i fonti, i ruscelli, gt instrumenti musici, le ninfe sono i fallaci sillogismi che ci met^ tono innanzi gli agi e i diletti del senso , sotto apparenza di bene. Ma tanto basti aver detto degt impedimenti che trova Vuomo, cosi in se stesso, come fuori di se; perocché sebben d! alcune cose non si è ». ALLEGORIA espressa T allegoria con questi principj ^ ciascuno per se stesso potrà investigarla^ Ora passiamo agli aiuti esterni ed inter- ni^ co quali t uomo civile superando ogni difficultà si conduce alla desiderata Jelici^ tà. Lo scudo di diamante che ricuopre Raimondo^ e poi si mostra apparecchiato in difesa di-Goffredo ^ deve intendersi per la particolare custodia del Signore Iddio» Gli angioli significano òr f aiuto divino y ed or le divine ispirazioni , le quali ancora ci sono adombrate nel sogno di Goffredo , e né ricordi dell eremita. Ma V eremita j che per la liberazione di Rinaldo indrizza i due messaggieri al Saggio ^Jigura la co^ gnizione soprannaturale ricevuta per di- vina grazia j siccome il Saggio la umana sapienza: imperocché dalF umana sapien- za ^ e dalla cognizione delt opere della na- tura e de magisteri suoi si genera e si con- ferma negli animi nostri la giustizia j la temperanza y il disprezzo della morte e delle cose mortali , la magnanimità j e ogni altra virtù morale ^ e grande aiuto può ri- cever r uomo civile in ciascuna sua opera- zione dalla contemplazione. Si finge che questo Saggio fosse nel suo nascimento pa- gano y ma che dalt eremita convertito alla DEL POEMA xLi vera fede si sia renduto Cristiano^ e che a^ndo deposta la sua prima arroganza ^ non molto presùma del suo sapere^ ma s'ac- quieti al giudizio del maestro; perocché la Filosofia nacque j e si nutrì tra gentili nelf Egitto 'e nella Grecia ^ e di là a noi trapassò presontuosa di se stessa y e miscre- dente ^ ed audace y e superba fuor di misu- ra. Ma da S. Tommaso j e dagli altri Santi Dottori è stata fatta discepola y e ministra della Teologia; e dis^eniUa per opera loro modesta ^ e più religiosa ^ nessu- na cosa ardisce temerariamente affermare centra quello che alla sua maestra è rii^ela- to. Né indarno é introdotta la persona di questo Saggio , potendo per consiglio solo deir Eremita esser trescato e ricondotto Ri- naldo ^ perchè ella s introduce per dimo- strare j che la grazia del Signor Iddio non opera sempre negliuomini immediatamen- te j oper mezzi estraordinarj ^ ma fa molte fiate sue operazioni per mezzi naturali; ed é mollo ragiones^ole cheGoffredo^ ilquale di pietà e di religione o/^anza tutti gli al- tri^ ed éy come abbiamo detto sfigura del- r intelletto j sia particolarmente favorito , e privilegiato con grazie ^ le quali a nissun ultro non siano comunicate. Questa umana T. I. e xut ALLEGORIA sapienza adunque^ indirizzata da virtù $u^ periore^ libera f anima sensitiva dal vizio ^ e V introduce la mordi virtù - ma perchè que^ sto non basta ^ Pietro Eremita cor^essa Goffredo e Rinaldo^ e prima aveva con^ vertito Tancredi. Ma essendo Rinèldo una, delle due persone ^ che. nel Poema tengono, il loco principale ^ non sarà forse se non caro a lettori^ che io. replicando alcuna delle già dette cose minutamente manife^. sti F allegorico sensoy che sotto il velo delle loro azioni si nasconde. G<^redo ^ il quale, tiene il primo loco nella Javold , (dtro non è neir allegoria^ che t intelletto , il che si accenna in alcun luogo del Poema ^ come, in quel verso : . ■ Tu il senno sol ^ tu sol lo scettro adopra ^ e più chiaramente in quelt altro; L'anima tua^ mentii del campo^ e vita^ e si soggiunge vita^ perche nelle potenea più nobili le men nobili ion contenute. Hi^ naldo dunqtiOy il quale' neif azione è nel se-- eondo grado d ohore ^ deve ancora neU aUe^ goria in grado corrispondente esser collo^ DEL POEMA »Hi pato : ma guai sia questa potenzadelt ammo che tiene il secondo grado di dignità^ or si farà manifesto^ V Irascibile è quella j la quale fra tutte T altre potenze delt anima men s^ allontana dalla nobiltà della mente^ intanto che par che Platone cerchi^ dubi- tando^ s'ella sia dis^rsa dalla ragione^ o no^ 4Stale ella è nelt animo ^ quali sono nelf a- dunanza degli uomini i guerrieri ^e siccome M costoro è ufficio^ ubbidendo ai principi y che hanno Tarte e la scienza del comanda- re^ combattere contra i nemici^ cosi è debito della irascibile parte delt animo guerrie^ ra^ e robusta ^ armarsi per la ragione conr tra le concupiscenze^ e con quella veemenza e ferocità , che è propria di lei^ ribattere ^ e discacciare tutto quello che può essere d^ impedimento alla felicità: ma quando essa non ubbidisce alla ragione ^ ma si la- scia trasportare dal suo proprio impeto^ alle %H>lte astiene , che combatte non contra le concupiscenze y ma per le concupiscenze ^ o u guisa di cane reo custode ^ che non morde I ladri , ma gli armenti. Questa wrtìi im* petuosa y i>eemente y ed ini^itta^ come che non possa intieramente esser da un sol casHiliero figurata y è nondimeno principale mente significata da Rinaldo y come ben MIT ALLEGORIA s' ole , e delt irascibile virtù ^ quel che dice Ugone nel sogno ^ quando paragona T uno al capo , e V altro alla destra y per^ che il capo {se crediamo a Platone ) è sede della ragione , e la destra , se non è sede delt ira j è almeno suo principalissimo in^ strumento. Ma per svenir finalmente alla conclusione^ T Esercito ^ in cui già Rinaldo e tutti gli altri cas^alieri per grazia d! Id^ dio , e per umano avvedimento sono ritor- nati e sono ubbidienti al capitano , signifi- car uomo già ridotto nello stato della giù* stizia naturale quando le potenze superiori comandano y come debbono ^ eie inferiori xLvi ALLEGORIA ubbidiscono j e oltre a ciò nello stato delta ubbidienza dis^ina: allora facilmente è di- sincantato il bosco , espugnata la città , e sconfitto r esercito nemico , cioè , superati ages^olmente tutti gli esterni impedimenti ^ Tuomo conseguisce la felicità politica. Ma perche questa cibile beatitudine non des^e esser ultimo segno deU uomo cristiano^ ma dei>e egli mirar più alto alla cristiana fe^ licita^ per questo non desidera Goffredo d^ espugnar la terrena Gerusalemme per averne semplicemente il dominio temporale^ ma perchè in essa si celebri il culto divino , e possa il Sepolcro liberamente esser vi* sitato da pii , e divoti peregrini , e si chiude il poema nelF adorazione di Gof- fredo ^ per dimostrarci^ che t intelletto affaticato nelle azioni civili deve final- mente riposarsi nelle orazioni , e nelle contemplazioni de beni delt altra vita beatissima y ed immortale. LA GERUSALEMME LIBERATA LA GERUSALEMME LIBERATA CANTO PR IMO ARGOMENTO Manda a Tortosa Dio t Angelo^ upoi Goffredo aduna i Principi cristiania Quis^i concordi que famosi ^roi Lui duce fan degli altri capitani. Quinci egli pria s^uol rivedere i suoi Sotto F insegne; e poi gfim^ia ne' piani Che a Sion vanno c^ intanto di Giudea Il Re si turba alla novella rea. VJANTò Tarmi pietose, e Ti Capitano, Che 1 gran sepolcro liberò di Cristo. Molto egli oprò col seano e con la mano^ Molto soffri nel glorioso, acquisto: . j . E invan Finfemo a lui s'oppose, e iijLyauo S'armò d'Asia e di labia il popol mistp;. . Che 1 Ciel ^ die favore, e sotto ai santi. Segni ridusse i suoi Cdmpagni erranfi. i 7. LA GERUSALEMME II O Musa tu, che di caduchi allori Non circondi la fronte in Elicona , Ma su nel Cielo infra i beati cori Hai di stelle iuunortali aurea corona ; Tu spira al petto mio celesti ardori, Tu rischiara il mio canto, e tu perdona Se intesso fregi al ver, s'adorno in parte D'altri diletti, che de' tuoi, le carte. Ili Sai , che là corre il mondo , ove più versi Di sue dolcezze il lusinghier Parnaso; E che! vero condito in molli versi, I più sellivi allettando ha persuaso. 0)sì air egro fanciul porgiamo aspersi Di soave licor gli orli del vaso : Succhi amari ingannato intanto ei beve, E dall'inganno suo vita riceve. IV Tu magnanimo Alfonso, il qual ritogli Al furor di fortuna , e guidi in porto Me peregrino errante, e fra gli scogli, E fra Tonde agitato, e quasi assorto; Queiste mie carte in lieta fronte accogli, Che quasi ih voto a te sacrate i'poito. Forse un di fia, che la presaga penna Osi scriver di te quel ch'or n'accenna. CANTO PRIMO 3 È ben ragion ( s'egli avverrà, che in j)acc n buon popol di Cristo unqua si veda, E con navi e cavalli al fero Trace Cerchi riior la grande ingiusta preda) Ch'a te lo scettro in terra, o, se ti piace, L'alto imperio de' mari a te conceda. Emulo di Goffredo, i nostri canni Intanto ascolta , e t' apparecchia all' armi. VI Già'l sesto anno volgea% ch'in Oriente Passò il Cam]K> Cristiano all'alta impresa; E Nicea per assalto, e la potente Antiochia, con arte, avea già presa, li'avea poscia in battaglia, incontro a gente Di Persia innumerabile , difesa ; E Tortpsa espugnata : indi alla rea Stagion die loco, el nuovo anno attendea. VII El fine ornai di quel piovoso inverno, Che fea l'armi cessar, lunge non era; Quando dall'alto soglio il Padre Etemo, Ch'è nella parte più del Ciel sincera, E quanto è dalle stelle al basso inferno. Tanto è più in su della stellata sfera , Gli occhi in giù volse , ein un sol punto , e in urna Vista mirò ciò, ch'in se il mondo aduna. 4 LA GERUSALEMME , ^ Vili Mirò tutte le cose , ed in Soria S' affissò poi ne' Principi cristiani; E con quel guardo suo , eh' addentro spia Nel più secreto lor gli affetti umani. Vede Goffredo che scacciar desia Efalla santa città gli empj Pagani , E pien di fé, di zelo, ogni mortale Gloria, imperio, tesor mette in non cale^ IX Ma vede in Baldo^in cupido ingegno, Ch' all' umane grandezze intento aspira : Vede Tancredi aver la vita a sdegno. Tanto un suo vano amor l'auge^ e martini; E fondar Boemondo al nuovo regno Suo d'Antiochia alti principj mira; \ \' E leggi imporre, ed introdur costume. Ed arti, e culto di verace Numej / i « •X E cotanto internarsi in tal pensiero, Ch'altra impresa non par che più rammenti. Scorge in Rinaldo ed animo guerriero, E spirti di riposo impazienti; Non cupidigia in lui d'oro, o d'imparo, Ma d'onor brame immoderate, ardènti. Scorge che dalla bocca intento pende Di Guelfo, e i chiaii antichi esempj ajiprende. CANTO PRIMO 5 XI Ma poi ch'ebbe di questi, e d'altri cori Scorti gl'intimi sensi il Re del mondo, Chiama a se dagli angelici splendori Gabriel, che ne' primi era il secondo, È tra Dio, questi, e l'anime migliori Interprete fedel , nunzio giocóndo : Giù i decreti del cìel porta, ed al cielo Riporta de' mortali i preghi, e '1 zelo. XII Disse al suo nunzio Dio : GofFredo trova , E in mio nome di lui : perchè si cessa? Perchè la guerra omai non si rinnova A liberar (Jerusalemme oppressa? Chiami i duci a consiglio, e i tardi mova All'alta impresa: ei capitan fia d'essa: Io qui r eleggo, e? faran gli altri in terra. Già suoi compagni, or suoi ministri in guerra. XIII Cosi parlogli, e Gabriel s'accinse Veloce ad eseguir l'imposte cose. La sua forma invisibil d'aria cinse, Ed al senso mortai la sottopose : Umane membra, aspetto uman si finse, Ma di celeste maestà il compose. Tra giovane, e fanciullo età confine Prese, ed ornò di raggi il biondo crine. 6 LA GER^USALEMME XIV Ali bianche vestì, ch'han d'or le cime, Infaticabilmente agili e preste. Fende i venti e le nubi , e va sublime Sovra la terra , e sovra il mar con queste : Cosi vestito, indirizzossi all'ime Parti del mondo il Messaggier celeste: Pria sul Libano monte ei si ritenne , E si librò sull'adeguate penne* XV E ver le piagge di Tortosa poi Drizzò precipitando il volo in giuso. Sorgeva il nuovo Sol da i lidi Eoi , Parte già fuor, mal più nell'onde chiuso: E jx)rgea mattutinin preghi suoi Goffredo a Dio, com'egli avea per uso; Quando al paro col Sol , ma più lucente , L'Angelo gli appari dall'Oriente. XVI E gli disse: Goffredo, ecco opportuna Già la stagion, ch'ai guerr^g^ar s'aspetta: Perchè dunque trajx)r dimora alcuna A liberar Gerusalem soggetta? Tu i Principi a consi^o omai raguna : Tu al fin dell'opra i neghittosi affretta. Dio per lor duce già t'elegge; ed essi Sopporran volontarj a te se stessi. CANTO PRIMO 7 XVII Dio messaggier mi manda : io ti rivelo lia sua mente in suo nome. Oh quanta spene Aver d'alta vittoria, oh quanto zelo Dell'oste a te commessa or ti conviene! Tacque; e sparito, rivolò del Cielo Alle parti più eccelse e più serene. Resta Goffredo ai detti , allo splendore , D'occhi abbagliato, attonito di core. XVIII Ma poi che si riscuote , e che discorre Chi venne, chi mandò, che gU fu detto; Se ^à bramava, or tutto arde d' imporre Fine alla guerra, ond'egli è duce eletto. Non chel vedersi agli altri in Ciel preporre D'aura d'ambizion gli gonfi il petto; Ma il suo voler più nel voler s'infiamma Del suo Signor, come favilla in fiamma, XIX Dunque gli Eroi compagni, i quai non lunge Erano sparsi, a ragunarsi invita. Lettere a lettre , e messi a messi aggiunge : Sempre al consiglio è la preghiera unita. Ciò ch'abna generosa alletta e punge, Ciò che può risvegliar virtù sopita , Tutto par che ritrovi ; e in efficace Modo l'adorna si, che sforza e piace. 8 LA GERUSALEMME XX Vennero i duci, e gli altri anco seguirò; E Boemondo sol qui non convenne. Parte fuor s'attendò, parte nel giro, E tra gli alberghi suoi Tortosa tenne. I grandi delF esercito s'unirò ( Glorioso senato ) in dì solenne. Qui il pio Goffredo incominciò tra loro, Augusto in volto, ed in sermon sonoro: XXI Guenier di Dio, ch'a ristorare i danni Della sua Fede il Re del cielo elesse: E securi fra Tarme, e fra gl'inganni Della terra e del mar vi scorse e resse; Si ch'abbiam tante citante, in sì pochi anni. Ribellanti provincie a lui sommesse, E fra le genti debellate e dome. Stese l'insegne sue vittrici, e '1 nome; XXII Già non lasciammo i dolci pegni, e 1 nido Nativo noi ( se '1 creder mio non erra ) Né la vita esponemmo al mare infido, Ed ai perigli di lontana guerra. Per acquistar di iH-eve suono un grido Volgare, e posseder barbara terra; Che proposto ci avremmo angusto, e scarso Premio, e in danno dell'alme il sangue sparso; CANTO PRIMO 9 XXIII Ma fu ae'pensier nostri ultimo segno Espugnar di Sion le nobil n^u-a; £ sottrarre i Cristiani al giogo indegno Di servitù così spiacente e dura, Fondando in Palestina un nuovo regno, Ov'abbia la pietà sede sicura; Né sia chi negliì al peregrin devoto D'adorar la gran Tomba, e sciorre il voto. XXIV Dunque il fatto fin' ora al rischio è molto, Più che molto al travaglio, all'onor poco, Nulla al disegnò, ove si fermi, o volto Sia l'impeto dell' armi in altro loco. Che gioverà l'aver d'Eurojia accolto Sì grande sforzo, e posto in Asia il foco. Quando sia poi di sì gran moti il fine Non fabbriche di regni, ma ruine? XXV Non edifica quei che vuol gl'imperi Su fondamenti fabbricar mondani. Ove ha pochi di patria e fé stranieri. Fra gl'infiniti popoli pagani: Ove ne' Greci non convien che speri, E i favor d'Occidente ha sì lontani: Ma ben move ruine, ond'egli oppresso Sol construtto un sepolcro abbia a se stesso. IO LA GERUSALEMME XXVI Turchi, Persi, Antiochia (illustre suono, E di nome magniQpo, e di cose ) Opre nostre non già, ma del Ciel dono Furo, e vittorie fur meravigliose. Or, se da noi rivolte, e torte sono Contra quel fin chel donator dispose; Temo cen privi, e favola alle genti Quel sì chiaro rimbombo alfin diventi. XXVII Ah non sia alcun, per Dio, che si graditi Doni in uso sì reo perda, e diffonda. A quei che sono alti principj orditi , Di tutta Topra il filo, el fin risponda. Ora che i passi liberi e spediti, Ora che la stagione abbiam seconda. Che non corriamo alla Città eh' è meta D'ogni nostra vittoria? e che più 1 vieta? XXVIII Princìpi, io vi protesto ( i miei protesti Udrà il mondo presente, udrà il futuro: L'odono or su nel Cielo anco i Celesti ) Il tempo dell'impresa è già maturo. Men divien opportun, più che si resti; Incertissimo fia quel eh' è sicuro. Presago son, s'è lento il nostro corso. Ch'avrà d'Egitto il Palestin soccorso. CANTO PRIMO II XXIX Disse: e a i detti segui breve bisbiglio; Ma sorse poscia il solitario Piero, Che, privato, fra'Priiicipi a consiglio Sedea, del gran passaggio autor primiero. Ciò ch'esorta Goffredo, ed io consiglio: Né loco a dubbio v'ha, sì certo è il vero, f) per se noto; ei dimostrollo a lungo; Voi l'approvate: io questo sol v'aggiungo: XXX Se ben raccolgo le discordie e Fonte , Quasi a prova da voi fatte, e patite, I ritrosi pareri, e le non pronte, E in mezzo all'eseguire opre impedite; Reco ad im'alta originaria foqte La cagion d'ogni indugio, e d'ogni lite: A quella autorità, che in molti, e 'vari D'opinion, quasi librata, è pari. XXXI Ove un sol non impera, onde i giudicj Pendano poi de' premj , e delle peiv^, Onde sian compartite opre, ed ufficj; Ivi errante il governo esser conviene. Deh, fate un corpo sol di membri amici: Fate un capo , che gli altri indrizzi e frene : Date ad un sol lo scettro, e la possanza, £ sostenga di Re vece, e sembianza. i^ LA GERUSALEMME xxxu Qui tacque il veglio. Or quaipensier,quai pelli SoQ chiusi a te, sant'aura, e divo ardore? Inspiri tu dell'eremita i detti, E tu gì' imprimi a i cavalier nel core: Sgombri gl'inserti, anzi gl'innati affetti Di sovrastar, di libertà, d'onore; Sì che Guglielmo e Guelfo, i più sublimi, Chiamar Goffredo per lor duce i primi. XXXIII L'approvar gli altri. Esser sue partì dénno Deliberare, e comandare altrui. Lnponga a i vinti legge egli a suo senno; Porli la guerra, e quando vuole, e a cui. Gli altri, già pari, ubbidienti al cenno Siano or ministri degVimperj sui. Concluso ciò-, fama ne vola, e grande Per le lìngue degli uomini si spande. XXXIV £i si mostra ai soldati; e ben lor pare Degno dell'alto grado ove l'han posto: E riceve i saluti, e '1 miliiare • Applauso, in volto placido e composto. Poi eh' alle dimostranze umili e care D'amor, d'ubbidienza ebbe risposto, Imjx)n che'l dì seguente, in un gran campo, ' Tutto si mostri a lui schierato il Camjx). CANTO PRIMO i3 XXXV Facea nell'oriente il sol ritorno Sereno, e luminoso oltre F usato 5 Quando colaggi uscì del nuovo giorno Sotto l'insegne ogni guerriero armato: E si mostrò quanto potè più adomo Al pio Buglion, girando in largo prato. S'era egli fermo, è si vedea davanti Passar distinti i cavalieri, e i fanti. XXXVI Mente, degli anni e dell' oblìo nemica, Delle cose custode, e dispenserà, Vagliami tua ragion si, ch'io ridica Di quel campo. ogni duce, ed ogni schiera. Suoni e risplenda la lor fama antica. Fatta- dagli anni ornai tacita e nem: Tolto da' tuoi tesori^ orni mia lingua Ciò ch'ascolti ogni età^^ nulla l'estingua. XX^VII Prima i Franchi. mostrarsi: il duce loro Ugone esser solea , . del i Re fratello. Nell'isola di FranidiB eletti foro. Fra quattro. fiumi, ampio paese é bello. Poscia che Ugcm morìy dé-gigh d^oro Seguì l'usata inségna il fìer drappello Sotto Clotarép, capltaiio pregio, A cui, se nulla manca, è il nomei regio* i4 LA GERUSALEMME XXXVIII Mille son di gravissima annatnra: Sono altrettanti i cavalier seguenti, Di disciplina a i pi-imi, e di natura, E d'arme e di s^nbianza indifferenti; Normandi tutti, e gli ha Roberto in cura, eh' è principe natio di quelle genti. Poi duo Pastor de' popoli spiegaro Le insegne lor, Guglielmo, ed Ademaro. XXXIX L'uno e l'altro di lor, che ne' divini llfficj già trattò pio ministero. Sotto l'elmo premendo i lunghi crini , Esercita dell'arme or l'uso fero. Dalla citta d' Grange, e dai confini Quattrocento guerrier scelse il primiero; Ma guida quei di Poggio in guerra l'altro, Numero egual, uè men nell'arme scaltro. XL Baldovìn poscia in mostra addur si vede Co' Bolognesi suoi quei del germano: Che le sue gead il pio fratel gli cede Or, ch'ei de Capitani è Capitano. Il Conte de' Carnuti indi succede., Potente di Consilio, e prò di mano. Van con lui quattrocento; e triplicati Conduce Baldovino in «eik armati. CANTO PRIMO i5 XLI Occupa Guelfo il campo a lor vicino, Uom, eh' air alta fortuna agguaglia il meno. Conta costui per genitor Latino Degli Avi Estensi un lungo ordine, e certo. Ma German di cognome, e di domino, Nella gran casa de'Guelfoni è inserto. Regge Carìntia, e presso Tlstro e 1 Reno, Ciò che i pmchl Suevi e i Reti avieno. iXLII A questo, che retaggio era materno. Acquisti ei giunse gloriosi e grandi ; Quindi gente traea che prende a scherno D'andar contra la morte, ov'ei comandi: Usa a temprar ne' caldi alberghi il verno, E^ celebrar con lieti inviti i prandi. Fur cinquemila alla partenza, e appena ( De' Persi avanzo ) il terzo or qui ne mena, 'XLIII Seguìa la gente poi candida, e bionda. Che tra i Franclii, e i Germani, el mar si giace. Ove la Mosa, ed ove il Reno inonda, Terra di biade e d'animai ferace: E gl'Isolani lor, che d'alta sponda Riparo fansi all'Ocean vorace: L'Ocean, che non pur le merci e i legni. Ma intere inghiotte le Cittadi, e i Regni. i6 LA GERUSALEMME XLIV Gli uni e gli altri son mille; e tutti vanno Sotto un altro Roberto insieme a stuolo. Maggior alquanto è lo squadron Britanno: Guglielmo il regge, al Re minor figliuolo. Sono gl'Inglesi sagittarj, ed hanno Gente con lor, eh' è più vicina al \kAo. Questi dall'alte selve irsuti manda La divisa dal mondo ultima Irlanda. XLV Vien poi Tancredi; e non è alctm fi'a tanti (Tranne Rinaldo ) o feritor maggiore , O più bel di maniere e di sembianti^ 0 i)iù eccelso ed intrepido di core. S' alcun' ombra di colpa i suoi gran vanti Rende men chiari, è sol follia d'amore, Nato fra l'arme, amor di breve vista, Glie si nutre d'affanni, e forza acquista. XLVI L fama, che quel dì che glorioso Fé la rotta de' Persi il popol Franco, Poi che Tancredi alfln vittorioso 1 fuggitivi di seguir fu stanco. Cercò di refrigerio, e di riposo, All'arse labbra, al travagliato fianco: E trasse, ove invitollo al rezzo estivo Cinto di vei-di seggi un fonte vivo, CANTO PRIMO 17 XLVII Quivi a lui d'improvviso una donzella Tutta, fuor che la fronte, annata apparse. Era pagana, e là venuta andi'ella Per ristessa cagion di ristorarse. Egli mirolla, ed ammirò la bella Sembianza, e d'essa si compiacque, e n'arse. Oh meravig^! Amor, ch'appena è nato, i^ià grande vola, e già trìonià armato. XLVIII Ella d'elmo coprissi, e se non era Ch'altri quivi arrivar , ben l'assaliva, parti dal vinto suo la donna altera, Ch'è per necessità sdi fuggitiva; Ma l'immagine sua bella e guerriera Tale ei serbò nel cor, quàl'essa è viva : £ sempre ha nel pensiero e l'atto e '1 loco In che la vide, esca continua al foco« XLIX E heà nel volto suo la gente accolla liCgger potria: questi arde, e fuor di spene^ Cosi vien sospiroso, è còsi porta Basse le ciglia, e di mestizia piene^ Gli ottocento a cavallo, a cui fa scorta, Lasciar le piagge di Campagna amene, P(xnpa maggior della natura, e i colli Che vagheggia il Tu*ren ferini- e molli i« LA GERUSALEMME X. VetiiìA dietro dageu» m Crecit um^ Che son qam di &rm in tutto scardu: Pendon spade riMite all'un de'laiti: Suonano al ter^ lor &Tecre^ ed archi: Asciutd hanno i oavalii^ ai corso usad^ AJàk 6mck ivmd^ ai cibo ^rchi : Neil' assalir s(m prond, e loei ritrarsi; £ combatton fu^ndo erranti e sparsi. LI Tazio regge la schiera; e scd fii questi Che, Greco, acccttìpagnò l'anni Laftine^ Oh vergogna) ìAì mdMol or non aTe»i Tu , Grecia, qneOe guerre a «e vicine? £ pur qu^ a spmjstcóLù sedesti, Lenta abitando de'grand'atti il fine. Or, »e tu se' vii iserva, è fl tuo senmggio ( Non ti kgeiar ) gitistizìa^ e non «dtraggio. Llt Squadra d' ordine estrema ecco vieit poi^ Ma d'oncMT prima^ e di calore, ch'arie, Son qui gli awenfiuiieri tnvitd eroi, Terror dell' Àsia^ e fclgoii 'ài Marte^ Taccia Ai^ i Mìnf , e taccia Artà ì^'swm £rranti', dhte 4i sogdi 0ii])>ion le <»rte ; Ch'ogni an^ca memòria appo costoro Perde. Or ^uai ^ce fta degno di loro? CANTO PRIMO 1^ LUI Dudon di Coojsa è il duce: e perchè duro Fu il giudicar di sangue, e di virtute, Gli altri sopporsi a lui concordi furo, Ch*avea più cose fatte, e }»ù veduta. Ei di virilità grave e maturo, Mostra in fresco vigor chiome canute; Mostra, quasi d'onor vestigj degni^ Di non Jbrutte ferite impressi segni. LIV Eustazio è poi fr» primi: e i prq)rj pregj Illustre il fanno^ e più il fratel t)uglione. Gemando v'è, nato de* re jJforvegj, Che scettri vanta ^ e titoli, e corone. Ruggier di Balnavilla infra gU egregj La vecchia £ima, ed Engerlaa ripojie. E celebrati son fra i più gagliardi Un Gentonio, un Ranobaldo, e duo Gher^rdt. LV Son fra' lodati Ubaldo anco, e Ro^moKido, Bel gran ducato di Liacastro erede, ^on fìa ch'Obizzo il Tosco aggravi al fpii49 Chi fa ddle menjiorie avare prede; J^è i tre fratei Lcwibardi al c^wq mopiàfi Involi, Achille, Sforza, e Palami: 0 1 forte C^on^ che conquistò lo acpdo^ In cui dall'angue «s(^ il éw^ullp i^^ aò LA GERUSALEMME LVI Né Olialo, né Ridolfo addietro lasso; Né Tun né T altro Guido, ambo famosi^ Non Ebet-ardo, e non Gemier tràjìasso Sotto silenzio ingratamente ascosi. Ove voi me, di niunerar già lasso, Gildippé, ed Odoardo, amanu e sposi, Rapite? O nella guerra anco consorti, Non sarete disgiunti, ancor che morti* LVII Nelle scuole d*Amor che non s* apprende? Ivi si fé costei guerriera ardita: Ya seihpre affissa al caro fianco, e pende Da un fatò solo l'una e Talti'a vita. Colpo ch^adun sol noccia unqua non scende^ Ma indiviso è il dolor d'ogni ferita: E spesso é Tun ferito, e T altro langue; E versa l'alma quel, se questa il sangue. Lvni Ma il fanciullo Rinaldo e sovra questi, £ sovra quanti in mostra eran condutti, Dolcemente feroce alzar vedresti La regal frónte, e in lui mirar sol tutti. L'età precotise, e la speranza; e presti Pareano i fior, quando n'uscirò i frutti: Se 1 miri fulminar nell'arme avvolto, ' Marte lo stimi: Amor, se scopre il vdito. CANTO PRIMO ai LIX liui nella riva Offerse, e '1 volle in se sola racocHre: Magnanima menzogna! or quando è il ve^o Sì bello, che si possa a te preporre? Riman sospeso, e non sì tostò il fero Tiranno all'ira, come suol, trascoire. Poi la richiede: io vuo' che tu mi scopra Clii die consiglio, e chi fu insieme all'opra. CANTO SECONDO 4» XXIII Non Volli fiu* della mia gloria altrui Neppiir miiiima parte, ella g^ dice: Sol di me stessa io consapevcd fui. Sol coQsiglieray e seda esecutrice. Dunque in te sola, ripigliò colui, Caderà Tira mia vendicatrice. Disse ella: è giusto; esser a me conviene, Se fui sola all'onor, sola alle pene. XXIV Qui* comincia il tiranno a risdegnarsi; Poi le dimanda: ov'hai Timago ascosa? Non la nascosi, a lui risponde, io Tarsi; £ l'arderla stimai laudabil cosa. Cosi almen naa potrà più violarsi Per man da' miscredenti ingiuriosa. Signore, o chiedi il furto, o 1 ladro chiedi; Quel non vedrai in etemo, e questo il vedi. . XXV Benché né furto è il mio, ne :ladra io sono: Giusto è ritor ciò ch'a gran torto è tolto. Or quésto udendo, in minacciev(d sucmo Freme il tiranno, e '1 fren dell' ii*a è sciolto. Non speri più di ritrovar perdóno Cor pudico, alu mente, o nobil volto: £ indamo amor contra lo sde^o crudo Di sua vaga bellezza a lei la scudo. 4a LA GERUSALEMME XXVI Presa è la bella donna, e incrodelito n re la danna entro nn incendio a mone. Già 1 velo, e 1 ca^ manto è a lei rapito; Stringon le mc^ braccia asjH^e ritorte. Ella si tace; e in lei non sbigottito, Ma p|Lir commosso alquanto è 1 petto forte; E smarrisce il bel volto in un colore, Che non è pallidezza, ma candore. XXVII Divnlgossi il gran caso, e quivi tratto Già il popol s'era: Olindo anco v'accorse; Dubbia era la persona, e certo il &tto: Venia, che fosse la sua donna, in forse. Come la bella prigioniera in atto Non pur di rea, ma di dannata ei scorse^ Come i ministri al duro ufficio intenti \lde, predpitoso urtò le graitL XXVIII Al re gridò: non è, non è già rea Costei del fiirto, e per follìa s^i vanta.. Non pensò, non ardi, né far potea Donna sola e inesperta opra cotanta. Come ingannò i custodi? e della Dea Con qual'artì involò Timagin santa? Se 1 fece, il narri. Io l'ho, signor, forata» Ahi tanto amò la non amante amata! CANTO SECONDO 43 ÌLXIX So^unse poscia: io là, donde riceve L'alta vostra mesciuta e l'aura e 1 dk. Di notte ascesi, e trapassai per breve Foro, tentando inaccessifail vie. A me l'onor, la morte a me si deve; Non usurpi costei le pene mie: Mie son quelle catene, e pw me questa Fiamma s'accende, e 1 rogo a me s'appresta. XXX Alza SoJGronia il' viso, e umanamente Con occhi di pietade in lui rimira: A che ne vieni, o misero innocente? Qufi consiglio o furor ti guida , o tira? Noii son io dunque senza te possente A sostener ciò che d'un uom può l'ira? Ho petto anch'io, di' ad una morte crede Di bastar solo, e compagnia non chiede. XXXI Cosi parla all'amante, e noi di^ne Sì ch'egli si disdica, o pensier mute* Oh spettacolo grande, ove a t^izone > Sono. amore, e magnanima virtute! Ove la morte al vincitor si pone In premio, e '1 mal del vinto è la salute! Ma più s'irritd il rp^ quant'ella ed esso È {HÙ costante in ingolpar se stesso^ 44 LA GERUSALEMME XXXII Pai^ che vilipéso egli ne resti ; £ che 'a disprezzo suo sprezzili le pene. Credasi, dice, ad. ambo, e quella, e questi Vinca, e la palma sia qual si conviene. Indi accenna ai sergenti, i quai son presti A legar il garzon di lor catene. Sono ambo stretti al palo stesso, e volto È il tergo al tergo, e 1 volto ascoso al volto. XXXIII Composto è lor d'intorno il rogo ornai, E già le fiamme il mantice v'incita: Quando il fanciullo in dolorosi lai Proruppe, e disse a lei eh' è seco unita: Questo dunque è quel laccio, ond'io sp^ai Teco accoppìaiiui in compagnia di vita? Questo è quel foco, ch'io credea che i cori Ne dovesse infiammar d'eguali ardori? XXXIV Altre fiamme, altri nodi amor promise; Altri ce n'apparecchia iniqua sorte. Troppo, ahi ben troppo eUa già noi divise! Ma duramente or ne congiunge in morte. Piacemi almen, poiché in si strane guise Morir; pur dei, del rc^o esser consoite, Se del letto non fui: duolmiil tuo fato. Il mio non ^ià; poi ch'io ti moro aliata CANTO SECONDO 4^ ^ XXXV Ed oh mia sorte avventurosa appieno^ Oh fortunati miei dolci martìri, Se impetrerò, che giunto seno a seno L'anima mia nella tua bocca io spiri; E venendo tu meco a un tempo meno, In me fiior mandi gli ultimi sospiri. Così dice piangendo; ella il ripiglia Soavemente, e in tai detti il consiglia: xxxyi Amico, altn pensieri, altri lamenti Per più alta cagione il temjM chiede. Che non pensi a tue colpe , e non rammenti Qual Dio prometta à i buoni ampia mercede? Soffri in suo nome, e sian dolci i tormenti ; E lieto aspira alla superna sede. Mira il ciel com'è bello, e mira il sole, Ch'a se par die n'inviti, e ne console. XXXVII Qui il vulgo de' pagani il pianto estolle: Piange il fedel, ma in voci assai più basse. Un non so che d'inusitato e molle Par che nel duro petto al re trapasse. £i preaentillo, e si sdegnò; né vdle Piegarsi, e gli occhi tCMrse, e si ritrasse. Tu sola il duol comun non accompagni, Sofronia, e pianta da ciascun non piagni. 46 LA GERUSALEMME ' XXXYIII Mentre sono in tal rìsduo, ecco un guerrièro (Che tal parca) d'alta sembianza, e degna: £ mostra, d'anne e d'abito straniero^ Che di loutan peregrinando vegna. . La tìgre^ che sull' ebno ha per cinnero, Tutti gli occhi a se trae; famosa insegna^ Insegna usata da Clorinda in guerra, Onde la credon lei^ né il creder erra. XXXIX Costei gl'ingegni femminili, e ^ usi Tutti sprezzò sin dall'età più acerba: A i lavori d'Aracne^ all'ago, ai fusi Iildiinar non d^nò la man superba: Fuggi gli abiti molli e i lochi chiusi; Che ne' campi onestate anco si serba: Armò d'orgc^o il TcJto, e si compiacque Rigido farlo; e pur rigido piaocpe^ XL Tenera ancor con pargc^etta destra Strinse^ e lento d'uà corridore il morso: Trattò l'asta e la spada^ ed in palestra Indurò i membri, ed allenc^li al corso: Poscia o per via montana^ o per silvestra^ L'orme seguì di fier leone e d'orso: Segui le guerre, e in esse e fra le sdlve Fera agli uoDoini parve, uomo aUe belve. CANTO SECONDO 4? Xhl Viene or costei dalle contrade Pene, Perchè a i cristiani a suo poter resista; . Bench'akre vohe ha di lor membra asperse IjC piagge, e Tonda di lor sàngue ha mista. Or scettro, e legge sia quel che comandi. Cosi parlava: ella rendea cortese Grazie per lodi; indi il parlar riprese; XLIX Nuova oo6a parer dovrà per certa Che preceda a'servig) il guiderdone; Ma tua bontà m'affida: io vuo che'n merto Del fiituro servir que'rei mi dcme. In don li chiegi^o; e pur^ sei fallo é incerto; Gli danna indem^iussima ragione: Ma taccio questo, e taccio i sego! espressi, Ond' argomento Finnoceivsa in essi. 4 So LA GERUSALEMME E dirò sol, ch*è qui oomun sentenza Ghe i cristiani togliessero Tìmmago: Ma discord' io da voi; né però senza Alta ragion del mio parer m'appago. Fu delle nostre le^ irriverenza Quell'opra £ur, che persuase 1 mago; Che non convien ne' nostri temp) a nui Gl'idoli avere, e men gì' idoli altrui. LI Dunque suso a Macon recar mi giova n miracol dell'opra; ed ei lo fece per dimostrar che i tempj suoi 6on nova Religìon contaminar non lece. Faccia Ismeno incantando ogni sua prova, Egli a cui le malie son d'arme invece: Trattiamo il ferrod pur noi cavalieri: Quest'arte è nostra, e 'n questa soL sl speri. in Tacque ciò detto; e 'rre,.bench'a pietade L'irato cor difficihnente pieghi, Pur compiacer la volle; e '1 persuade « Ragione, e'I move autorità di praghi. Abbian vita, rispose, e li^ertade, ' E nulla a t^n^tointercessw si^ne^hL Siasi questa giustizia, ower perdono ^^ Innocenti gli assolvo^, e rei gli dona CANTO SECONDO 5? LUI Cosi furon disciditi. Aweiiiuroso Ben veramente fu d'Olindo il; f^to; Ch'atto potè mostrar, che'n generoso i Petto alfine ha d'amore amor destato. Va dal rogo allo nozze, ed è già sposo Fatto di reo, non pur d'amante amato.. Volle con lei morire : ella nqn schiva, Poi che seco non mtior^ che seco viva* LIV Ma il sospettoso re stimò periglio: Tanta virtù congiunta aver vicinìa; . i . Onde, come egli volle, ambo in esigilo Oltra i temuni andar di Palestinat , < £i pur, seguendo il suo crudel coosigUo^ Bandisce altri fedeli, altri confina» . / Oh come lascian mesti i pai^oletti ^ Figli, e gli anticM padri, e i dolci Ietti! tv Dura division ! scaccia sci quelli Di forte corpo, e di feroce ingegno; / / Ma 1 mansueto sesso, e gli anni- imjbìeUir • Seco riti^, si come ostaggi, in pbgno« i . Molti n'andaro errando: altri jnd)elli\ Fersi, e jnù cbe'l timor pbtè Ip sdegna ..: Questi iunirsi «So'Frahdbul, e ^'ioìiow^irtfQ . Appunto il dì che in Emaus ««irAro^i 52 LA GERUSALEMME LVI Emaus è città, cui breve strada Dalla r^al Gerusalem disgiunge; Ed uom che lento a suo diporto vada, Se })arte mattutino, a nona giungle. Oh quanto intender questo ai Franchi aggrada! Oh quanto più il desio gli affretta, e punge! Ma, perch'oltre il meriggio il sol già scende, Qui ià spiegare il capitan le tende, LVII L'avean già tese: e poco era remota L'alma luce del sol dall'oceano; Quando duo gran baróni in veste ignota Venir son visti, e 'n portamento estrano. Ogn'atto lor pacifico dinota. Che vengan come amici al 'capitano. Del gran re dell'Egitto eran messaggi, E molti intomo avean scudieri, e paggi. LVIII Alete è l'im, che da principio indegno Tra le brutture della plebe è sorto; Ma l'innalzaro a i primi onor del regno Parlar facondo e lusinghiero e scorto, Pieghevoli costumi, e vario ingégno Al finger pronto, all'ingannare accorto; Gran fabro di calunnie adorne In modi Kovi, che sono accuse, e pajon lodi. CANTO SECONDO 53 LIX L' altro è il Circasho Argante, uom che straìiicrti Sen venne alla^ regal corte d' Egitto ; Ma de' satrapi fatto è dell'impero, £ in sommi gradi alla milizia ascritto^ Impaziente, inesorabile fero^ Neil' arme infaticabile ed invitto, D'ogni Dio spruzzatore, e che ripone Nella spada sua legge, e sua ragione. LX Chiesjer questi udienza, ed al cospetto Del famoso Goffredo ammessi entraro; E in umil seggio, e in un vestkre schietto Fra' suoi duci sedendo il ritrovaro ; Ma verace valor, benché negletto, È di se stesso a se fregio assai chiaro. Piccol segno d'onor gli fece Argante, In guisa pur d'uom grande, e non curante. LXI Ma la destra si pose Alete al seno, E chinò il capo, e piegò a terra i lumi; E l'onorò con ogni.modo appieno, , Che di sua gente portino, i costumi. Cominciò poscia, e di sua bocca uscieno, Più che mei dolci, d'eloquenza i fiumi; E, perchè i Franclii han già il sermone appresa Della Sona, fu ciò ch'ei disse inteso» 54 LA GERUSALEMME s LXII ' Oh degno sol, cui d'ubbidire or degni Questa adunanza dì femosi eroi, Che per F addietro ancor le pabne e i regni Da te conobbe, e da i consigli tuoi: U nome tuo, che non riman tra i segni D'Alcide, ornai risuona anco fra noi; E la ùmi d'Egitto in ogni parte Del tuo valor chiare novelle ha sparte. LXIII Né v' è fra tanti alcun che non le ascolte, Come egli suol le meraviglie estreme; Ma dal mio re con istupore accolte Sono non sol, ma con diletto insieme: £ s'appaga in narrarle anco più volte , Amando in te ciò ch'altri invidia e teme : Ama il valore, e volontario elegge Teco unirsi d'amor, se non di legge. I-XIV Da sì bella cagion dunque sospinto, L'amicizia e la pace a te ricliiede: E '1 mezzo, onde l'un resti all'altro avvinto, Sia la virtù, s'esser non può la fede. Ma perchè inteso avea che t'eri accinto Per iscacciar l'amico suo di sede. Volle, pria ch'altro male indi seguisse, Ch'a te ]a mente sua per noi ^'aprisse. / CANTO SECONDO 55 LXV E la sna mente è tal, che, se appagarti Yorrai di quanto hai £itta in guerra tuo^ Né Giudea molestar, né l'altre parti Che ricopre il &yor del regno suo ; £i promette all'incontro assicurarti n non ben fermo stato: e se voi duo Sarete uniti, or quando i Turdìi, e i Persi Potranno unqua sperar di riaversi? Lxvr Signor, gran cose in picciòl tempo hai fatte, Che lunga età porre in oblio non puote: Eserciti, città, vinti^ e disfatte, Superati disagj e strade ignote; Sì ch'ai grido o spiarrìte, o stupefatte' Son le Provincie intomo, e le remote: E, se ben acquistar puoi nuovi imper|, Acquistar nuova gloiia indamo speri. LXVII Giunta é tua gloria al sommo, e per F innanzi Fuggir le dubbie guerre a te conviene; ' • Ch'ove tu vinca, sol di stato avanzi, ' ' Né tua gloria maggior quìnd diviene: Ma l'imperio acquistato e preso dianzi, E Fonor perdi, se '1 contrario avviene. Ben gioco é di fortuna audace e stolto , Por contro il poco é'inceito, il certo él molto. 56 LA GERUSALEMME LXVIII Ma U consiglio di tal, cui forse pesa Ch'altri gli acquisti a lungo apdar conserve, E l'aver sempre vinto in ogn' impresa, E quella voglia naturai che ferve, E sempre è più ne' cuor più grandi accesa. D'aver le genti tributarie e serve; Faran, per avventura, a te la pace Fuggir, più che la guerra altri non face. I.XIX T'esorteranno a seguitar la strada. Che t'è dal fato largamente aperta: A non depor questa famosa spada. Al cui valore ogni vittoria è certa, • Fin che la legge dì Macon non cada, Fin che l'Asia per te non sia deserta. Dolci cose ad udire, e dolci inganni, Ond'escon poi sovente estremi donni. Ma, s' animosità gli occhi non benda^ Né il lume oscura in te della ragione, Scorgerai ch'ove tu la guerra prenda. Hai di temer, non di sperar, cagione; Che fortuna qua^iù varia a vicenda, Mandandoci venture or triste, or buone: Ed a' voli troppo alti, e repentini Sogliono i precipizj esser vicini. CANTO SECONDO 57 1.XX1 Dimini: $' a' danni tuoi FEgitto move. D'oro e d'anne potente, e di consiglio: £ s'awien dbe la guerra anco rìnnove n Perso, e'I Turco, e di Cassano il figlio; Quai forze opporre a si gran fiiria, o dove Ritrovar potrai scampo al tuo perìglio? T'affida ferse il re malvagio Greco , n qual dai sacri patti unito è teco? LXXII La fede Greca a chi non è palese? Tu da un sol tradimento ogn' altro impara: Anzi da mille, perchè mille ha tese Insidie a voi la gente infida, avara. Dunque chi dianzi il passo a voi contese, Per voi la vita esporre or si prepara? Chi le vie, che comuni a tutti sono, Negò, del proprio sangue or &rà dono? 1.XXII1 Ma forse hai tu riposta ogni tua speme In queste squadre, ond'ora cinto siedi^ Quei che sparsi vincesti, uniti insieme Di vincere anco agevolmente credi: Sebben son le tue schiere or molto scem^ Tra le guerre e i disagi, e tu tei vedi, Sebben nuovo nemico a te s'accresce, E co' Persi, e co' Turchi Egizj mesce^ 58 LA GERUSALEMME LXXIV Or quando pur istìmi esser fatale , Che vincer non ti possa il ferro mai; Siati concesso: e siati appunto tale Il decreto del ciel, qual tu tei fai. * Vinceratti la fame : a questo male Che rifugio, per dio, che schermo avrai? Vibra contra costei la lancia, e stringi tja, spada, e la vittoria anco ti fingi. LXXV Ogni campo d'intorno arso e distrutto Ha la provida man degli abitanti; E in chiuse mura, e ih alte torri il frutto .. Riposto al tuo venir più giorni innanti. Tu, ch'ardito fin qui ti sèi condutto, Onde speri nutrir cavalli e fanti? Dirai : l'armata in niar cura ne prende. Dai venti dunque il vìver tuo dipende? Comanda forse tua fortuna ai venti, £ gli avvince a sua voglia, e gii dislega? n mar, ch'ai preghi è sordo, ed ai lamenti^ Te solo udendo al tuo voler si piega? O non potranno pur le nostre genti, E le Perse, e le Turche unite in lega. Così potente armata in un raccorre. Che a questi legni tuoi si possa opporre? CANTO SECONDO 59 LXXYII Doppia Vittoria a te, signor, bisogna, S'hai dell'impresa a riportar V onore. Una perdita sola alu vergogna Può cagionarti, e danno anco mag^ore; Ch'ove la nostra annata in rotta pogna La tua, qui poi di fame il campo more: £ se tu sei perdente, indamo poi Saran vittoriosi i legni tuoi. txxviii Ora se, in tale statò , ancor rifiuti Col gran re dell'Egitto e pace e tregua, ( Diasi licenza al ver ) l'altre virtuti Questo consiglio tuo non bene adegua. Ma veglia il ciel che '1 tuo pensier si muti , S'a guerra è volto, e che'l contrario segua ^ * Sì che l'Asia respiri ornai da i lutti, £ goda tu della vittoria i frutti. Llxix Ne voi, che del periglio e degli affanni, £ della gloria a lui sete consortì, n favor di fortuna or tanto inganni , Che nove guerre a provocar V esorti} Ma, qual nocchier che da i marini inganni Ridotti ha i legni a i desiati porti, Raccor dovreste ornai le sparse vele. Né fidarvi di nuovo al mar crudele. 6o LA GERUSALEMME LXXX Qui tacqu» Alete; e 1 suo parlar seguirò Con basso mormorar que' forti eroi; E ben negli atti disdegnosi aprirò Quanto ciascun quella proposta annoj^ n capitai! rivolse gU occhi in giro Tre volte, e quattro, e mirò in fronte i suoi; E poi nel volto di colui gli affisse Ch'attendea la risposta, e cosi disse: . liXXXl Messaggier, dolcemente a noi spònesti Ora cortese, or minaccioso invito. Se 1 tuo re m'ama, e loda i nostri gesti^ È sua mercede, e m'è Tamor gradito. A quella parte poi, dove protesti lia guerra a noi del paganismo unito ^ Risponderò, come da me si suole, Liberi sensi in semplici parole. LXXXII Sappi, che tanto abbiam finor sofferto In mare e in terra, all'aria cliiara e scura, Solo acciocché ne fosse il calle aperto A quelle sacre e venerabil mura. Per acquistar appo Dio grazia e merto^ Togliendo lor di servitù si dura : Né mai grave ne fia, per fin si degno, llsporre onor mondano^ e vita, e regno. CANTO SECONDO 6i LXXXIII Gbe noD ambiziosi avari affetti Ne spronare all'impresa, e ne fur guida: Sgombri il Padre del ciel da i nostri peni Peste si rea, s'in alcun pur s'annida; Né soffra che l'asperga, e che l'infetti Di venen dolce, che piacendo ancida; Ma la sua man, che i duri cor penetra Soavemente, e gli ammollisce, e spetra, LXXXIV Questa ha noi mossi, e questa ha noi condutti^ Tratti d'ogni perìglio, e d'ogni impaccio: ^ Questa £i piani i monti, e i fiumi asciutti, L'ardor toglie alla state, al verno il ghiaccio: Placa del mare i tempestosi flutti : Stringe e rallenta questa a venti il laccio: Quindi son falte mura aperte ed arse, Quindi r armate schiere ujccise e sparse. LXXXV Quindi l'ardir, quindi la speme nasce, Non dalle frali nostre forise, e stanche; Non dall'armata, e non da quante pasce Genti la Grecia, e non dall'arme Franche. Pur eh' ella mai non ci abbandoni e lasce. Poco dobbiam curar eh' altri ci manche. Chi sa come difende, e come fere. Soccorso a i suoi perigli altro non chere. 63 LA GERUSALEMME LXZXVI Ma quando di sua aita ella ne privi Per gli errar nostri , o per giudizj occulti; Chi fia di noi ^^h* esser sepolto schivi Ov'i membri di Dio fixr già sepulti? Noi morirem, né invidia avremo ai vivi : Noi morirem, ma non morremo inulti) Né r Asia ridwà di nostra sorte: Né pianta fia da noi la nostra' morte, LXXXVII ' Non creder già che noi fuggiam la pace. Come guerra mortai si fugge e pavej Che r amicizia del tuo re ne piace ^ . Ne d'unirci con lui ne sarà grave: Ma se al suo imperio la Giudea so^aoe, Tul sai. Perchè tal cura ei dunque n ave? De' regni altrui l' acquisto ei non ci vieti , E regga'in pace i suoi tranquilli e lieti. LXXXVIII Cosi rispose, e di pungente rabbia La risposta ad Argante il cor trafisse : Né 1 celò già, ma con enfiate labbia Si trasse avanti al capitano, e disse: Clii la pace non vuol, la guerra s' abbia; Che penuria giammai non fa di risse: E ben la pace ricusar tu mostri, Se non t'acqueti ai primi detti nostri CANTO SECONnOj 63 LXZXIX Indi il suo manta per lo lembo prese^ GurvoUo, e femie un s^o, e 1 seqio ^x>rtQ| Cosi pur anco a ragionar riprese, Via più che prima dispettoso e torto : O sprezzator delle più dubbie imprese , £ guerra , e pace in questo sen t' apporto : Tua sia V elezione: or ti consiglia Senz'altro indugio , e qual più vuoi ti piglia» xc L'atto fiero, é 1 parlar tutti conunosse , A chiamar guerra in un concorde grido^ Non attendendo che risposto (osse Dal magnanimo lov duce Goifirido» Spiegò quel crudo il seno, e .'1 manto scosse:. Ed a guerra mortai, disse , visfìdoj . . £ 1 disse in atto si f&oce ed empio. Che parve aprir di Giano il chiuso lempio. xci Parve eh' apr^ido il saao indi traesse. S furor pazzo, e la discordi^ fera; . £ che negli pcchi orrìbili gli ardesse ,^- La gran ^ce d'Aletta, e di Megeria. vi),! Quel grande. già, ohe* mcontra il «eidkvKpcssf! : L'alta mole d' error , forse tal erti; ^ ? t £ in cotal atto rimirò Babelle ^ ^ : -i . Alzar la fronte, ejninaeciarlié st^l^^ r; 64 hk GERUSALEMME XCII Soggiunse allor Goffredo: Or riportate AI vostro re, che venga e che t'affretti; Che la guerra accettiam che minacciate f £ s' ei non viea, fra 1 Nilo suo n' aspetti. Accomiatò lor poscia in dolci e grate Maniere, e gli onorò di doni eleni: Ricchissimo ad Alete un elmo diede, Ch' a Nicea conquistò fra T altre prede. xeni £U)e Argante una ^da; e 1 £albro egregio L'else, e 1 pomo le fé gemmato, e d' oro, Con magistero tal die pèrde il firegia Della ricca materia appenU kvoro. Poidìè la tempra, e la ricchezza, e 1 fregio Sottilmente da lui mirati foro, Disse Argante al Buglion: vedrai ben tosto Come da me il tuo dono in uso è posta xciv Indi tdto congedo, e da lui ditto AI suo compagno: or ce n'andremo omai, Io ver Gerusalem, m verso Egittp, Tu col sol nuovo, io oo' notturni raì; Ch'uopo di mia presenea, o di mio scrìtto Esser non può colà dove tu vai; Reca m la risposta : io dilungarmi Quinci non vuo\ dove a tmtian l'armi^ CANTO SECONDO 65 xcv Così di messaggier £itto è nemico, Sia fretta intempestiva, o sia matura: La ragion delle genti, e l'uso antico S'offenda o no, né 1 pensa egli, nè'l cura : Senza risposta aver va per l'amico Silenzio delle stelle all'alte mura, D'indugio impaziente; ed a chi resta Già non men la dimora anco è molesta. xcvi Era la notte alloiN ch'alto riposo Han l'onde e i venti, e parea muto il mondo} Gli animai lassi, e quei che 1 mare ondoso, O de' liquidi laghi alberga il fondo, E chi si giace in tana, o in mandra ascoso, E i pinti augelli nell'oblio profondo Sotto il silenzio de' se^eti orrori Sopian gli affanni, e raddolciano i cori. xcvii Ma né 1 campo fedel, né 1 Franco duca Si discioglie nel sonno, o pur s'accheta, Tanta in lor cupidigia è che riluca Omai nel ciel l'alba aspettata e lieta, Perché il cammin lor mostri, e gli conduca AUa città ch'ai gran passaggio é meta, Mirando ad or ad or se raggio alcuno Spunti, o risdiiarì della notte il bruno. 5 LA GERUSALEMME LIBERATA # CANTO TERZO ARGOMENTO Giunge a Gerusalemme il campo; e quis;i Infera guisa è da Clorinda accolto. Ss^eglia in Erminia amor Tancredi: e %^is>i Fa i proprj incendj al discoprir d!un scolto. Jtestan gli awenturier di duce prwi: Cììun sol colpo d^ Argante a lor Vha toltOn Pietose esequie f angli. Il pio Buglione y CK antica selva si recida^ impone. Ijrià Taura messaggiera érasì desta Ad annunziar che se ne vìen Taurora. Ella intanto s' adoma , e l'aurea testa Di rose colte in paradiso infiora; Quando il campo , eh' all' arme ornai s' appresta , In voce mormorava alta e sonora, E prevenìa le trombe; e queste poi Dier più lieti e canori i segni suo». 68 LA GERUSALEMME II n saggio capitan oon dolce morso I desiderj lor guida e seconda; ; Che più faci! sana svolger il corso Presso Carid4ji alla volubil onda, O tardar Borea allor qhe scuote il dorso Dell'apennino, e i legni in mare affonda. Gli ordina y gì' incammina, e'n suon gli regge Rapido si, ma rapido con legge. Ili Ali ha ciascuno al core, ed ali al piede, * Né del suo ratto andar però s'accorge : Ma quando il sol gli arìdi campi fiede Con raggi assai ferventi, e in alto sorge; Ecco apparir Gerusalem si vede. Ecco additar Gerusalem si scorge : Ecco da mille voci unitamente Gerusalemme salutar si sente, IV Cosi di naviganti audace stuolo, Che mova a ricercar estranio lido, E in inar dubbioso, e sotto ignoto polo Provi Fonde follaci, e 1 vento infido; S'alfin Riscopre il desiato suolo, liO saluta da lunge in lieto grido: E Tuno all'altro il mostra, e intanto oUia La noja e Tmal della passata via. CANTO TERZO 6g Al gran piacer che quella prima vista Dolcemente spirò nell'altrui petto, Alta contrizlon successe, mista Di timoroso e riverente affetto. Osano appena d'innalzar la vista Ver la città, di Cristo albergo eletto; Dove mori, dove sepolto fiie, Dove poi rivestì le membra sue. VI Sommessi accenti, e tacite parole. Rotti singulti , e flebili sospiri Della gente ch'in un s'allegra e duole, Fan che per l'^a un mormorio s'aggiri, Qual nelle folte selve udir si suole, S'awien che tra le frondi il vento spiri: O quale infra gli scogli, o presso a i lidi Sibila il mar percosso in rauchi stridi. VII Nudo ciascuno il pie calca il sentiero; Che r esempio de' duci ogn' altro muove. Serico fregio o d'or, piuma o cimiero Superbo dal suo capo ognun rimuove. Ed insieme del cor l'abito altero Depone, e calde e pie lagrime piove. Pur, quasi al pianto abbia la via rinchiusa^ Cosi parlando ognun se atesso accusa: 70 LA GERUSALEMME vili . Dunque ove tu, Signor, di mille ri^i ^ Sanguinoso il terren lasciasti asperso, D'amaro pianto almen due fonti vivi * In si acerba memoria òggi io non verso? Agghiacciato mio cor, che non derivi Per gli occhi, e stilli in lagrime convet-so? Duro mio cor, che non ti spetri e frangi? Pianger ben meni ognor, s'ora upn piangi. IX Dalla cittade intanto un oh' alla guarda Sta d'alta torre, e scopre i mònii e icampi^ Colà giuso la polve alzare guarda,' Sì che par che gran nube in aria stampi: Par che baleni quella nube ed arda, Come di fiamme gravida, e di lampi : Poi lo splendor delucidi metalli Scerne, e distingue gli uoinini e i cavalU. AUor gridava :'bh qual |3er Varia stesa Polvere i' veggio! oh come par che splenda! Su, suso, o cittadini, alla difesa S'armi ciascun veloce, e i muri ascenda: Già presente è il nemico. E poi ripresa La voce: ognun s'affretti, e IWme prenda.; Ecco il nemico è qui: uura la polve, Che sotto orrida nebbia il cielo involve. CANTO TERZO '71 I sempCci fanciulli, e i vecchi inenni, £ 1 volgo delle dómie sbigottite Che non sanno ferir, né fare schermi, Traean supplici 'e mesti alle mesciute. Gli altri di membra , e d'animo più fermi Già frettolosi l'arme avean rapite. Accorre altri ^e porte, altri alle mura: H re va intomo, e 1 lutto vede, e aira. XII Gli orditii diede, e poscia el si ritrasse, Ove sorge una torre infra due porte, Sì ch'é presso al bisogno; e son più basse Quindi le piagge, e le montagne scorte. Volle che quivi seco Erminia andasse: Erminia bella, ch'ei raccolse in corte, Poi eh' a lei fii dalle cristiane squadre Presa Antiochia, e morto il re suo padre. XIII Clorinda intanto incontra ai Franchi è gita : Molti van seco, ed ella a tutti è innante. Ma in altra parte, ond'è secreta uscita. Sta preparato alle riscosse Argante. La generosa i suol seguaci incita Co' detti, e coti l'intrapido sembiante: Ben con alto principio a noi conviene, Bicea, fondar dell'Asia oggi la spene. 72 LA GERUSALEMME XIV Mentre ragiona ai «uoi, non lunge scòrse Un Franco stuolo addur rustiche prede, Che (com'è Fuso) a depredar precorse; Or con gregge ed armenti al campo riede. Ella ver loro, e verso lei sen corse n duce lor, eh' a se venir la vede. Gardo il duce è nomato, uom di gran possa. Ma non già tal, ch'a lei resister possa. XV Gardo a quel fiero scontro è spinto a terra In su gli occhi deTranchi, e de' Pagani, Ch'allor tutti gridar, di quella guerra Lieti augurj prendendo, i quai for vani. Spronando addosso agli altri ella si seiTa, E vai la destra sua per cento mani: Seguirla i suoi guerrier per quella strada. Che spianar gli uiti, e che s'aprì la spada. XVI Tosto la preda al predator ritoglie : Cede lo stuol de' Franchi a poco a poco. Tanto ch'in cima a un colle ei si raccc^lie. Ove ajutate son l'arme dal loco. Allor, siccome turbine si scioglie, E cade dalle nubi aereo foco, n buon Tancredi, a cui Goffredo accenna, Sua squadra mosse, ed arrestò l'antenna. CANTO TERZO 73 XVII Porta si salda la gran lancia, e in guisa Vien feroce, e leggiadro il giovinetto, Che veggendolo d'alto, il re s'avvisa Che sia guerrier infra g}i scelti eletto, Onde dice a colei eh' è seco assisa, E che già sente palpitarsi il petto : Ben conoscer dei tu per sì lungo uso Ogni mstian, benché nell'arme chiuso. XVIII Chi è dunque costui che cosi bene S'adatta in giostra, e fiero in vista è tanto? A quella, in vece di ris}x>sta, viene Sulle labbra un sospir, su gli occhi il pianto: Pur gli spirti e le lagrime ritiene. Ma non cosi che lor non mostri alquanto; Che gli occhi pregni un bel purpureo giro Tinse, e roco spuntò mezzo il sospiro. XIX Poi gli dice infingevole, e nasconde Sotto il manto dell' odio altro desio: Ohimè! bene il conosco,. ed ho ben donde Fra mille riconoscerlo deggia io. Che spesso il vidi i campi, e le profonde Fosse del sangue empir del popol mio. Ahi quanto è crudo nel ferire! a piaga Ch'd faccia, erba non giova, od arte maga. 74 LA GERUSALEMME Egli è il prence Tancredi: oh prigioniero Mio fosse un giorno! e noi vorrei già morto f Vivo il vorrei, perch'in me desse al fero Desio dolce vendetta alcun conforto. Cosi pariava; e de' suoi detti il vero Da eh] l'udiva in altro senso è torto: E fuor^ n'uscì con le sue voci estreme Misto un sQspir, ch'indarno ella giù preme* XXI Clorinda intanto ad incontrar l'assalto Va di Tancredi, e pon la lancia in resta. Ferirsi alle visiere, e i tronchi in alto Yolaro, e parte nuda ella ne resta; Che, rotti i lacci all'elmo suo, d'un saltQ ( Mirabil colpo! ) ei le balzò di testa : E le chiome dorate al vento sparse. Giovane donna in mezzo '1 campo apparse. XXII Lampeggiargli occhi, e folgorar gli sguardi Dolci nell'ira: or che sarian nel riso?* . Tancredi, a che pur pensi? a che pur guardi? Non riconosci tu l'amato viso? Quest'è pur quel bel volto, onde tutt' ardi: Tuo core il dica, ov'è il suo esempio inciso. Questa è colei che rinfrescar la fronte Vedesti già nel solijuuio fonte. CANTO TERZO 75 XXIII Ei^ ch'ai cimiero ed al dlpnto scudo ISovL badò prima y or lei veggendo im{)etr^ Ella, quanto può meglio, il capo ignudo Si ricopre e l'assale, ed ei s'arretra. Ya contra gli altri, e ruota il ferro orudo. Ma però da lei pace non impetra; Che minacciosa il segue, e volgi, grida: E di due morti in im punto lo sfida. XXIV Percosso il cavalier non rìpércote,' Ne Sì dal ferro a riguardarsi attende, Come a guardar i begli occhi e le gote, Ond'Amor l'arco inevitabil ten^é. Fra se dicea: van le percosse vote Talor che la sua destra armata scende; Ma colpo mai del bello ignudo volto Non cade in J&Uo, e sempre il cor m'è colto. XXV Risolve alfin, benché pietà non qpere. Di non morir tacendo occulto amante. Yuol dì' ella sappia che un prìgion suo fere Già inerme, e supplichevole, e tremante; Onde le dice: o tu che mostri avere Per nemico me sol fra turbe tante, Usciam di questa mischia, ed in disparte Io potrò teco, e tu meco provane. 76 LA GERUSALEMME XXVI Cosi me' si vedrà s'al tuo s'agguaglia n mio valore. Ella accettò l'invito, E com' esser senz'elmo a lei non caglia, Già baldanzosa, ed tei segala smarrito. Recata s'era in atto di battaglia Già la guerriera, e già l'avea ferito; Quand'egli: or ferma, disse, e siano fatti Anzi la. pugna della pugna i patti^ XXVII Fermossi; e lui di pauroso audace Rendè in quel punto il disperato amore: I patti sian, dicea, poi che tu pace Meco non vuoi, che tu mi tra^a il core, n mio cor, non più mio, s'a te dispiace Ch'egli più viva, volontario muore: È tuo gran tempo; e tempo è ben, che trarìo Ornai tu debba, e non debb'io vietarla XXVIII Ecco io chino le braccia, e t'appresenio Senza difesa il petto: or che noi fiedi? Vuoi che agevoli l'opra? Io son contento Trarmi l'usbergo or or, se nudo inchiedi. Distinguea forse in più duro lamento I suoi dolori il misero Tancredi ; Ma calca l'impedisce intempesdva De' pagani e de' suoi, che soprarriva. CANTO TERZO ^7 XXIX Cedean .cacciati dallo stuol cristiano • I Paleslioi, o sia temenza, od arte. Un de' persecutori, uomo inumano, Videle sventolar le chiome sparte; E da tergo ;in passando alzò la manQ, Per ferir lei jiella sua ignuda parte^ Ma Tancredi gridò, che se n'accorse, £ con la spada a qpiel gran colpo accorse. XXX, Pur non ^ tutto invano, e ne' confini Del bianco collo il bel capo ferille. ^ Fu levissima piaga, e i biondi crini Rosseggiaron cosi d'alquante stille, Come rosseggia l'or che di rubini Per man d'illustre artefice sfàville. Ma il prence infuriato allor si spinse Addosso a quel villatio, e '1 ferro strinse^ XXXI Quel si dilegua^ 6 questi acceso d'ira n segue; e van come per l'aria strale* Ella riman sospesa, ed ambo mira Lontani molto, uè seguir le cale; Ma co' suoi fuggitivi si ritira;. Talor mostra. la fronte, e i Franchi asss^e: Or si volge, or rivolge^ or fu^e, or fu^; ^ JHè si può dir k sua q^cdfi^ jciè ^ga. , 78 LA GERUSALEMME XXXII Tal grauci tauro talor nell^ ampio agone. Se volge il corno a i cani, ond'è seguito, S' arretrali essi; e s'a fuggir à pk>ne, Ciascun ritorna a seguitarlo tfdito. Clorinda nel fiiggir da tergo oppone Alto lo scudo, e 1 capo èoistodito. Così coperti van ne' giuochi Mori Dalle palle lanciate i fuggitori. XXXIII Già questi seguitando, e quei fuggendo. S'èrano all'ake mura avvicinati^ Quando alzaro i Pagani un grido orrendo, E indietro si fur subito vdtati, E fecero un gran giro, e poi volgendo Ritornaro a ferir le spalle e i lati: E intanto Argante giù movea dal monte lia schiera sua per assalirgli a fronte. XXXIV n feroce Circasso usci di stuolo, Ch'esser voli' egli il feritor primiero: E quegli, in cui feri, fii steso al suolo, E sossopra in un fascio il suo destriero: E pria che l'asta in tronchi andasse a volo, M(dti cadendo c(»tt]ipàgnia gli fero. P(H stringe il ferro; e quando giudee a ])ieno, Sempre uctiide, od abbatte, ò ]^agà almeno. CANTO TERZO 79 XXXV Clorinda emula sna tolse di vita n forte Àrdelio, uom già d'età matura^ Ma di vecchiezza indomita, e munita Dì duo gran figli, e pur non fìi sicura; Ch^ Alcandro il mag^or figlio aspra feritb Rimosso avea daUa patema cura: £ Poliferiio, che restogli appresso, A gran pena salvar potè se stesso. xxxvi Ma Tancredi, da poi ch'egli non giubge Quel villan, che destriero hai più corrente, Si mira addietro, e vede ben, che lunge ' Troppo è trascorsa la sua audace gente : Vedela intorniata, e 1 corsier pUnge, Volgendo il fileno, e là s'invia- repente: IVed egli solo i suoi guenier soccorre, Ma quello stuol, eh* a tutti i rischi àcbcHre, XXXVII Quel di Dudone avventurier drappello, Fior degli eroi, nerbo e vigor del campo. - Rinaldo, il più magnanimo e il più beUo^ ' ^ Tutti precorre, ed è mén ratto il lampa Ben tosto il portamento, e il Uanco atig^Ho Conosce Erminia nel celeste campo, > E dice al re, ch'in lui fissa lo sguardo: Eccoti il domator d'ogni gaf^iardo. 8i LA GERUSALEMME XLiy Né giova ad Algazzarre il fino usbei^o, Ned a Corban robusto il forte elmetto; Che in guisa lor ferì la nuca, e 1 tergo, Che ne passò la piaga al viso, al petto: E per sua mano ancor del dolce albergo L'alma uscì d'Amuratte, e di Meemetto, E del crudo Almansor ; né 1 gran Circasso Può sicuro da lui movere il passo. XLV Freme in se stesso Argante; e pur talvolta Si ferma, e volge, e poi cede pur anco. Alfin così improvviso a lui si volta, E di tanto rovescio il coglie al fianco. Che dentro il ferro vi s'immerge, e tolta È dal colpo la vita al duce Franco. Cade, e gli occhi, ch'appendi aprir si ppnno. Dura quiete preme,, e feii^eo sonno. XLVI Gli aprì tre volte, e i dolci rai del cielo Cercò fi*uii*e, e sovra un braccio alzarsi: E tre volte ricadde; e fosco velo Gli occhi adombrò, che stanchi alfin serrarsi. Si dissolvono i membri, e '1 mortai gelo Irrigiditi, e di sudor gli ha sparsi. Sovra il corpo già morto il fero Argante pùnto non bada, e via trascorre innante. CANTO TERZO 83 XLVII « Con tutto ciò, sebben d^ andar non cessa, Si volge a i Franchi, e grida: o cavalieri, ' Questa sanguigna spada è quella stessa, Che 1 signor vostro mi donò pur jeri: Ditegli come in uso oggi V ho messa, Ch'udirà la novella ei volentieri: E caro esser gli dee, che 1 suo bel dono Sia conosciuto al paragpn si buono. XLVIII Ditegli che vederne ornai s'aspetti . Nelle viscere sue più certa prova j E quando d'assalirne ei non s'affi*etti, Verrò, non aspettato, ov'ei si trova. Irritati i cristiani ai fqrì detti, Tutti ver lui già si moveano a prova; Ma con gli altri esso è già corso in sicuro. Sotto la guardia dell' amico muro, . XL|X I difensori a grandinar le pietre Dall'alte mura in guisa incominciaro, E quasi innumerabili faretre Tante saette agli archi ministraro. Che forza è pur chel Franco stuol s'arretre, E i Saracin nella cittade entraro. Ma già Rinaldo^ avendo il pie sottratto Ajl giacente destrìer, s' era qui tratto. 84 LA GERUSALEMME Venia per far nel barbaro omicida Dell'estinto Dudone aspra vendetta} E fra' suoi giunto alteramente grida: Or qual indugio è questo? e che s'aspetta? Poi eh' è morto il signor che ne fu guida, Che non corriamo a vendicarlo in fretta? Dunque in sì grave occasion di sdegno Esser può fragil muro a noi ritegno? LI Non, se di ferro doppio, o d'adamante Questa muraglia impenetrabil fosse, Colà dentro sicuro il fiero Argante S'appiatteria dalle vostr'alte posse. Andiam pure all'assalto: ed egli innante A tutti gK altri in questo dir si mosse ; Che nulla teme la sicura testa O di sassi o di strai nembo o tempesta. LII Ei, crollando il gran capo, alza la faccia Piena di si terribile ardimento, Che sin dentro alle mura i cori aggluaccia A i difensor d'insolito spavento. Mentre egli altri rincora , altri minaccia, Soprawien chi reprime il suo talento; Che Goflfredo lor manda il buon Sigiero De' gravi imperj suoi nunzio severo. CANTO TERZO 85 • LUI Questi sgrida in suo nome il troppo ardire, E incontinente il ritornar impone: Tornatene, dicea, eh' alle vostr'ire Non è il loco opportuno, o la stagione: Goffredo il vi comanda. A questo dire Rinaldo se frenò, ch'altrui fu sprone; Benché dentro ne frema, e in più d'un segno Dimostri fuore il mal celato sdegno. Tornar le schiere Indietro, e da i nemici Non fu il ritomo lor punto turbato: Né in parte alcuna degli estremi ufficj n corpo di Dudon restò fraudato. Sulle pietose braccia i fidi amici Portarlo, caro peso, ed onorato» Mira intanto il Buglion d'eccelsa pane | Della fofte cittade il sito, e l'arte. Gerusalem sovra due colli è posta D'impari altezza, e volti fronte a fronte: Va per lo mezzo suo valle interposta Che lei distingue, e Vuq dall'altro monte. Fuor da tre lati ha malagevol costa: Per l'altro vassi, e non |)ar che si monte ^ Ma d'altissime mura è più difesa La parte piana, e 'n con tra Borea stesa^ 86 LA GERUSALEMME La città dentro ha lochi, in cui si serba L'acqua che piove, e laghi, e fonti vivij Ma fuor la terra intomo é nuda d'erba, E di fontane sterile, e di rivi; Né si vede fiorir lieta e superba D'alberi, e fare schermo ai raggi estivi. Se non se in quanto oltra sei miglia un bosco Sorge d'ombre nocenti orrido e fosco. LVII Ha da quel lato donde il giorno appare, Del felice Giordàn le nobil onde, £ dalla parte occidental del mare Mediterraneo l'arenose sponde. Verso Borea è Betel, ch'alzò l'altare Al bue dell'oro, e la Samaria; e d'onde Aus#o portar le suol piovoso nembo, Betelem che'l gran parto accolse in grembo. LVIII Or mentre guarda e l'alte mura e'I sito Della città, Goffredo, e del paese; E pensa ove s'accampi , onde assalito Sia il muro ostilpiù facile all'offese; Erminia il vide, e dimostroUo a dito Al re pagano, e così a dir riprese: Goffredo è quiel, che nel purpureo ammanto Ila di regio e di augusto in se cotanto. CANTO TERZO 87 LIX Veramente è costui nato all' impero , Sì del regnar, del comandar sa l'arti: E non minor che duce è cayaliero, Ma del doppio valor tutte ha le parti. Né fra turba sì grande uom più guerriero, O più saggio di lui potrei mostrarti . Sol Raimondo in consiglio, ed in batta^ia Sd Rinaldo, e Tancredi a lui s'agguaglia. LX Risponde il re pagan: ben ho di lui Contezza, e 1 vidi alla gran corte in Francia, Quand' io d' Egitto messaggìer vi fui, E'I vidi in nobil giostra oprar la lancia: E, sebben gli anni giovinetti sui Non gli vestian di piume ancor la guancia, Pur dava ai detti, all'opre, alle sembianze, Presagio ornai d'altissime speranze. LXI Presagio ahi troppo vero! e qui le ciglia Turbate inchina, e poi le innalza, e chiede: Dimmi chi sia colui ch'ha pur vermiglia La sopravveste, e seco a par si vede. Oh quanto di sembianti a lui simiglia, Sebbene alquanto di statura cede! E Baldovin, risponde; e ben si scopre Nel volto a lui fratel, ma più nell'opre. 88 LA GERUSALEMME i LXII Or rimira colui che, quasi in modo D'uom che consigli, sta dall'altro fianco. Quegli è Raimondo, il qual tanto ti lodo D'accorgimento, uom già canuto e bianco. Non è chi tesser me' bellico frodo Di lui sapesse , o sia Latino, o Franco • Ma quell'altro più in là, ch'aurato ha l'elmo. Del re Britanno è '1 buon fìgliuol Guglielmo. LXIII V è Guelfo seco, e gli è d'opre leggiadre Emulo, e d'alto sangue, e d'alto stato . Ben il conósco alle sue spalle quadre, Ed a quel petto colmo, e rilevato. Ma '1 gran nemico mio tra queste squadre Già riveder non posso, e pur vi guato: Io dico Boemondo, il micidiale Distruggitor del sangue mio reale. LXIV Così parlavan questi; e '1 capitano. Poi eh' intomo ha mirato, a i suoi discende; E perchè crede che la terra invano S'oppugnerìa dove il più erto ascende ; Gontrala porta aquilonar, nel piano Che con lei si congiunge, alzale tende; E quinci procedendo , infra la torre Che chiamano angolar, gli altri fa porre. CANTO TERZO Sq LXV Da quel giro del campo è contenuto Della cittade il terzo^ o poco meno;. Che d' ogni intorno non avria potuto ( Cotanto ella volgea) cingerla appieno: Ma le vie tutte onde aver puote ajuto Tenta Goffredo d'impedirle almeno, Ed occupar fa gli opportuni passi, Onde da lei si viene, ed a lei vassi. LXVI Impcm che sian le tende indi munite E di fosse profonde, e di trìnciere: Che d'una parte a cittadine uscite , Dall'altra oppone a correrie straniere. Ma poiché fìir quest' opere fomite , VoU'egli il corpo di Dudon vedere j E colà trasse ove il buon duce estinto Da mesta turba e lagrimosa è cinto. LXVII Di nobil pompa i fidi amici omaro n gran feretro, óve sublime ei giace . Quando Goffredo entrò, le turbe alzaro La voce assai più flebile , e loquace : Ma con volto né torbido, né chiaro Frena il suo affetto il pio Buglione, e tace; E poi che 'n lui, pensando, alquanto fisse Le luci ebbe tenuta , alfin sì disse: 90 LA GERUSALEMME LXVIII Già non si deve a te doglia né pianto, Che, se muori nel mondo, in ciel rinasci \ E qui , dove ti spogli il mortai manto, Di gloria impresse alte vestila lasci. Vivesti qual guerrier cristiano e santo, E come tal sei morto: or godi, e pasci In Dio gli occhi bramosi, o felice alma^ Ed hai del bene oprar corona e palma. LXIX Vivi beata pur, che nostra sorte, Non tua sventura, a lagrimar n'invita; Poscia ch'ai tuo partir sì degna e folte Parte di noi fa col tuo pie partita . Ma se questa, che'l volgo appella moine, Privati ha noi d'una terrena aita. Celeste aita ora imjietrar ne puoi , Che '1 ciel ti accoglie infra gli eletti suoi. LXX E come a nostro prò veduto abbiamo, Ch'usavi, uom già mortai, l'arme mortali, Così vederti oprare anco speriamo. Spirto divin, l'arme del ciel fatali . Impara i voti omai, eh' a te porgiamo, Raccorre , e dar soccorso a i nostri mali : Tu vittoria c'impetra: a te di voti Solverem trionfando al tempio i voti. CANTO TERZO 91 LXXI Cosi diss'egU^ e già la notte Oscura Avea tutti del giorno i raggi spenti, E con r oblio d*ogni nojosa cura Ponea tregua alle lagrime, a i lamenti: Ma il capitan, ch'espugnar mai le mura Non crede senza i bellici stromenti, Pensa ond' abbia le travi, ed in quai forme Le macelline componga, e poco dorme. LXXII Sorse a pari col sole, ed egli stesso Seguir la pompa funeral poi volle. A Dudon d'odorifero cipresso Composto hanno un sepolcro a pie d'un colle Non lunge agli steccati, e sovra ad esso Un'altissima palma i rami estolle . Or qui fu posto; e i sacerdoti intanto Quiete all' alma gli pregar col canto. LXXIII Quinci e quindi fira i rami erano appese Insegne, e prigioniere arme diverse. Già da lui tolte in più felici imprese Alle genti di Siria , ed aUe Perse. Della corazza sua, dell'altro arnese la mezzo il grosso tronco si coperse: Qui , vi fu scritto poi , giace Dudone: Onorate l'altissimo campione. 92 LA GERUSALEMME LXXIV ( Ma il pietoso Buglion, poi che da questa Opra si tolse dolorosa e pia , Tutti i fabri dal campo alla foresta Con buona scorta di soldati invia . Ella è tra valli ascosa, e manifesta L'avea fatta a' Francesi uom di Soria. Qui per troncar le macchine n'andaro^ A cui non abbia la città riparo» LXXV L'un l'altro escnrta che le piante atterri, E faccia al bosco inusitati oltraggi. Gaggion recise da taglienti ferri Le sacre palme, e i frassini selvaggi, I funebri cipressi , e i pini, e i cerri, L' elei frondose , e gli alti abeti, e i faggi Gli olmi mariti , a cui talor s'appoggia La vite, e con pie torto al ciel sen poggia . LXXVI Altri i tassi, e le querde altri percote , Che mille volte rinnovar le chiome, E miUe volte ad ogni incontro immote L'ire de' venti han rintuzzate e dc«ne ; Ed altri impone alle stridenti rote D' orni e di cedri l'odorate some . Lasciano al suon dèli' arme, al vario grido , E le fere e gli augei, la tana e '1 nido. LA GERUSALEMME LIBERATA CANTO QUARTO ARGOMENTO Tutti i numi d! inferno a se raccoglie U imperàdor dei tenebroso regno ^ È per dare a cristiani acerbe doglie F^uolcKusi ognun di lor suo iniquo ingegno. Per lor opra Tdraote a crude scoglie Si svolge j e vuol cK Armida al suo disegno Spiani la via , parlando in dolci modi; E sue macchine sian bellezze^ e frodi. Jyienlre fan questi i bellici stromentì , Perchè debbano tosto in uso porse, n gran nemico delle umane genti Ck)ntra i cristiani i lividi occhi torse , E lor yeggendo alle bell'opre intenti, Ambo le labbra per furor si morse; £, qual tauro ferito, il suo dolore ' Versò mugghiando e sospirando fuore. . ^ 94 LA GERUSALEMME II Quind, avendo pur tutto il peusier Tolto A recar ne' cristiani ultima doglia , Che sia comanda il popol suo raccolto, (Concilio orrendo! ) entro la regia soglia, G^me sia pur leggiera impresa ( ahi stolto! ) Il repugnare alla divina voglia ; Stolto, ch'ai ciel si agguaglia, e in oblio })one Come di Dio la destra irata tuone. Ili Chiama gli abitator dell'ombre eteme n rauco suon della tartarea tromba : ^ Xreman le spaziose atre caverne, E l'aer cieco a quel romor rimbomba. Né si stridendo mai dalle superne Re^oni del cielo il folgor piomba; Né si scossa giammai trema la terra, Quando i vapori in sen gravida Sierra. IT Tosto gli dei d'abisso in varie torme Concorron d' ogn' intorno aU'alte porte. Oh come strane, oh come ombil forme! Quant'è negli occhi lor terrore, e morte! Stampano alcuni il suol di ferine orme, E'n fix)nte umana han chiome d'angui attorte, : EJor s'aggira dietro inmiensa coda. Che, quasi sferasa, si ripiega e snoda. CANTO QUARTO gS Qui mille immonde arpie Vedresti , e mille Centauri, e sfìngi, e pallide gorgoni , Molte e molte latrar voraci scille ^ E fischiar idre, e sibilar pitoni, £ vomitar cliimere atre &ville, £ polifemi orrendi, e gerioni, £ in nuovi mostri , e non più intesi o visti, -Diversi aspetti in un confusi, e misti « VI D'essi parte a ministra, e parte a destra A seder vanno al crudo re davante. Siede Pluton nel mezzo, e con la destra Sostien lo scettro ruvido, e pesante: Né tanto scoglio in mar, aè rupe alpestra, Né pur Calpe s'innalza, o '1 magno Adante, Ch'anzi luì non paresse un picciol colle; 8i la gran fronte, e le gran coma estolle. VII Orrida maestà nel fero aspetto Terrore accresce, e più superbo il rende: Rosseg^ian gli occhi, e di venmo infetto. Come infausta cometa, il guardo splende: Gl'involve il memo, e sull'irsuto petto Ispida, e folta la gran barba scende; £ in guisa di voragine profonda S' apre la bocca d'atro sangue immoa^. 96 LA GERUSALEMME vili Qual' i fìimi sulfurei ed infiammati EscoQ di mongibello, e 1 puzzo e 1 tuono ^ Tal della fera bocca i negri fiati, Tale il fetore, e le faville sono. Mentre ei parlava, Cerbero i latrati Ripresse, e Fldra si fé' muta al suono: Restò Cocito, e ne tremar gli abissi; E in questi -detti il gran rimbombo udissi: IX Tartarei numi, di seder più degni Là sovra il sole, ond'è Torigìn vostra. Che mdco giada i più felici regni Spinse il gran caso in questa orribil diiostra, Gli antichi altrui sospetti , e i fieri sdegni Noti son troppo, e l'alta impresa nostra. Or colui regge a suo voler le stelle, E noi siam giudicate alme rubelle. -X Ed in vece del di sereno, e puro. Dell'aureo sol, degli stellati giri, N'ha qui rinchiusi in quest'abisso oscuro, Né vuol ch'ai primo onor per noi s* aspiri, £ poscia (ahi quanto a ricordarlo è duro! Quest' è quel, che più Inaspra i miei martiri ) Ne' bei seggi celesti ha l'uom chiamato, L'uom vUe, e di vii fango in terra nafo. CANTO QUARTO 97 Né db ^ parve assai; malit pt^eda a mòite^ Sol per fame più danno, il {figUò: diede. Ei venne, e ruppe le tartara; porte , E porre osò ne! regni nostri il piede, E trarne l'aline a q^qì dpy^te inerte, » E riportapme.;^ ciel sì ricche prede; ^ Vihcitor trìon£uido, ^e in nopnxQ scherno ; U insegne ivi spiegar del vinto infemo. XII Ma cke rinnnovo i odiei dolor parlando? Chi nop ha già r ingiurie nostri, intese? ' ) Ed in qual parte si trovò, né quando, Gh' egli cessasse dall' usate imprese ? t •Non- più dessi )alFanUche andar pensando: Pensar .dobbiamo alle presenti offese. . Deh non vedete ornai coinè c;^ tenti j . Tutte al sub qulu) vicbiaiuar le |etiu? V Nói trarrem «tegUtto^ t ^omi, e Toiie, Né degna cura fia dbe 1 cor.n'acc^ada?! T E soflrirem che fon^à ognoi^ m«ig^are. . ^.i H suo popel féd^e 'in Asia pr^ndai?'. ' ^ r » / 1 E che Giudea jsiog^oghi j fi che 1 suoi onbre^i' : Che 1 nome ««uo |ftù si dilati e stepda? . . .. ) Che suoni in» ditte lingue, e in altri carHHi^ Si scriva^'e incida in nuovi bronzi , e in manni?^ 7 r 98 LA GERUSALEMME Gbe sian gì' idoli nostri a téma sptfsi? Che i nostri altari il mondo a lui converta? Ch* a lui sospesi i voti , a lui sol al^i Siano gl'incensi, ed auro e mirra àSSétiA? Ch'ove a noi tempio non solea séiràrsi, Or via non resti ^'arti nostrte aperta? Che di tant'alme il solito tributò*' '^'' ' ' Ne manchi, e in voto regno albèrghi Muto?* ' Ah non fia vergelle tton sono'dùeo «sthìti Gli spirti in noi di quél valor primiero,* ^ > ^ Quando di ferro e d'alte fiamme tinti)* ' ' ^ - Pugnammo già oonb-a il celeste impero. » •' J Fummo , io noi nègo , in quel oonflitld-' winìi; ' . Pur non manco virtute al gran pensiero: ! Ebbero i più felici dllor vittoria*,*» ^ * Rimase a nd d'invitto ardir la ^^ria. " XVI Ma^rchè più v'mdugiò^'flenè, o miei Fidi consòrti, o mia fòteàisL ^ (one-j Ite veloci , ed opprimete i ret, • ♦ ' Prima ch'il lòr poter più isi rbifiifzie^;; i Pria che tutt' arda a regno diegH El»0i,' > Questa fiamma creante cWi^i i^ammorzé : Fra loro entrate, e in ultimo lor danno Or la forza s'àdoprì, ed Or i'tìàganb»^ CANTO QUARTO 99 XVII Sia destin ciò ch'io voglfo^. altri disperso Sen vada errando: alui rimanga uoeiso: Altri in cure d'OTfior lascive immerso Idol si faGcia un dolce ^ardo e un riso : Sial ferro incontro ài suo rettor converso Dallo stuol ribellante e'n se diviso : Pera il campo e ruini, e resti in tuuo Ogni vestigio suo con lui distrutto» X;VIII Non aspettar g^Talmè a IXq rubells^ Che fosser queste voci «1 fin ^ivloite; Ma fìior volando a riveder le stalle Già se n'uscian dalla pixifonda notte^ Come sonanti ^e «wliMide procelle , Che vengan ftior dalie natie lor grotte . Ad oscurar il cielo ^ a portar guerra, Ai gran r^iìi dtàì ìxìve € della t^a« . XIX Tosto spiegando in varj lati i; vanni , ^ Si furon questi per lo mondo sparti; E incominciaro a fabbricar iogamu Diversi e nuoyi,^ ed ad usar Ipr arti.: , Ma di' tu^ Musa, come i prìjm danni . Mandassero a' Cristiani, e di quai parti; . Tu 1 sai ; ma di tant*opra a; noi si lurig& Debil aura di fama appena giunge,;. ; , loo. LA GERUSALEMME Reggea Damasco e le citta vicine Idraote , famoso e nobil mago, Che fiu da' suoi prim' anm all' indovine Arti si diede, e ne fh ògnor più vago. Ma che giovar, se non potè del fine Di quell' incerta guerra esser presago ? Ned aspetto di stelle erranti ò fisse, ' '^ Uè risposta d'inferno il vèr predisse? XXI Giudicò questi (ahi cieca umana mente. Come i giudicj tuoi son vani e torti! ) Che all'esercito invitto d'occidente Apparecchiasse il ciel mine è biorti: Però credendo che l'Egizia gènte La palma dell'impresa alfin riporti, Desia, che '1 popol suo niella Vittoria Sia dell' acquisto a parte, e della gloria. XXII Ma, peròhè il valor Franco ha in grande stima^ Di sanguigna vittoria i danni teme^ £ va pensantdo con qual arte in prima H poter de' Cristiani in parte scéme: Sì che più agèvoliViente indi s'opprima Dalle sue ìgèniì^it aall' Egizie insieme. In questo suo péitóièr il sovraggìunge L'angelo iniquo, e più l'itisiligd, e punge. CANTO QUARTO loi xxni Esso il consiglia^ e gli ministra i modi Onde l'impresa agevolar si puote. Donna, a cui di beltà le prime lodi Goncedea l'oriente, è sua nipote. Gli accorgimenti e le più occulte frodi, Ch'usi o femmina o maga, a lei son note: Questa a se chiama, e seco i suoi consigli Gomparte, e vuol, che cura ella ne pigli. XXIV 'Dice: o diletta mia, che sotto biondi Capelli, e fra sì tenere sembianze, Canuto senno, e cor virile ascondi, E già lieU'arti mie me stesso avanze; Gran pftnsier volgo; e se tu lui secondi, Segmteran gli effetti alle speranze: Tessi la tela ch'io ti mostro ordita, Di cauto vecchio esecutrice ardita. XXV Vanne al campo nemico: ivi s'Impieghi (^n'arte femmìnil, ch'amore alletti: Bagna di pianto, fa' melati i preghi : Tronca e confondi co' sospiri i detti : Beltà dolente e miserabil pieghi Al tuo volere ì più ostinati petti: Vela- il soverchio ardir con la vergc^na, £ &' manto del vero alla menzogna. 102 LA GERUSALEMME XXVI Prendi , s'esser potrà , Go&edo all'esca De' dolci sguardi, e de'bei detti adorai , Si eh' all' uomo invaghito ornai rincresca L'incominciata guerra, e la distorni. Se ciò non puoi, gU altri più grandi adesca: Menagli in parte, ond' alcun mai non torni. Poi distingue i ccHisigli; alfin le dice: Per la fé, per la patria il tutto lice. XXVII La bella Armida di sua ferma altera , E de' doni del sesso e dell' etate, li' impresa prende; e in sulla prima sera Parte, e tiene sol vie chiuse e celate: * E 'n treccia, e 'n gonna femminile spera Vincer popoli invitti, e schiere armate: Ma son del suo partir tra '1 volgo, ad arte, Diverse voci poi diffuse, e sparte. XXVIII Dopo non nkolti di vien la donzella Dove spiegate i Franclii avean le tende. All'apparir della beltà novella Nasce un bisbiglio, e '1 guardo ognun v'intende , Siccome là, dove comèta o stella Non più vista, di giorno in ciel rìsplende; E tra^on tutti per veder dii sia Si bella peregrina, e chi l'invia. CANTO QUARTO io3 Argo Qùn mai, iioo vide Cipro, o Ddo D'abito o di beltà fornae sì care. D'auro faa la chioma, ed or dal bianco yelo Traluce involta, or discoperta appare. Cosi qualor si rasserena il cielo, Or da candida nube il sol traspare, Or dalla nube uscendo, i raggi iptomo Più chiari spiega, e ne raddoppia il>giomo. XXX Fa nuove créspe Tauro al crki disdolto^ Che natura per se rincrespa in onde: Stassi Vavaro sguardo in se raccoltto, £ i tesori d'amore, e ì suoi nasconde. Diolce color di rose in quel bel volto Fra l'ayorìo si sparge e si confonde : Ma nella bocca, ond'escé aura amorosa. Sola rosseggia, e semplice .la rosa.. XXXI Mostra il bel pelto le sue ne^i ignuda, Onde il foco d'amor si nutre e desta: Parte appar delle mamme acerbe e crudei Parte altrui ne ricopre invida vesta: Invida, ma s*a^ occhi il varco chiude, L'amoroso pensier già non arresta; Che non ben pago di bellezza estema, Ne^ occulti aea*eti anco s'interna. io4 L/A GERUSALEMME XXXII Come per acqua, d per crìstalla, intero Trapassa il raggio, e noi divide o parte, Per entro il chiuso manto osa il pensiero Si penetrar nella vietata parte: Ivi si spazia, ivi contempla il vero Di tante meraviglie a parte a parte : Poscia al desio le narrale le descrìve, E ne fa le sue fiamme in lui più vive. XXXIII Lodata passa e vaghe^ata. Armida Fra le cupide turbe, e se n'avvede : Noi mostra g^à, benché in suo cor ne rìda^ E ne disegni alte ^vittorie epred^. Mentre sospesa alquanto alcuna ^uida Che la conduca al capitan, richiede, ^ Eustazio .occorse a lei, che del sovrano Principe delle^ squadre era germano. kixlv Come al lume farfalla, ei si rivolse Allo splendor della beltà divina, E rimirar da presso i lumi volse. Che dolcemente atto modesto inchina; E ne trasse gran fiamma, e la raccolse^ - Come da fuoco suole esca vicina: < E disse verso lei, ch'audace e baldo ^ n fea degli anni, e dell'amore il caldo v CANTO QUARTO io5 XXXV Donna, se pur tal nome a te convieni»!^ Che non somigli tn cosa terrena : Ne v'è figlia d'Adamo in cui dispensi Cotanto il ciel di sua luce serena: Che da te si ricerca? e donde viensi? Qual tua ventura o nostra or qui ti mena? Fa' ch'io sappia chi sei} fa' ch'io non erri Neil' onorarti ^ e s'è ragion, m'atterri^ xxxvì Risponde : il tuo lodar troppo alto salé^ Né tanto in suso il merto nostro arriva: Cosa vedi, signor, non pur mortale. Ma già morta ai diletti, al duol sol viva. Mia sciagura mi spinge in loco tale, Vergine peregrina e fiiggitiva : Ricorro al pio Go£Gredo, e in lui confido; Tal va di sua boutade intomo il ^do. XXXVII Tu l'aidito m'impetra al cafntanó, S'hai^ come pare, alma cortese e pia. Ed egli: è ben ragion eh' all' un germano L'altro ti guidi, e intercessor ti sia. Velane bella, non ricorri in vano: Non è vile appalui la grazia mia: Spender mtto potrai, come t'ag^ada. Ciò ^che vaglia il suo scettro, o la mia spada; iò6 LA GERUSALEMME XXXVIII Tace, e la guida ove tra i grandi eroi Allor dal volgo il pio Buglioa s'invola. Essa iacluQollo riverente^ e poi . Yergc^osetta non &cea parola. Ma quei rossor, ma quei timori suoi Rassecura il guerriero, e riconsola;. Sì che i pensati inganni alfine spiega, In suon che di dolcezza i sensi lega: XXXIX Principe invitto, disse, il cui gran nome Sen vola adùrno di sì chiarì fregi; • Che l'esser da te vinte, e in g^erra dome Recatisi a gloria le provincie, e i regi: Noto per tutto è il tuo valore, e come Sin da i nemici awien che s'ami, e pregi, Cosi anco i tuoi nemici affida, e invita Di ricercarti, e d'impetrarne aita. Xh Ed io che nacqui in sì divèrsa fède, Che tu abbassasti, e ch'or d'opprimer tenti, Per te spero acquistar la nobil sede,. E lo scettro regal de^miei parenti: E s'altri aita ai suoi congiunti chiede Contra il fiiror delle straniere genti; Io, poi che 'n lor non ha pietà più looo, Contra il mio sangue il ferro ostile invoco. CANTO QUARTO 107 XLI Te chiaiDO, ed in te spero; e in quell* altezza Puoi tu sol ponui, onde sospinta io fui: Né la tua destila esser dee meno avvezza Di sollevar^ che d'atterrare altrui: Né meno il vanto di pietà si prezza. Che 1 trionfar degl'inimici sui; £ s'hai potuto a molti il regno torre, Fia gloria egual nel regno or me riporre. XLII Bfa se la nostra fè varia ti muove A disprezzar forse^i miei prieghi onesti, La fé, ch'ho ceru in tua pietà, mi giove, Né dritto pw ch'ella delusa resti. Testimone è quel Dio eh' a tutti è Giove, Ch' altrui jnù giusta aita unqua non desti. Ma perché il tutto appieno intenda, or odi Le mie sventure insieme, e l'altrui ùodL > XLIII Figlia V son d' Arbilan^ che 1 regno tenne Del bel Damasco, e in minor sorte nacque, Ma la bella Garidia in sposa ottenne, Gui &rlo erede del suo imperio piacque^ Gostei col suo morir quasi prevenne n nascer mio, di' in tempo estinta giacque, Gh' io fuor| usda deU'alvo; e fu il fetale Giorno eh' a lei die morte, a me natale. io8 LA GERUSALEMME XLIV Ma il primo lustro appena era varcato Dal dì ch'ella sppgliossi il mortai velo, ' Quando il mio genitor, cedendo al &to, Forse con lei si ricongiunse in cielo: Di me cura las^ndo, e dello stato Al firatel ch'egli amò «con tanto zelo, Che, se in petto nlwtal pietà risieda, Esser ceno dovea della sua fede. XLV Preso dunque di me questi il governo, Tago d'ogni mio ben si mostrò tanto. Che d'incorrotta fè, d'amor paterno, E d'immensa pietade ottenne il vanto; O che '1 maligno suo pensiero intemo Gelasse ailor sótto contrario manto; O che sincere avesse ancor le voglie, Perch'ai figliuol mi destinava in moglie. XLVI Io creblu, e crebbe. U figlio; e mai né stile Di cavalier, né nobiT arte apprese: Nulla di pellegrino o di gentile Gli piacque mai, né mai trqppo alto intese: Sotto deforme aspetto animo vile, E in cor superbo avare voglie accese: Ruvido in atti, ed in costumi è t^e, Ch'é sol ne'vizj.a ^ medesmo eguale. CANTO QUARTO 109 XLVII Ora il mio buon custode ad uom sì degnò Unirmi in matrimonio in se prefisse^ £ farlo del mio letto e del mio régno Consorte } e chiaro a me più volte il disse* Usò la Lingua e Faite, usò l'ingegno, * Perchè '1 bramato effetto indi seguisse: Ma promessa da me ncm trasse inai; • Anzi ritrosa ognor tacqui, ó negail XLVIII Partissi alfip con un sembiante oscuro , V Onde Tempio suo cor chiaro trasparve j, . ' 'E ben l'istoria del mio mal fiituro [Leggergli scrìtu in fronte allòr mi parve; I Quinci i notturni miei riposi favo - ) Turbati ognor da strani sogni e larve: ' . ; ! Ed un fatale orror nell'ima impresso, ..> ) M'era presagib de'miei daimi espresso. zxii: Spesso l'ombrà materna a. nte s'offria, 1 Pallida imago, e dolorosa m atto, Quanto diversa , ohimè , da quel che pria Visto altrove fl suo volto avea ritratto l ' ' » Fu^, figlia, dicea, morte si ria Che ti sovrasta omai : partiti ratto. Già veggio il tosco e 1 ferro in tuo sol danno Apparecchiar dal perfido tiranno. no LA GERUSALEMME L Ma die gio^arvà^ c^iìmè! che del periglio Vicino ornai fosse presago il core^ Se irresolma ia mrovar consiglio IjSl mia tenera età ren- Ed a ine^ lassa! ie insieme a' miei consorti Guerra annunzia non pur^ ma strazj, e morti. LX Ciò dice egK di far, perchè dal volto Cosi lavarsi la vergogna crede, E ritornar nel grado, ond'io Tlio tolto, L'onor del sangue, e della regia sede. Ma il timor né cagion, che non ritolto Gli sia lo scettro, ond'io son vera erede; Che sol s'io caggio, por fermo sostegno Con le mine mie puote al suo regno. ixi E ben quel fine avrà l'empio' desìre, Che già il tiranno ha stabilito in mente; E saran nel mio sangue estinte l'ire, Che dal mio lagrimar non fiano spente , Se tu noi vieti. A te rifuggo, o sire, Io misera fanciulla, orba, innocènte: E questo pianto, ond*ho ituoi piedi aspersi^ Vagliami si, che '1 sangue io poi non versì^, 8 ii4 LA GERUSALEMME \ LXII Per questi piedi, onde i superbi e gii empi Calchi: per questa man che 1 dritto aita: Per Take tue vittorie, e per que'temp| Sacri, cui desti, e cui dar cerchi, akaj Il mio desir, tu che puca solo, adempi; E in un col regno a me serbi la vita La tua pietà: ma pietà nulla giove, Se anco te il dritto, e la ragion non move. LXIII Tu, cui concesse il cielo, e dielti in J&tò Voler il giusto, e poter ciò clie vuoi^ A me salvar la vita, a te lo stato (Che tuo fia, s'io 1 ricovro) acquistar puoi. 1 ra numero si grande a me sia dato Dieci condur de' tuoi più forti eroi: Ch'avendo i padri amici, e '1 popol fido, Bastan questi a riponni entro al mio nido. LXIV Anzi un de' primi, alla cui fé commessa È la custodia di secreta porta, Promette aprirla, e nella reggia stessa Porci di notte temjx); e sol m'esorta Ch'io da te cerchi alcuna aita^ e in essa. Per picciola che sia, si riconforta Più che s' altronde avesse un grande stuolo: Tanto l'insegne estima, e '1 nome sdo. CANTO QUARTO nS Già detto tace, e la risposta attende Con atto die in silenzio ha voce ^ e preghi. Goffredo il dubbio cor v^lve, e non rendessi a Dio. LXX A quel parlar chinò la donna, e fisse. Le luci a terra, e stette immota alquanto: Poi soUevoUe rugiadose, e dis^. Accompagnando i fleÙl atti al jHanto: • Misera! ed a qual altra il ciel jurescrissè Viu mai grave ^ ed immutabil tanto, Che si cangia in alt^i mente e natiu*à. Pria che si cangi in me sorte Vi dura? CANTO QUARTO 117 LXXI Nulla speme più rèsta: invan mi doglio: Non han più forza in uman petto i preghi. Forse lice sperar die 1 mio^raltbgtiOy Che te non mosse, il reo tiranno pieghi? Né già te d'iaclemenza accusar voglio , Perchè il picciol soccorso: a me si neghici Ma il cielo accuso, onde il niio mal discende Che in te pietade iuesorsifail rende» . ' . , . k LXXII Non: tu, siguOT, ne tua boutade è tale; Ma '1 mio destino è che mi nega aiu: Crudo .destino! empio destin fatale, Uccidi omai questa odiosa vita. L'avermi priva, ohimè! fii picciol male De'dc^ padri in loro età fiorita, Se non mi vedi ancor «del regno priva, Qi^ vittima al coltello, andar cattiva. Lxxin Che, poi che legge d'onestate, e zelò . Non vuol che qui si luugamenie indugi, A cui ricorro intanto? ove mi celo? O quai contra il tiranno avrò riiìig] ? Nessun loco rinchiuso è sotto il cielo, .1 Ch'a lor non s'apra: or perchè tanti indugj? Veggio la morte; e se 1 fuggirla è vano. Incontro a lei n audrò con questa mano. ii8 LA GERUSALEMME LJXXIV Qui tacque, 4^ parve 'eh^ un i-eg^f sdegno E generoso raccendesse in vista^ : ^ E 1 pie vdgendò^ dispartir £ea segno, Tutta negli atti dispettosa e trista. Il pianto si spargea senza ritegno, Gom'ira suol produrlo a^olor mista : E4e nascenti lagrime a^ vederle Erano ai rai del sóL mstallo e perie» i#xxv Le giianice aspersbrdi que' vivi umori, I Ghe giù cadeau sin della veste al lembo, r. ' Parean vermigli insieme e bianéhi fioii, Se pur gF irriga un rugiadoso nembo ^^ > Quando sull'ajYparir de' primi albori; Spiegano all'aure liete il chiuso gèembof ; ' E l'alba che gli mira, e se. n'appaga, . D' adomarsene > il crin diventa vaga. . , . ^ » ;LXXVI Ma U diiaro timor, che di si spesse stilW Le belle go|.e e '1 seno adomo rende ^ ' Opra effetto di foco*, il qual in mille Petti serpe celato, e vi s'apprende; Oh mirat^ol d'-arnoTy che le favilla . » • . Tragge dei piànto, e i cor ndl'acquta oceende! Sempre sovra natura egli ha possanza; / Ma in tirtù di costei se stesso avanxa.. CANTO QUARTO 119 LXXVII Questo finto dolor da molti elioe Lagrime vere, e i cor più duri spetra. Ciascun con lei s' affligge , e tra se dice: Se mercè da Go&edo or non impetra, Ben fu rabbiosa tigre a lui nutricei, £ 1 produsse in aspr'alpe orrida pietra, O l'onda che nel mar si frange e spuma: Crudel , che tal beltà turba e consuma. Lxxvia Ma il giovinetto Eustazio, in cui la fece Di pietade e d'amore è più fervente^ Mentre bisbiglia ciascun altro, e tace, Si tragge avanti , e parla audacemente: O germano e signor, troppo tenace Del suo primo proposto è la tua mente, S'al consenso comun, che!braina e priega, Arrendevole alquanto or non si pitga. LXXIX Non dico io già,<^ i* prìncipi cih'a C4ra Si stanno qui de' popoli ^ogg^tti^ Torcano il pie dall'oppugoate mttrd, £ sian gli ofilcj lor da lor neg|;^tti: ,. Ma fra noi, che guérrier fiiam.di v^ptura,. Senza alcun proprio peso, e meno «stretti . Alle leggi degli altri, ele^r diece Difensori del giusto a te ben lece. , 120 LA GERUSALEMME LXXX Ch'ai servigio di Dio già non si toglie L'uom all'innocente vergane difende; Ed assai care al ciel son quelle s])oglie, Che d'ucciso tiranno altri gli appende. Quando dunque all'impresa or non m' invoglie Queir util certo^ che da lei s'attende^ Mi ci muove il dover, eh' a dar tenuto È l'ordin nostro alle donzelle ajuto. LIXXI Ah non sìa ver, per dio, che si n'elica In Francia, o dove in pregio è cóitestà^ Che si fugga da noi: rìschio b fatica Per cagion cosi giuista, e cosi pia. Io per me qui depongo elmo e lorica: Qui mi scingo la spada ^ e più non fia Ch'adoprì i^degnanoente arme o destriero; Ol nome ttsm^pi mai di cavaliero* Così ibvella; e seco in chiaro suono Tutto r ordine ^o concorde freme ; E chiamando il cOna^io utile e buono, Co' preghi il capitan circonda e preme. Cedo^ egli disse allora , e vinto sono Al cotiEéorso di tanti uniti insieme. Abbia, se parvi, il chiesto don costei Da i vostri sì, non da i cousigli miei. CANTO QUARTO 121 LXXXIII Ma se GGlIredo di Credenza alquanto Pur trova in voi, temprate i vostri affetti. Tanto ei.scd disse; e basta lor ben tanto, Perchè ciascun quel dbi'ei concede accettL Or che non può di bdla donna il pianto, £d in lingua amorosa i dolci detti? Esce da vaghe labbra aurea catena, Che l'alme a suo voler prende ed affrena. LXXXIV Ettstazib lei richiajua, e dice : ornai Gessi, vaga donzella, il tuo dolore; Che tal da noi soccorso in breve avrai, Qual par die più rìchieggia il tuo timore. Serenò allora i nubilosi rai Armida, e sì rìdente apparve fuore, Che innamorò di sue bellezze ti cielo, Asciugandosi gli occhi col bel Velo. LXXXV Rendè lor poscia in dolci e care note Grazie per Falte grazie a lei concesse, Mostrando che sariano al mondo note Mai sempre y e sempre nel siuo core impresse : E ciò che lingua esprimer ben non puòte^ Muta eloqfienza ne'suoi gesti ^presse: £ celò si sotto mentito aspetto U suo p^isier^ ch'altrui noi^ die sospetto. i!i2 LA GERUSALEMME LXXXVI Quinci vedendo che fortuna arrìso Al gran principio di sue firodi avea^ Prima che '1 suo pensier le sia precisa^ Dispon di trarre al fine opra si rea, E £ir con gli atti dolci, e col bel viso Più che con Farti lor Circe, o Medea; E in voce di Sirena ai suoi concaiti Addormentar le più svegliate menti. LXXXVII Usa ogn'arte la donna,. onde sia cèka • Nella sua rete alcun novello amante: Né con tutti, né sempre un stesso volto Serba, ma cangia a tempo atti e sembiante. Or tien pudica il guardo in se raccerto f Or lo rivolge cupido e vagante : La sferza in quegli, it freno adopra in questi, Come lor vediè^ in amar lenti, o pi^esti. LXXXVIII Se scorge alcun che dal suo amor ritiri : L'alma, e i pensier per diffidenza affirene, Gli apre un benigno riso, e in dolci giri Volge le ludi in lui liete e serene: E cosi i pigri e timidi dasiri Sprona, ed affida la dubbiosa spene; Ed infiammando l'amorose voglie, Sgombra quel gel che la paura accoglie. CANTO QUARTO laS Ad altri poi, ch'aiidaee il aegao Torca,. Scorto da cieop e temeraino duce, . De' cari detti , e de' begli lte, Gh'avea lor prima intorno al petto accolte. 1 2Ì LA GERUSALEMME Ma inentre dolce parla, e dolce ride, E di doppia dolcezza inebria i sena-, Quasi dal petto lor l'alma divide, Non prima usata a quei diletti immensi. ' Ahi crudo Amor! ch'egualmente n'ancide L'assenzio e 1 mei, che tu fra noi dispensa ■ E d' ogni tempo egualmente mortali Vengon da te le medicine e i mali. > xeni Fra si contrarie fempre^ iii ghiaccio é in ibcc^ In rìso e in pianto, e fra paura e spené, ' Inforsa ogni; suo 'stato, e di lor giocò L'ingannatrice doma a prender viene, E s' alcun mai con suon tremante e fioco Osa parlando d'accennar sue pene, Finge, quasi in -amor rózza e inesperta. Non .veder l'alma ne' suoi detti aperta. • L' xciv Oppur le luci vergognose «e clune . ' Tenendo, d'oMstà s'orna e colora; Sì che . viene a cdar le fresche brine Sotto le rose onde il bd viso infiora, Qual neir ore più fi^esche e nutttutine Del primo nascer suo veggiam ramora; E 1 rossor' dello sdegno insieme n' esce Con la ver^gna,'e si confonde e mésce. CANTO QUARTO i25 xcv Ma se prima negli atti ella s'accorge D'uom, che tenti scoprir T accese voglie, Or gli s' invola e fugge, ed or gli porge Modo onde pai4i, e in un tempo il ritoglie. Cosi il dì tutto in vano error lo scorge Stanco, e deluso poi di speme il toglie. Ei si riman qual cacciator eh' a sera perda alfin l'orma di seguìu fera. xcvi Queste fur Farti, onde mill'alme e mill^ Prender furtivamente ella poteoj Anzi pur furon Tarme onde rapille, Ed a forza d'amor serve le feo. Qual meraviglia or fia, se '1 fero Achille D'amor fu preda, ed Ercole /e Teseo, S' ancor clii per Gesù la spada cinge, L' empio ne' lacci suoi talora stringe? LA GERUSALEMME LIBERATA CANTO QUINTO ABGOMENTO Sdegna Gernandù che Rinaldo aspire ÀI grado os/egli esser assunto agogna: Perciòy ministro a se del suo morire j Luiy che r uccide poi ^ forte rampogna. Va t uccisor in bando; né patire Vuol che catena j o ceppi altri gli pogna. Parte Armida contenta; ma dal mare Vengono al gran Buglion novelle amare. iuentre ia tal guisa i cavalieri alletta Nell'amor suo l'insidiosa Armida ^ Né solo i diece a lei promessi aspetta, Ma di furto menarne altri confida; Volge tra se Gk)ffiredo a cui commetta La dubbia impresa, ov'ella esser doe guida; Che degli avrenturier la copia e '1 merto, £ 1 desir di ciascuuo il &nno incerto. 12$ LA GERUSALEMME II Ma eoa prpvido avviso aifin dis]iODe Ch'essi un di loro scelgano a sua voglia, Che succeda al magnanimo Dudone, £ quella elezìon sovra se teglia. Cosi non avverrà ch'ei dia cagione Ad alcun d'essi che di lui si dp^ia; E insieme mostrerà d'aver nel pregio, In cui debbe a ragion, lo stuoia egregio. ' III A se dunque gli chiama, e lor favella: Stata è da voi. la mia sentenza udita, . Ch^era non di ndgare alla donzella, Ma di darle in stagion matura, aita^ Di nuovo or la propongo, e ben puote ella Esser dal parer vostro anco seguita^ Che nel mondo mutabile e leggiero, Costanza è spesso il variar pensiero. IV Ma se stimate ancor, che mal convegua Al vostro grado il rifiutar periglio j E se pur generoso ardire sdegna Quel che troppo gli par cauto consiglio ; Non fia,^h'invoIoatar3 io vi ritegna, Né quel dhe già vi diedi or mi ripìglio: Ma sia con esso voi, com' esser deVe, 11 fren del nostro impèrio lento e leve. CANTO QUINTO i^g Dunque lo stame o'I girne Tson contejp.to Che dal vostro piacer libero penda* Ben vuo che pria facciate al duce spento Successor novo, e di voi cura eì prenda^ £ tra voi scelga i diece a suo talento ^^r^ Non già di diece il numero trascenda; Ch'in questo il sommo imperio a me riservo: Non fia r arbitrio suo per altro servo. VI Cosi disse Goffredo; e 1 suo germano, Consentendo ciascun, risposta diede: Siccome a te conviensi, o capitano, Questa lenta virtù che lunge vede; Cosi il vigor del core e della mano. Quasi debito a noi, da noi si chiede; E sana la matura tàrditate, Ch' in altri è provvidenza , in noi viltate. VII E poiché 1 rischio è di sì lieve danno, Posto in lance col prò che 'I contrappesa ^ Te permettente, i dieci eletti andranno Con la donzella air onorata impresa. Cosi conclude; e con si adomò inganno Cerca di ricoprir la mente accesa Sotto altro zelo: e gli altri anco d'onorcr Fingon desio quel 9 eh' è desio d'amore. 9 i3o LA GERUSALEMME vili Ma il più giovin Buglione, il qual rimira Coa geloso occhio il figlio di Sofia, La cui virtute invidiando ammira, Ch'in 6Ì bel corpo più cara venia; Noi voi*]tebbe compagno, e al cor gì' inspira Cauti pensier l'astuta gelosia; Onde, tratto il rivale a se in disparte, Ragiona a lui con lusin^evol arte: IX O dì gran genitor mag^or figliuolo , Ch'il sommo pregio in arme hai giovinetto! Or chi sarà del valoroso stuolo. Di cui parte noi siamo, in duce eletto? Io, eh' a Dudon famoso appena, e solo Per Tonor delFetà, vivea soggetto: Io, fratel di Goffredo, a clìi più deggio Cedere ornai? Se tu non sei, noi* veggio. Te, la cui nobiltà tutt' altre agguaglia, Gloria e merito d'opre a me prepone, ìiè sdegnerebbe in pregio di battaglia Minor chiamarsi anco il maggior Buglione; Te dimque in duce bramo, ove non caglia A le di questa Sira esser campione: Né già cred'io die quell'onor tu curi, Che da fatti verrà notturni, e scuri. CANTO QUINTO iSj XI Né mancherà qui loco, ove s'impie^ Con più lucida fama il tuo valore. Or io procurerò /se tu noi neghi ^ Ch'a te concedan gli altri il sommo onore; Ma, perchè non so ben dove si pieghi L'irresoluto mio dubbioso core, Impetro or io da te, eh' a voglia mia O segua poscia Armida, o teco stia^ XII Qui tacque Eustazio, e questi estremi accenti Non proferi senza arrossirsi in viso: E i mal celati suoi pensieri ardenti 1/ altro ben vide, e mosse ^d un sorriso; Ma perch'a lui colpi d'amor più lenti Non hanno il petto oltre la scorza indso, Né molto impaziente è di rivale^ Né la donzella di seguir gli cale: XIII Ben altamente ha nel pensier tenace L'acerba morte di Dudon scolpita; £ si reca a disnor, ch'Argante audace Gli soprastia lunga stagione in vita: E parte di sentire anco gli piace Quel parlar, di' al dovuto oiK>r l'invila; E '1 giovinetto cor s' appaga, e gode Del dolce suon dalla verace lode; f32 LA GERUSALEMME XIV Onde cosi rispose ; i gradì primi Più meritar^ che oonsegmr desìo; Né, purché me la mia virtù sublimi, Di scettri altezza invidiar degg' io: Ma s'all'ónor mi chiami, e che lo siimi Debito a me, non ci verrò restìo; E caro esser mi de' che sia dimostro Sì bel segno da voi del valor nostro. XV Dunque io nói chiedo, e nql rifiuto ; e quando Duce io pur sia, sarai tu degli eletti. Allora il lascia Eustazio, e va piegando De' suoi compagni al suo voler gli afietti. Ma chiede a jprova il principe Gernando Quel grado; e bench'Annida in lui saetti^ Men può nel cor superbo amor di donna, Ch'avidità d' onor, che se n' indonna. XVI Sceso Gernando è da' graù re Norvegj, Che di molte provincie ebber l' impero ; E le tante corone, e scettri regj . E del padre, e degli avi il famio altero. Altero é r altro de' suoi proprj pregj Più che dell^ opre che i passbti fei:0| ' Ancor che gli avi .suoi cento e pia lubui Suti sian chiaiiih p4ce, e 'b ^guerra iUnstrii CANTO QUINTO f33 XVII Ma il barbaro signor, che sol misura Quanto l'oro e '1 dominio oltre si stenda^ £ pei* se stima ogni virtute oscura , Cui titolo regal chiara non renda; Non può soffrir che n ciò ch'egli procura^ Seco di merto il cavalier contenda; £ se ne cruccia sì, ch'oltra ogni segno Di ragione il trasporta ira e disdegno: xvm Talché 1 maligno spirito d' avemo, Ch' in lui strada sì larga aprir si vede, Tacito in sen gli serpe, ed al governo De' suoi pensieri lusingando siede : E qui più senq^re V ira, e l'odio interno Inacerbisce, el cor stimola e fiede; E £i, che 'n mezzo all'alma ognor rLsuoni Una voce ch'a lui così ragioni: XIX Teco giostra Rinaldo: or tanto vale Quel suo numero van d'antichi eroi? Narri costui, ch'a te vuol farsi eguale^ Le genti serve, e i tributar) suoi: Mostri gli scettri, e in dignità regale Paragoni i suoi morti a i vivi tuoi. Ah quanto osa un signor d^ indegno stato j Signor, che nella serva Italia è nato! #34 LA GERUSALEMME XX Vinca egli, o perda ornai, fu vincitore Sin da cpiel di, dì' emulo tuo divenne; Che dirà il mondo (e ciò fìa sommo onore) Questi già con Gernando in gara venne. PotQva a te recar gloria e splendore Il nobil grado, che Dudon pria tenne: ^ Ma già non meno esso da te n'attese: Costui scemò suo pregio, allor chel chiese. XXI E se, poi ch'altri più non parla o spra^ De' nostri affari alcuna cosa sente , Come credi che 'n ciel di nobil' ii'a H buon vecchio Dudon si mostri ardeute^ Mentre in questo superbo i lumi gira, Ed al suo temerario ardir pon mente. Che seco ancor, l'età sprezzando e i merto^ Fanciullo osa agguagliarsi ed inesperto? XXII E r osa pure, e '1 tenta^ e ne riporta In vece di castigo onore e laude : E v'è chi ne '1 consiglia, e ne l'esorta, ( O vei^ogna comune! ) e chi gli applaude. Ma se Goffredo il vede, e gli comporta Che di ciò ch'a te dessi egli ti fraude ; Noi soffiir tu: né già soffrir lo dei, Ma ciò che puoi dimostra, e ciò che sei. CANTO QUINTO i3fi XXIII Al suoQ di queste ¥oci arde k> sdegno, £ cresce uk lui ^nasi commossa face; Né capendo nel cor gonfiato e pre^M, Per gli occhi n'esce^ e per la lingua audace. Ciò che di riprensibile e d'inderò Crede in Rinaldo, a suo dlsnor non tace: Superbo e vano il finge, e 1 suo valore Chiama temerità pazza, e furore. XXIV E quanto di magnanimo, e d'altero, E d'eccelso, e d'illustre in lui risjfJ^nde, Tutto ( adombrando con mal' arte il vero ) Pur, come vizio sia, biasma e ripcTende.: E ne ra^ona si^ che 1 cavaliero Emulo suo pubblico il suon n'intende: Non però sfoga l'ira, o si raffrena Quel cieco impeto in lui, ch.'a morte il mena: XXV Che '1 reo demon, che la sua lingua move Di spirto in vece , e forma ogni suo detto^ Fa che gì' ingiusti okraggi ogpov rinnove, Esca aggiungendo all' infiammata petto. Loco è nel campo assai capace,^doire S'aduna sempre un bel drappello eletto*^ E quivi insieme in torMalneiifiii e ìb lotte Rendon le membra vigorose e- dotte. i36 LA GERUSALEMME XXVI Or quivi, allor che v'è turba più folla, Pur, com'è suo destin, Rinaldo accusa^ E quasi acuto strale , in lui rivolta La lingua del venen d'avemo infusa: £ vicino è Rinaldo, e i detti ascolta , Né puote Tira ornai tener più chiusa; Ma grida: menti; e addosso a lui si spinge, E nudo nella destra il ferro stringe. XXVII Parve un tuono la voce , e 1 ferro un lampo ^ Che di folgor cadente annunzio apporte* Tremò colui, né vide fuga, o scampo Dalla presente irreparabil morte; Pur, tutto essendo testimonio il campo, Fa sembianti d'intrepido e di forte, E '1 gran nemico attende; e 1 ferro tratto. Fermo si reca di difesa in atto. XXVIII Quasi in quel punto mille spade ardenti Furori vedute fiammeggiar insieme; Che varia turba di mal caute genti D'ogn' intorno v'accorre, e s'urta e preme. D'incerte voci, e di confusi accenti Un suon per l'aria si raggira e freme, Qual s'ode in riva al mare, ove confonda n vento i suoi co' mormorii dell'onda. CANTO QUINTO 187 XXIX Ma per le voci altrui già non s'allenta Neil' offeso guerrier l'impeto e l'ira. Sprezza i gridi e i ripari, e ciò che tenta Ghiudei^li il varco, ed a* vendetta aspira; £ fra gli uomini e l'armi oltre s' avventa, £ la fulminea spada in cerchio gira Sì che le vie si sgombra; e solo, ad onta Di mille difensor, Gernando s^ronta. XXX E con la man, nell'ira anco maestra. Mille colpi ver lui drizza e comparte. Or al petto, or al capo, or alla destra Tenta ferirlo, or alla manca pane: £ impetuosa, e rapida la destra È in guisa tal, che gli occhi inganna, e l'arte; Tal ch'improvvisa e inaspettata giunge Ove manco si teme, e fere, e punge. XXXI Né cessò mai, fin che nel seno immersa Gli ebbe una volta e due la fera spada. Cade il meschin sulla ferita, e versa Gli spirti, e l'alma fuor per doppia strada. L'arme ripone ancor di sangue aspersa n vincitor, né sovra lui più bada; Ma si rivolge altrove, e insieme spogUa L'animo crudo, e l'adirata voglia. i38 LA GERUSALEMME XXXil Tratto ài tumulto il ]ho Goffredo tutaato Vede fero spettacolo improvviso, Steso Gèmando, il crìn dì sangue el mauto Sordido e molle, e pien di morte il viso. Ode i sospiri, e le querele, e 1 piauto, Che molti £m sovra il guerriero ucciso. Stupido chiede: Or qui, dove men lece, Chi fu eh' ardì cotanto, e tanto fece? XXXIII Arnaldo, un de' più cari al prence estinto, Narra, e 1 caso in narrando aggrava molto. Che Rinaldo l'uccise, e che fa spinto Da leggiera cagion d'impeto stolto; E che quel ferro, che jìer Cristo è cinto, Ne' campioni di Cristo avea rivolto; E sprezzato il suo impero, e quel divieto, Che fé' pur dianzi, e che non è secreto: XXXIV E che per le^e è reo di morte, e deve, Come l'editto impone, esser punito; Si perchè il fallo in se medesmo è g^peva, Sì perchè in locò tale egli è seguito. Che se dell' error suo p^^don riceve, Fia ciascun altro per Teseapipio ardito; E che gli offesi poi quella veadetia Vorranno far, cb'a i giudici &' aspetta; CANTO QUINTO i39 XXXV Onde per tal cagion discordie e risse Germoglieran fra quella parte e questa» Rammentò i meni dell'estinto, e disse Tutto ciò cb'o pietà te, o sdegtio desta. Ma s'oppose Tancredi, e contradisse, £ la causa del reo dipinse onesta. Goffredo ascolta, e in rìgida sembianssa Porge più di timor, che di speranut XXXVI Soggiunse allor Tancredi: or ti sovvegna, Saggio signor, chi sia Rinaldo, e quale, Qual per se stesso onor gli si couvégna, £ per la stirpe sua chiara, e regale, £ per Guelfo suo zio. Non dee chi regna Nel castigo con tutti esser eguale: Vario è ristesso error ne' gradi varj j £ sol l'egualità giusta è co' pari. XXXVII Risponde il capitan: da i più sublimi Ad ubbidire imparino i più bassi. Mal, Tancredi, consigli, e male stimi. Se vuol che i grandi in sua licenza io lassi. Qual fora imperio il mio, s'a i vili ed imi, Sol duce della plebe, io comandassi? Scettro impotente, e vergognoso impero, Se coQ tal legge ò dato, io più noi chero» i4o LA GERUSALEMME XXXVIII Ma libero fu dato e venerando; Né vuo' ch'alcun d'autorità lascerai: £ so ben' io come si deggia, e quando Ora diverse impor le pene, e i prem); Ora, tenor d'egualità serbando, Non separar dagl' infimi i supremi. Così dicea, né rispondea colui, Vinto da riverenza, a i detti sui. XXXIX Raimondo, imitator della severa Rigida antichità, lodava i detti: Con quest'arti, dicea, chi bene impera Si rende venerabile ai soggetti; Che già non è la disciplina intera, Ov'uom perdono, e non castigo aspetti. Cade ogni regno: e ruinosa é senza La base del timor c^ni clemenza. XL Tal ei parlava; e le parole accolse Tancredi, e più fra lor non si ritenne; Ma ver Rinaldo immantinente volse Un suo destrier, che parve aver le penne. Rinaldo, poi ch'ai fier nemico tolse L'oi^oglio e l'alma, al padiglion sen venne ; Qui Tancredi trovoUo, e delle cose Dette e risposte a pien la somma espose. . CANTO QUINTO i4i ^ XLI Soggiunse poi: bench' io semHanza esterna I>el cor non stimi testimon verace; Che 'n parte troppo cupa /e troppo interna Il pensier de' mortali occulto giace: Pur' ardisco affermar, a quel ch'Io scema Nel capiun, che 'n tutto anco noi tace, Ch'egli ti voglia all'obbligo soggetto . De' rei comune, e in suo poter ristretto. XLII Sorrìse allor Rinaldo, e con un vóLxo In cui tra '1 rìso lampeggiò lo sdegno: Difenda sua ragion ne' ceppi invòlto Chi servo è, disse, o d'esser servo è degno, libero i' nacqui, e vissi, e morrò sciolto, Prìa che man porga o piede a laccio indegno : Usa alla spada è questa destra, ed usa Alle palme^ e vii nodo eUa ricusa. Ma s' a' mèriti miei quésta mercéde Goffredo rende, e vuol imprìgionarme^ Pur com'iò fòssi un uom del volgo, e credè A carcere plebeo legato trarrne; Venga egli, ò mandi; io terrò fermo il piede: Giudici fian tra noi la sorte, e l'arme : Fera tragedia vuol che s'appresenti. Per lor diporto^ alle nemiche genti. i4ti LA GERUSALEMME XLIV Ciò detto, l'anm diiede ^ e 1 capo e 1 husto Di finissimo acciaio adoi^io rende ^ £ fa del grande scudo il braccio onusto ^ E la fatale spada al fianco appende: £ in sembiante magnanimo ed augusto, Come folgore suol, nell'arme splende. Marte, e' rassembra te, qualor dal quinto Cielo, dì ferro scendi e d'orror cinto. XLV Tancredi intanto i feri spirti, e 1 core Insuperbito d'ammollir procura: Giovine invitto, dice, al tuo valore So che fia piana ogn'erta impresa e dura: So che fi-a Tarme sempre, e fra 1 terrore La tua eccelsa virtute è più secura: Ma non consenta Dio ch'ella si mostri Oggi sì crudelmente a' danni nostri. XLVI Dimmi, che pensi far? Vorrai le mani Del civil sangue tuo duncpie bruttarte? E con le piaghe indegne de' cristiani Trafigger Cristo, ond'ei sOn membra e parte? Di transitorio onot rispetti vani. Che, qual onda di mar, sèn viene e parte , Potranno in te più che la fede , e 1 2elo Di quella gk>ria, che n eterna ìà d^lo? CANTO QUINTO i43 XLVIJ Ah no, per Dio: vinci te stesso ^ e spoglia Questa feroce tua mente superba. Cedi: non fia timor, ma santa voglia, Ch'a questo ceder tuo palma-si serba. £ se pur degna, cmd' altri esempio toglia, È la mia giovinetta etade acerba. Anch'io fui provocato, e pur non venni Co' fedeli in contesa, e mi contenni. XLVIII Ch'avendo io preso di Cilida il regno, E l'insegne spiegatevi di Cristo; Baldovin sopraggiunse, e con indegno Modo occupalo, e ne fé' vile acquisto; Che mostrandosi amico ad ogni segno. Del suo avaro pensier non m'era avvisto: Ma con l'arme però di ricovrarlo Non tentai poscia, e forse i'potea farlo. XLIX E se pur anco la prigion ricusi, E i lacci schivi , quasi ignohil pondo, E seguir vuoi l'c^inìoni e gli usi. Che per leggi d'onore approva il mondo j Lascia qui me, ch'ai capitan ti scusi. Tu in Antiochia vaime a Boemondo: Che uè sopporti in questo impeto primo A sooi giudizj assai securd stimo. i44 LA GERUSALEMME L Beu tosto fìa ( se pur qui contra avremo L'arme d'Egitto, o d'altno stuol pagano) Ch'assai più chiaro il tuo valore estremo N'apparirà, mentre starai lontano; E senza te parranne il campo scemo, Quasi corpo, cui tronco è braccio o mano. Qui Guelfo sopraggiunge, e i detti approva, £ vuol che senza indugio indi si muova. LI A i lor consigli la sdegnosa ménte Dell' audace garzon si volge e piega : Tal ch'egli di partirsi immantinente Fuor di quell'oste a i fidi suoi non nega. Molta intanto è concorsa amica gente, E seco andarne ognun procura e prega. Egli tutti ringrazia, e seco prende Sol duo scudieri, e sul cavallo ascende. . Parte, e porta un desio d'eterna ed alma Gloria, eh' a nobil core è sferza e sprone: A magnanime imprese intenta ha l'alma, Ed insolite cose oprar dispone : Gir fra' nemici; ivi o cipresso, o palma Acquisur per la fede, ond' è campióne ; Scorrer l'Egitto, e penetrar fin dove . Fuor d' incognito fonte il ^ììo move. CANTO QUIJNTO 145 LUI Ma Guelfo poi ch'il giovine feroce. Affrettato al partir, preso ha congedo ^ Quivi non bada, e se ne va veloce Ove egli stima ritrovar Goffiredo n qual, come lui vede, alza la voce: Guelfo, dicendo, appunto or te richiedo, E mandato ho pur ora in varie parti Alcun de' nostri araldi a ricercarti. LIV Poi £1 ritrarre ogni altro, e in basse note Ricomincia con lui grave sermone : Veracemente, o Guelfo, il tuo nipote Troppo trascorre, ov'ira il cor gli sprone; E male addursi, a mia credenza, or puote Di questo fatto suo giusta cagione. Ben caro avrò, che la ci rechi tale; Ma Goffredo con tutti è duce eguale. LV E sarà del legittimo e del dritta Custode in ogni caso e difensore; Serbando sempre al giudicare invitto Dalle tiranne passioni il core. Or se Rinaldo a violar F editto,' E della disciplina il sacro onore Costretto fii, come alcun dice, a i nostri Giudizj venga ad inchinarsi, e 1 mosui, IO i4fi LA GERUSALEMME A sua rìtenzìon libero vcgna : Questo ch'io posso a i marti suoi consento. Ma s'egli sta ritroso, e se ne sdegna, ( Conosco quel suo indomito ardimento ) Tu di condurlo, e provveder t'ingegna , Ch'ei non isforzi uom mansueto e lento Ad esser delle leggi e dell' impero Vendicator, quanto è ragion, severo. LVII Cosi diss' egli; e Guelfo a lui rispose: Anima non potea d'infamia schiva Voci sentir di scorno ingiuriose, E non farne repulsa, ove l'udiva. £ se l'oltraggiatore a morte ei pose, Chi è che meta a giust'ira prescrìva? Chi conta i colpi, o \aL dovuta offesa. Mentre arde la tenzon, misura e pesa? LVIII Ma quel che chiedi tu, ch'ai tuo soprano Arbitrio il garzoti venga a sottoporse, Buolmi eh' esser non può, eh' egh lontanò Dall' oste immantinente il passo torse . Ben m'offro io di provar con questa mano A lui , eh' a torto in falsa accusa il morse, O s'altri v' è di sì maligno dente, Ch'ei pmu l'onta ingiusta ^ustamente. CANTO QUINTO 147 LIX A ragion, dico, al tumida Geraaodo Fiacco le corna del superbo prgb^o; Sol, s'egli errò, fu nell'oUio del bando: Ciò ben mi pesa , ed a lodar nóL loglio. Tacque; e disse Groffredo: or vada errando, E porti risse altrove: io cpii ncm voglio Che sparga seme tu di nuove liti: Deh, per Dio, sian ^ sd^pi anoo fomiti. Di pix)curare il suo soticorao infanto Non cessò mai F ingannatrice rea% Pregava il giorno, e ponea in usò quanto L'arte, e Y ingegno , e la beltà potea: Ma poi, quando stendendo il fosco inanio La notte in occidente il dì chiudea. Fra duo suoi cavalieri é due matrone Bicovrava in disparte al padiglioaq. Ma benché sia mastra d' ingandi, é ì sudi Modi gentili, e le parc^ accoNrte, E belk si che 'l ci^ prima né p6i Altrui non die maggiedr bellezza in sòrte; Tal dhe del campo i più fianosi eroi Ha presi d'un piacer tènacef e forte; Non è però che all' esca de' diletti 11 pio Ck^Bnedio lusingando aHetto. i48 LA GERUSALEMME In van cerca invaghirlo, e con mortali' Dolcezze attrarlo all'amorosa vita, Che qual saturo auge!, che non si cali Ove il cibo mostrando altri Y invita^ Tal ei, sazio del mondo, i piacer frali Sprezza, e sen poggia al del per via romita; E quante insidie ai suo bel volto tende L'infido amor, tutte fallaci rende. LXIII , Né impedimento alcun torcer dall' mme Puote, che Dio ne segna i pensier santi. Tentò ella mill' arti , e in mille forme-. Quasi Proteo uovel, gli apparve innanti; E desto amor dove più freddo ei dorme Avrian gli atti dolcissimi , e i sembianti: Ma qui ( grazie divine !') ogni sua prova Vana riesce , e ritentar non giova . Lxrv La bella donna, ch'ogni cor più casto Arder credeva ad un girar di ciglia , Oh come perde or l' alterezza e '1 fasto, E quale ha di ciò sdegno e meraviglia! Rivolger le sue forze ove contrasto Men duro trovi, alfin si riconsiglia ^ Qual capitan eh' ine^ugnabil terra Stanco abbandoni, e porti alnrove guerra. CANTO QUINTO: 149 Ma coiìtra V arme di «costei non meno Si mostrò di Tancredi invitto il core; Però eh' altro desio gì' ingombra il seno , Né vi può loco aver novello ardore; Che, siccome dall' mi V altro venejio Guardar ne suol, tal l' un dall' altro amore. Questi soli non vinse: o molto o poco Avvampò ciascun altro al suo bel fqco. LXVI _£lla , sebben si duol che non succeda Si pienamente il suo disegno e l'arte, Pur, fatto avendo così nobil preda Di tanti eroi, si riconsola in parte; E, pria che di sue frodi altri s'avveda, Pensa condurli in più secura parte, Ove gli stringa poi d' altre catene Che non spn quelle ond' or presi U tiene . LXVII Essendo giunto il termine che fìsse n capitano a darle alcun soccorso, A lui sen. venne riverente, e disse: Sire , il di stabilito è già trascorso; E se per sorte il reo tiranno udisse Ch'i' abbia fatto all' arme tue rìgorso^ Prepareria sue forze alla difesa, Né cosi agevol poi fora l'impresa. i^o liA GERUSALEMME Dunque, ptimà ch^a lui tal nuova apporti Voce incerta di fama, e certa spia, Scelga la tua pietà fra' tuoi più forti Alcuni pochi, e meco or or Rinvia: Che, se non mira il ciel con occhi torti L'opre mortali o rinnocenza oblia. Sarò riposta in regno, e la mia terra Sempre avrai tributaria in pace e in guerra. LXIX Così diceva; e 1 capitano a i delti Quel che negar non si potea concede: Sebben, ov' ella il suo partire affretti, In se tornar r elezk>n ne vede : Ma nel numero c^nun de' dieci eletti Con insolita inalanza esser richiede: E Temulazìon, che 'n lor sì desta, Più importuni gli fa nella richiesta. LXX Ella, che in essi mira aperto il core, \ Prende, vedendo ciò, nuovo argomenta, E sul lor fianco adopra il no timore Di gelosia per sferza e per tormento. Sapendo ben, ch^alfin s'invecchia amore Senza quest'arti , e divien pigro e lento, Quasi destrier che men veloce corra. Se non ha ehi liv segua>, o clii '1 precorra. CANTO QUINTO i5i LXXI E in tal modo oompaite i detti sui, E 1 guardo lusinghiero, e 1 dolce rigo, Ch'alcun non è che non invidj altrui^ Né il timor dalla spème è in lor diviso. La folle turba degU amanti, a cui Stimolo è l'arte d'un fallace viso, Senza fren corre, e non gli tien vergógna, E loro indamo il capitan rampogna. LXXII £i ch'egualmente satisfar desira Ciascuna delle parti, e 'n nulla pende, Sebben alquanto or di vergogna, or d' ira Al vaneggiar de' cavalier s'accende; Poi ch'ostinati In quel deisio gli mira. Nuovo consiglio in accordargli prende: Scrivami i vostri nomi, ed in an vaso Pongansi, disse, e à^i giudice il casow liXXIII Subito il nome di ciascun si scrìsse, E in piccol' urna posti e scossi foro, E tratti a sorte: e '1 primo che n'uscisse Fu il conte di Pembrozia Artemidoro: Legger poi di Gherardo il nome udisse: Ed usa Yincilao dopo costoro: Vincilao, che sì grave e saggio avante, Canuto or pargoleg^ e vecchio amante. iÌA LA GERUSALEMME LXXIV Oh conie il volto han lieto, e gli occhi prégni Di quel piacer che dal cor pieno inonda^ Questi tre primi eletti, i cui disegni lia fortuna in amor destra seconda! D'incerto cor, di gelosia dan segni Gli altri , il cui nome awien che Y urna asconda ; E dalla bocca pendon di colui Che spiega i brevi ^ e legge i nomi altrui. LXXV Guasco quarto fuor venne, a cui successe Ridolfo, ed a Ridolfo indi Olderico: Quinci Guglielmo Ronciglion si lesse , E 1 Bavaro Eberardo, e '1 Franco Enrico; Rambaldo iiltimo fu, che far si elesse Poi, fé cangiando, di Gesù nemico. Tanto puote amor dunque? e questi chiuse U numero de' dieci, e gU altri escluse. LXXVI D'ira, di gelosia, d'invidia ardenti Chiaman gli altri fortuna ingiusta e ria; E te accusano, Amor, che le consenti. Che nell'imperio tuo giudice sia: Ma perchè instinto è dell'umane menti Che ciò che più si vieta, uom più desia, Dispongon molti, ad onta di fortuna, Seg^r la donna, come il ciol s' imbruna. CANTO QUIKTO i53 LXXVII Voglìon sempre seguirla alF ombra, al sole, E per lei combattendo espor la vita. Ella famie alcun mouo, e con parole Tronche, e dolci sospiri a ciò gF invita: Ed or con questo, ed or con quel si duole, Che far convienle senza lui partita. •Sperano armati intanto, e da Goffredo Toglieano i dieci cavalier congedo. Lxxvm GU ammonisce quel saggio a parte a parie, Come la fé pagana è incerta e leve, E mal securo pegno, e con qual'arte L'insidie 9 e i casi avversi uom ftiggir deve: Ma son le sue parole al vento sparte; Né consiglio d'uora sano amor riceve* Lx)r dà comiato alfine, e la donzella Non aspetta al partir Talba novella. LXXIX Parte la vincitrice, e quei rivali, Quasi prigioni al suo trionfo avanti Seco n'adduce, e tra infiniti mali liascia la turba poi degli altri amanti. Ma come uscì la notte, e sotto Tali Menò il silenzio, e i lievi sogni erranti, Secretamente, com'amor gì' informa, Molti d'Armida seguitaron l'orma. i54 LA GERUSALEIVÌME LXXX Segue Eustazio il primiero, e puote appena Aspettar l'ombre che la notte adduce: Vassene frettoloso ove nel mena Per le tenebre cieche un cieco duce. Errò la notte tepida e serena; Ma poi nell' apparir dell' alma luce Gli apparse insieme Annida e'I suo drappello, Dove uu borgo lor fu notturno ostello. LXXXI Ratto ei ver lei si move, ed all'insegna Tosto Rambaldo il riconosce, e grida Che ricerchi fra loro, e perchè vegna. Vengo, risponde, a seguitarne Armida^ Ned ella avrà da me, se non la sdegna^ Men pronta aita, o servitù men fida. Replica l'altro: ed a cotanto onore, Di'^ chi t'elesse? Egli soggiunge: Amore. LXXXII Me scelse Amor, te la Fortuna; or quale Da più giusto elettore eletto parti? Dice Rambaldo allor: nuUa ti vale Titolo falso, ed usi inutil'arti; Né potrai della vergine regale Fra i campioni legittimi mischiarti, Illegittimo servo. E chi ( riprende Cruccioso il giovinetto ) a me il contende? CANTO QUINTO i55 LXXJCIII Io tei difenderò, colui rispose; £ feglisi all'incontro in questo dire; £ con voglie egualmente in lui sdegnose L' altro si mosse, e con egOBJfi ardire. Ma qui stese la mano e si frappose La tiranna dell'alme in mezzo all'ire; Ed all'uno dicea: deh non t' incresca, Ch'a te compagno, a me campion s^ accresca» LXXXIV Se )um che salva i' sia, perchè mi privi In si grand' uopo della nuova aita? Dice all' altro: opportuno e grato arrivi- Diftnsor di mia £yaia e di mia vita; Né vuol ragion, né sarà mai ch'io schivi Compagnia nobil tanto', e si gradita. Cosi parlando , ad of ad or tra via Alcun nuovo campion le scMvenia.. Chi di là giunge, e* chi di qua ; né V uno Sapea dell* altro, e '1 mira bieco e torto, Essa lieta gli accoglie, ed a ciascuno Mostra del suo Venir gioja e conforto. Ma già neUo schiarir dell' aer bruno S'era del lor partir Goffredo accorto; E la mente, indovina de' lor danni, ìy alcun futuro mal par che s'affanni 1^56 LA GERUSALEMME LXXXVI Mentre a ciò pur ripensa, un messo appare Polveroso, anelante, in vista afflitto, In atto d'uom ch'altrui novelle amare Porti, e mostri il dolore in fronte scritto. Disse costui: signor, tosto nel mare lia grande armata apparirà d' Egitto : E l'avviso Guglielmo, il qual comanda A i Liguri navigli, a te ne manda. LXXXVH Soggiunse a questo poi , che dalle navi Sendo condotta vettovaglia al campo, I cavalli e i cammelli onusti e gravi Trovato aveano a niezza strada inciampo, E che i lor difensori uccisi, o schiavi Restar pugnando, e nessun fece scampo. Da i ladroni d'Arabia, in una valle, Assaliti alla fronte ed alle spalle; LXXXVIIl £ che l'insano ardire, e la licenza Di que' Barbari erranti è omai si grande, Che in guisa d'un diluvio intomo, senza Alcun contrasto , si dilata e spande; Onde convien eh' a porre in lor temenza Alcuna squadra di guerrier si mande, Ch'assicuri la via, che dall'arene Del mar di Palestina al cam})o viene. CANTO QUINTO 157 LXXXfX D'una in un'altra lingua in un momento Ne trapassa la fama e si distende; £ 1 vulgo de' soldati alto spavento Ha della fame che vicina attende. n saggio capitan, che T ardimento Solito loro in essi or non comprende, Cerca con lieto vcho e con parole, Come gli rassicuri e riconsole:. xc O, per mille perìgli e mille affanni Meco passati in quelle parti e in queste, Campion di Dio, eh' a ristorare i danni Della cristiana sua fede nasceste; Voi, che l'armi di Persia, e i Greci inganni, E i monti, e i mari, e '1 verno, e le tempeste. Della fame i disagi, e della sete Superaste, voi dunque ora temete? XGI Dunque il Signor che n'indirizza e move. Già conosciuto in caso assai più rio, Non v'assicura, quasi or volga altrove La man della clemenza, e '1 guardo pio? Tosto un di ila, che rimembrar vi giove Gli scorsi affanni, e sciorre i voti a Dio: ^ Or durate magnanimi, e voi stessi Serbate, pi^go, » i prosperi successi i58 LÀ GERUSALEMME XCII G>n questi detti le smarrite menti Consola y e con sereno e lieto aspetto j Ma preme mille cure egre e dolenti Altamente riposte in mezzo al petto. Come' possa nutrir si varie genti Pensa, fra la penuria e fra 1 difetto: Come all'armata in xobt s'opponga, e come Gli Arabi predatori a£freni e dome. LA GERUSALEMME LIBERATA CANTO SESTO ABGOMEMTO argante ogni Cristiano a giostta appella: • Indi Otion rion eletto a lui s oppone Audace troppo^ e tolto wen di sella ^ Onde sen va nella città prigione. Tancredi pur con lui pugna nos^ella Comincia y ma a lei tregua il bufo impone. Erminia y che del suo signor si crede . Curare il maly muo^e notturna il piede» JVla d'altra parte Tasscdiate genti Speme miglior conforta e ras^cura^ Ch'oltre il.cibo raccolto, altri alimenti Son lor dentro pprtati a notte oscura ; Ed han munite d'arme e d'istmmenti Di guerra, verso TAquilon le mura, Che d'altezza accresciute, e sode, e grosse^ Mostran di non temer d'urti, e di scosse. i6o LA GERUSALEMME li E 1 re pia* seìupre queste parti e quelle Lpr fa innalzare ^ e rinforzare i fìanolii ^ O l'aureo sol risplenda, od alle stelle Ed alla luna il fosco del s'imbianchi: E in far continuamente arme novelle Sudano i ìaim afl^ticati e stanchi.. In si &tto apparecchio intollerante A lui sen venne, e ragionogli Argante: E insino a quando ci terrai prigioni Fra queste mura in vile assedio e lento? Odo ben io stridere incudi, e suoni D'elmi, e di scudi, e di corazze io sento; Ma non veggio a qual usò; è quei ladroni Scorrono i campi e i borghi a lor talento : Né v'è di noi chi mai lor passo arresti. Né tromba, che dal sonno almen gli desti* IV A lor né i prandj mai turbati e rotti y Né molestate son le cene liete ; Anzi egualmente i dì lunghi e le notti Traggon con sicurezza e con quiete. Voi da i disagi è dalla fame, indotti A darvi vinti a lungo andar sarete, Od*a morirne qui come codardi, Quaifdo d' Egitto pur l'àjitto titfdi. CANTO SESTO i6i V Io per me non vuo'gìà ch*ìgnobil morte I giorni miei d'oscuro oblio ricopra; Né vuo' ch'ai novo di fra queste jiorte L'alma luce del sol chiuso mi scopra: Di questo viver mio faccia la sorte Quel che già stabilito è là di sopra: Non farà già che, senza oprar la spada ^ Inglorioso e invendicato io cada. VI Ma quando più* del valer vostro usato Così non fosse in voi spenta ogni seme, Non di morir pugnando ed onorato, Ma di vita, e di palma anco avrei speme. A incontrare i nemici e 1 nostro fato Andianne pur deliberati insieme; Che spesso awien che ne' maggior perìgli Sono i più audaci gli ottimi consigli* VII Ma se nel troppo osar tu non isperì, Né sei d'uscir con ogni squadra ardito, Procura almen che sia per duo guerrìeri Questo tuo gran litigio or difim'to; £ perchè accetti ancor più volentieri n capitan de' Franchi il nostro invito. L'arme egli scelga, e 1 suo vantaggio toglia, E le condizion formi a sua voglia. II i62 LA GERUSALEMME mi Che se '1 nemico avrà due mani, ed una Anima sola, ancor ch'audace e fera; Temer non dei per isciagura alcuna Che la ragion da me difesa pera. Puote, in vece di fato e di fortuna , Darti la destra mia vittoria intera: Ed a te se medesma or porge in pegno, Che, se 1 confidi in lei, salvo è il tuo regno. IX Tacque; e rispose il re: giovane ardente, Sebben me vedi in grave età senile. Non sono al ferro queste man sì lente, Ne sì quest'alma è neghittosa e vile, Ch'anzi morir volesse ignobilmente. Che di morte magnanima e gentile; Quand' io temenza aves^, o dubbio alcuno, De' disagi ch'annunzi, e del digiuno. X Cessi Dio tanta infamia: or quel eh' ad arte Nascondo altrui, vuo' eh' a te sia palese. Soliman di Nicea, che brama in parte Di vendicar le ricevute offese. Degli Arabi le schiere erranti, e sparte Raccolte ha fin dal Libico paese: E i nemici assalendo all'aria nera, Dame soccorso, e vettovaglia spera. CANTO SESTO iCA XI Tosto fia che qui giunga: or se frattanto Son le nostre castella oppresse e serve. Non ce ne caglia, purché 1 regal manto E la mia nobil reggia io mi conserve. Tu r ardimento, e questo ardore alquanto Tempra, per Dio, che n te soverchio ferve: Ed opportuna la stagione aspetta Alla tua gloria, jed alla mia vendetta. XII Forte sdegnossi il Saracino audace. Ch'era di Solimano emulo antico; Si amaramente ora d'udir gli spiace Che tanto sen prometta il rege amico. A tuo senno, risponde, e guerra e pace Farai, signor: nulla di ciò più dico. S'indugi pure, e Soliman s'attenda: Ei, che perde il suo regno, il tuo difenda. XIII Vengane a te quasi celeste messo, Liberator del popolo Pagano: Ch'io, quanto a me, bastar credo a me stesso, E sol vuo' libertà da questa mano. Or nel riposo altrui siami concesso. Ch'io ne discenda a guerreggiar nel piano: Plivato cavalier, non tuo campione. Verrò co' Franchi a singoiar tenzone. i64 LA GERUSALEMME XIV Replica il re: sebbea Tire e la spada Dovresti rlserbare a miglior usoj Che tu sfidi però^ se ciò t'aggrada^ Alcun guerrier nemico, io non ricuso. Cosi gli disse; ed et punto non bada: Ya' , dice ad un* araldo , or colà giuso; Ed al duce de' Franchi, udendo l'oste, Fa' queste mie non picciole proposte : XV Gh'un cavalier, che d'appiattarsi in questo Forte cinto di muri a sdegno prende , Brama di far con l'armi or manifesto Quanto la sua possanza oltra si stende: E che a duello di venirne è presto Nel pian eh' è fra le mura e l'alte tende, per prova di valore : e che disfida Qual più de' Franchi in sua virtù si fida; XVI E che non solo è di pugnare accinto £ con uno, e con due del campo ostile; Ma dopo il terzo, il quarto acceua, e '1 quinto^ Sia di vulgare stirpe, o di gentile: Dia, se vuol, la franchigia, e serva il vìnto Al vincitor, come di guerra è stile. Cosi gì' impose, ed ei vestissi allotta La purpm^ea dell'arme aiu-au cotu. CANTO SESTO i65 XVII E poi ohe giunse alla regal presenza Del priocipe Goffredo^ e de' Baroni^ Chiese: o signore, ai messaggier licenza Dassi tra voi di liberi sermoni? Dassi, rispose il capitano, e senza Alcun timor la tua proposta esponi. Riprese quegli: or si parrà, se grata O formidabil sia l'alta ambasciata. XVIII E segui poscia, e la disfida espose Con parole magnifiche ed altere. Fremer s' udirò, e si mostrar sdegnose Al suo parlar quelle feroci schiere^ E senza indugio il pio Buglion rispose: Dura impresa intraprende il cavaliere : E tosto io creder vuo' che ^ie ne incresca Sì, che d'uopo non fia che '1 quinto n' ésca. XIX Ma venga in prova pur, che d'ogni oltraggio Gli offero cam}x> libero e securo: E seco pugnerà senza vantaggio Alcun de' miei campioni; e così giuro. Tacque; e tornò il re d'arme al suo viaggio Per l'orme ch'ai venir calcate foro; E non ritenne il fi^ettoloso passo, Sin che non die risposu al fiier Circasso: f(i6 LA GERUSALEMME XX Armati, dice, alto signor, che tardi? La disfida accettata hanno i cristiani; E d'affrontarsi teco i men gagliardi Mostran desio, non che i guerrier soprani: E mille i' vidi minacciosi sguardi , E mille al ferro apparecchiate mani ; Loco securo il duce a te concede. Così gli dice j e Tarme esso richiedi^;. XXI E se ne cinge intomo, e impaziente Di scenderne s^ affretta alla campagna» Disse a Clorinda il re, ch'era presente:. Giusto noa è ch'ei vada, e tu rìmagoa. Mille dunque con te di nostra gente Prendi in sua sicurezza, e T accompagna; Ma vada innanzi a giusta pugna ei solo ; Tu lunge alquanto a lui ritien lo si^oloé ; XXII Tacque ciò detto: e poi che furo annali , Quei del chiuso n'uscivano all'aperto; E giva innanzi Argante, e degli usati Arnesi in sul cavallo era coperto. Loco fu tra le mura e gli steccati,^ Che nulla avea di disuguale o d'cirio, Ampio e capace, e inarca fatto ad arte, Perch'egli fosse. altrui campo di Marte. CANTO SESTO 167 XXIII Ivi solo discese, ivi fermosse In visia de' nemici il fero Argante: Per gran cor, per gran corpo, e per gran ]ìo$se Superbo, e minaccevole in sembiante: Qual Encelado in Flegra, o qual mostrosse Nell'ima valle il Filisteo Gigante. Ma pur molti di lui tema non hanno, . Ch'anco quanto sia forte appien npn sanno. XXIV Alcun però dal pio Goffredo eletto . Come il migliore ancor non è fra molti. Ben si vedean con desioso affetto Tutti gli occhi in Tancredi esser rivolti: £ dichiarato infra i miglior perfetto Dal favor manifesto era de' volti ; E s' udia non oscuro anco il bisbiglio: E l'approvava il capitan col ciglio, XXV Già cedea ciascun altro, e non secreto Era il volere omai del pio Buglione : Vanne, a lui disse, a te l'uscir non vieto, E reprimi il furor di quel fellone. E tutto in volto baldanzoso e lieto. Poiché d'impresa tal fatto è campione, Allo scudier chiedea l'elmo e '1 cavallo; Poi seguito da molti uscia del vallo. i68 LA GERUSALEMME XXVI Ed a quel largo pian fatto vicino, Ov' Argante l'attende, anco non era, Quando in leggiadro aspetto e pellegrino S'offerse agli occhi suoi Falta guerriera. Bianche via più che neve in giogo al{Hno, Avea le sopravveste, e la visiera Alta tenea dal voko, e sovra un erta, Tutta, quanto ella è grande, era scoperta. XXVII Già non mira Tancredi ove il Circasso La spaventosa fronte al cielo estolle; Ma muove il suo destrier con lento passo, Volgendo gli occhi ov'è colei sul colle. Poscia immobil si ferma, e pare un sasso, Gelido tutto fuor, ma dentro bolle: Sol di mirar s'appaga, e di battaglia Sembiante & che poco or più gli caglia. XXVIII Argante, che non vede alcun eh' in atto Dia segno ancor dUpparecchiarsi in giostra; Da desir di contesa io qui fui tratto, Grida, or chi viene innanzi, e meco giostra? L'altro attonito quasi e stupefatto Pur là s'affissa, e nulla udir ben mostra. Ottone innanzi allor spinse il destriero, E neir arringo vuoto entrò primiero. CANTO SESTO 169 XXIX Questi un fu di color, cui dianzi aoce.^e Di gir contra il Pagano alto desio; Pur cedette a Tancredi, e 'n sella dscese Fra gli altri, che 1 seguirò, e seco uscio. Or vedendo sue voglie altrove intese, E stame lui quasi al pugnar restio , Prende, giovine audace e impaziente, L'occasione offeita avidamente; XXX E veloce cosi, che tigre o pardo Va men ratto talor per la foresta, G)rre a ferire il Saracin gagliardo , Che d'altra parte la gran lancia arresta. Si scuote allor Tancredi, e dal suo tardo Pensier, quasi da un sonno, alfin si desta, E grida ei ben: la pugna è mia, rimanti; Ma troppo Ottone è già trascorso innanti» XXXI Onde si ferma, e d' ira e di dispetto Avvampa dentro, e fuor qual fiamma è roMo; Perch'ad onta si reca, ed a difetto, Ch'altri si sia primiero in giostra mosso: Ma intanto a mezzo il corso in sull' elmetto Dal ^ovin forte è il Saracin percosso. Egli all' incontro a lui col ferro acuto Fende l'usbergo, e pria rompe lo scuto. 170 LA GERUSALEMME XXXII Cade il Cristiana; e ben'è il colpo acerbo, Poscia eh' awien 'che dall' arcion lo svelta: Ma il Pagali di più forza, e di più. nerbo Non cade già, né pur si torce in sella. Indi con dispettoso atto superbo Sovra il caduto cavalier favella : Renditi vinto, e per tua gloria basti Che dir potrai, che contra me pugnasti. XXXIII No, gli risponde Otton, fra noi non $ usa Così tosto depór Tarme, e l'ardire. Altri del mio cader farà la scusa: Io vuo' far la vendetta, o qui morire. In sembianza d' Aletto, o di Medusa Freme il Circasso, e par che fiamma spire: Conosci or, dice, il mio valore a prova. Poiché la cortesia sprezzar ti giova* XXXIV Spinge il destrier in questo, e tutto oblia Quanto virtù cavalleresca chiede: Fugge il Franco l'incontro, e si desvia, E '1 destro fianco nel passar gli fìede : Ed é si grave la percossa e ria. Che '1 ferro sanguinoso indi ne riede: Ma che prò, se la piaga al vincitore Forza noa toglie, e giunge ira e furore? CANTO SESTO 171 XXXV Alante il corridor dal corso atffrena, E indietro il volge; e cosi tosto è volto ^ Che se n'accorge il suo nemico appena, E d'un grand' urto all' improvviso è colto. Tremar le gambe, e inidebolitf la lena. Sbigottir l'alma, e impallidir il volto Gli fé' l'aspra percossa, e frale e stanco Sovra il duro terrea battere il fianco. . xxxvi Neil' ira Argante inf^lcmisoe, e strada Sopra il peno del vinto al destrier face, E così, grida, ogoirisuperbo vada. Come costui che sotto i pie mi giace. Ma r invitto Tancredi allor non bada. Che l'atto crudelissimo gli spiace; £ vuol che '1 suo valor con chiara emenda Copra il suo fallo, e come suol risplenda. XXKVII Fassi innanzi gridando: anima vUie, Che ancor nelle vittorie in&me 9&ij Qual titc^ di laude lalto e gentile Da modi attendi sì «^xfttesi e rei ? Fra i ladroni d' Arabia /o fra sisbild Barbara mrba avvezeo «aseir tu deii ! Fuggi la luce, e va' con l'altre belve A incrudelir n«' monti e tra le selve. 173 LA GERUSALEMME XXXVIII Tacque; e 1 Pagano a sofferìr poco uso. Morde le labbra , e di furor si strugge : Risponder vuol , ma 1 suono esce confuso Sì come strìdo d'animai che rugge; 0 come apre le nubi, ond'egli è chiuso, Impetuoso il fulmine, e sen fugge: Così pareva a forza ogni suo detto Tuonando uscir dall' infiammato petto. XXXIX Ma poiché in ambo il minacciar feroce A vicenda irritò l'orgoglio e l'ira, L'un come l'altro rapido e veloce, Spazio al corso prendendo, il destrier gira. Or qui, Musa, rinforza in me la voce, E jbror pari a quel furcnr m'inspira, Si che non sian dell'opre indegni i carmi, ^à esprima il mio canto il suon dell'armi. XL Posero in resta, e dirizzaro in alto 1 duo guerrier le noderose antenne; Né fu di corso mai, né fu di saltò, Né fa mai tal velocità di penne , Né fìiria eguale a quella, ond' all' assalto Quinci Tancredi, e quindi Argante venne. Rupper r aste sugli elmi , e volar mille E tronchi e scheggie, e lucide faville. CANTO SESTO i^3 XLI Sdi dei colpi il rimbombo intorno mosse L'immobil terra, e risonarne i monti; Ma l'impeto, e'I fiiror delle percosse Nulla piegò delle superbe fronti. L'uno e T altro camallo in guisa urtosse, Che non fur poi, cadendo, a sorger pronti. Tratte le spade i gran mastri di guerra Lasciar le staffe^ e i pie fermaro in terra* XLII Cautamente ciascuno a i colpi muove La destra, ai guardi T occhio, ai passi il piede: Si reca in atti varj, in guardie nuove: Or gira intomo, or cresce innanzi, or cede: Or qui ferir accenna, e poscia altrove. Dove non minacciò, ferir si vede: Or di se discoprire alcuna parte. Tentando di schernir l'arte con Tarte. XLIII Bella spada Tancredi, e dello scudo Mal guardato al Pagan dimostra il fianco: Corre egli per ferirlo, e intanto nudo Di riparo si lascia il lato manco. Tancredi con un colpo il ferro crudo Del itemico ribatte, e lui fere anco: Né poi, ciò fatto, in ritirarsi tarda; Ma si raccoglie, e si ristringe in guarda. 174 LA GERUSALEMME XLIV n fero Argante^ che se stesso mira Del proprio sangue suo macchiato e molle ^ Con insolito orror freme e sospira , Di cruccio e di dolor turbato e folle ; £ portato dall'impeto e dall' ira , Con la voce la spada insieme estolle; £ toma per ferire, ed è di punta Piagato ov'è la spalla al braccio giunta. XLV Qual nell'alpestri selve orsa, che senu Duro spiedo nel fianco, in rabbia monta, E contra l'arme se medesma avventa, E i perigli, e la morte audace affronta: Tale il Circasso indomito diventa, Giunta or piaga alla piaga, ed onta all'onta: E la vendetta far tanto desia. Che sprezza i rìschi, e le difese oblia, XLVI E congiungendo a temerario ardire Estrema forza, e infaticabil lena, Yien che si impetuoso il ferro gire, Che ne trema la terra, e il ciel balena: Né tempo ha l'altro ond'un s(A colpo tire, Onde si copra, onde respiri appena: Né schermo v'é ch'assecurar il possa Dalla filetta d'Argante, e dalla possa. ' CANTO SESTO 17$ XLVII Tancredi, in se raccolto, attende in vano Che de' gran colpi la tempesta passi: Or v'oppon le difese, ed or lontano Sen va co' giri, e co' maestri passi. Ma, poiché non s'allenta il fier pagano, h fòrza alfin che trasportar si lassi: E cruccioso egli ancor, con quanta puote Violenza ma^or la spada rote. XLVIII Vinta dall'ira è la ragione e l'arte, • £ le forze il furor ministra, e cresce. Sempre che scende il ferro o fora, o parte, O piastra, o maglia, e colpo in van non esce: Sparsa è d'arme la terra, e Tarme sparte IX sangue, e '1 sangue col sudor si mesce. Lampo nel fiammeggiar, nel romor tuono, Fulmini nel ferir le spade sono. XLIX Questo popolo e quello incerto pendè Dà sì nuovo spettacolo ed atroce; £ fra tema e speranza jl fin n'attende. Mirando or ciò che giova, or ciò che nuoce: E non si vede pur, neppur s'intende Piccibl cenno fra tanti, o bassa voce; Ma se ne sta ciascun tacito e immoto, Se non se in quanto ha il cor tremante in moto. 176 LA GERUSALEMME L Già kssi enxso entrambi ^ • giunti forse Sarian pugnando ad immaturo fine^ Ma sì oscura la notte intanto sorse ^ Che nascondea le cose anco vicine. Quinci un araldo, e quindi un altro accorse Per dipartirgli, e gli partirò alfine. L'uno è il Franco Arideo, Pindoro è Taltro, Che portò la disfida, uom saggio e scaltro. LI • I pacifici scettri osar costoro Fra le spade interpor de' combattenti. Con quella sicurtà che porgea loro L'antidiissima legge delle genti: Siete, o guerrieri, incominciò Pindoro, Con pari onor, di pari ambo possenti. Dunque cessi la pugna, e non sian rotte LiC ragioni, e 1 riposo della notte. LII Tempo è' da travagliar mentre il sol dura; Ma nella notte ogni animale ha pace: E generoso cor non molto cura Notturno pregio che s'asconde è tace. ' Risponde Argante: a me per ombra oscura La mia battaglia abbandonar non piace: Ben avrei caro il testimon del giorno; Ma che giuri costui di fiur ritorno. CANTO SESTO 177 LUI So^iunse l' altro allora: e tu prometti Di tornar^ rimenando il tuo prigione; Perch'altrimenti non fia mai ch'aspetti Per la nostra contesa altra stagione. Così giuraro : e poi gli araldi eletti A prescriver il tempo alla tenzone, Per dare spazio alle lor piaghe onesto. Stabilirò il mattin del giorno sesto. LIV Lasciò la pugna orribile nel core De' Saracini e de'Feddi impressa Un'alta meraviglia, ed un orrore Che per lunga stagicme in lor non cessa. Sol dell'ardir si parla, e del valore Che l'un guerriero e l'altro ha mostro in essa^' Ma qual si debbia di lor due jn-eporre, Vario e discorde il vulgo in se discorre. LV £ sta sospeso in aspettando cpiale Avrà la Jfera lite avvenimento: E sci furore alla virtù prevale, O se cede l'audacia all's^tlimento. Ma più di ciascun «altro, a cui ne cale, lia bella Erminia n'ha cura e tOTmemo; Che da i giudizj dell'incerto marte •-. Vede pender di se la miglior parte. 12 178 LA GERUSALEMME LVI Costei, cke fi^ia ftt del re Cassano Che d' Antiochia già T imperio tenne, Preso il suo regno^ al rincitor cristiano Fra r altre prede anch' ella in poter venne: Ma fulle in guisa allor Tancredi umano ^ Che nulla ingiuria in sua balìa sastenae, Ed onorata fìi , nella mina Dell'alta patria sua , arte il coq^jglv^r fallace . Con tai lusinghe al suo piacer* V allettjta: Nata non sei tu già à'qvtìn vor^^e. Né d'aspro e freddo sco^li^, zD gioyanaM^^j Ch'abbia a sprezzi»* d'jiinpr Inarco. e la^^e^ Ed a fuggir c^por qu^ £Ìm diletta ; • Né petto hai tu di ferro, o di diamante. Che vergogna M sia l'efitser jN^iM^t^. i84 LA GERUSALEMME LXXIV Deh vanne ornai dove il desio t' invoglia : Ma qual ti fingi vincitor crudele? Non sai com'egli al tuo doler si doglia, Come compianga al piànto, alle querele? Grudel sei tu, che con 8Ì pigra voglia Movi a portar salute al tuo fedele. Langue, o fera ed ingrata, il pio Tancredi; £ tu dell'altrui vita a cura siedi, LXXV Sana tu pilr Argante, acciò che poi H tuo liberator sia spinto a morte. Così disciolti avrai gli obblighi tuoi , E sì bel premio fia ch'ei ne riporte. È possibil però, che non t'anncM Qùest' empio ministero or cosi forte , Che la noja non basti e l'orror solo A far che tu di qua ten fugga a volo? LXXVI Deh ben fora all'incontro ufficio umaVièiy E ben n'avresti tu gioja e diletto, ' Se la pietosa tua medica mano Avvicinassi al valoroso petto. Che per te fatto il tuo signor poi sano Colorirebbe il suo smarrito aspetto; E le bellezze sue, che spente or sono. Vagheggeresti in lui quasi tuo dono. CANTO SESTO i85 LXXTII Parte ancor poi nelle sue lodi avresti^ E uell' opre eh' ci fesse alte e famose; Ond' egli te d' abbracciamenti onesti ^ Faria lieta, e di nozze avventurose. Poi mostra a dito, ed onorata andresti Fra le madri Latine, e fra le spose Là nella bella ftalia, ov'è la sede Del valor vero, e della vera Fede. Lxxyiii Da tai speranze lusingata ( ahi stolta I ) Somma felicitate a se figura. Ma pur si trova in mQle dubbj awoha, * Come partir si po^sd indi secura; Perchè veglian le guardie, e sempre in volta Van di fuori al palagio, e sulle mura: Né porta alcuna in tal rischio di guerra Senza grave cagicm mai si disserra. »LXXIX Soleva Erminia in compagnia sovente Della guerriera far lunga dimora. Seco la vide il sol dall' occidente, Seco la vide la novella aurora: E quando son del dì le luci spente, Un sol letto le accolse ambe talora; E nuli' altro pensfer, che l' poroso, L' una vergine all'altra avrebbe ascoso* i86 LA GERUSALEMME LXXX Qae^to wl ti^os Efmmia a lei secreto^ £ se udit^ da hi talor 4 lagng, Reca ad altra cagiou del cor QPn lieto Gli effetti^ e par che di sua sorte piagna. Or in tanta alnistà, senaa divieto, Venir sempre ne puote alla ccMnpagna : Né stanza al giunger suo giammai si serra , Siavi Clorinda, o sia in consiglio, o n guerra, Venuevi un giorno dVella in fJtra parte^ Si ritrovava, e si fermò pensosa, Pur tra se rivolgendo i modi e Tarte Della bramata sua partenzei ascosa. Mentre in varj pensier divide p p^rte L'incerto animo suo che non hi pojsa; Sospese di Clorinda in alto niira L'arme e le sopraveste: allor sospira j LXXXil E tra se dice sospirando: oh quanto Beata è la fortissima douT^Ual Quant io la invidio! e ncói )e iayidip il V5aiftlo, O '1 femminil onor dell' esier l?ella. " A lei non tarda i-passi, il lungo^ monto : Né '1 suo valor rinchiude invida cella ^ Ma veste Y armi, e $e d' u^itne agogna, Vassene, e non U lien teim p vergogna. CANTO SESTO 187 LXXZIII Ah perchè forti a me natura e 1 dleio Altrettanto non far le membra e 1 peita. Onde potessi anch'io la gonna e 1 velo Cangiar nella corazza e nell'elmetto? Che si non riterrebbe arsura o gelo, Non turbo o pioggia il mio infiammato affetto ; Ch'ai sol non Sos$ì , ed al notturno lampo. Accompagnata o sola , annata in campo. 1.XXXIV Già non avresti, o dispietato Argante, Col mìo signor pugnato tu primiero, Ch'io sarei corsa ad incentrarlo innante, £ forse or fora qui mio prigioniero: E sosterria dalla nemica aitante Giogo di servitù dolce e leggiero: E già per li suoi nodi i' sentirei Fatti soavi, e alleggeriti i miei. ixxxv Ovvero a me, dalla sua destra fl fianco Sendo percosso, e riaperto il core. Pur risanata in cotal guisa almanco Colpo di f«»TO avria piaga d'amore: Ed or la mente in pace, e '1 corpo stanco Riposeriansi : e forse il vincitore Degnato avrebbe il mio cenere e Tossa D' alcun onor di lagrime, e di fossa: i88 LA GERUSALEMME LXXXVI Ma lassa ! i' bramo non possibil cosa ^ E tra folli pensier in van m' avvolgo; Dunque io starò qui timida e dogliosa , Gom' una pur del vii femminino volgo? Ah non stai*ò: cor mio confida ed osa. Perchè l' arme una vd!ta anch' io non tolgo ? Perchè per breve spazio non potroUe Sostener, benché sia debile, e moUe? LXXXVII Si potrò, sì, che nód farà pónente Amor, ond' alta forza i men forti hanno; Da cui spronati ancor s' arman sovente D' ardire i cervi imbdli , e guerra fanno. Io guerreggiar non ^, vuò solamente Far con guest' armi un ingegnoso inganna: Fìnger mi vuò Clorinda, e ricoperta Sotto Timmagiu stia, d'uscir son certa. Lxxxvm Non ardirieno a lei far i custodi Dell'alte porte resistteoza alcuna^ Io pur ripenso, e non veggio altri modi: Aperta è, credo, questa via. sol' una. Or favorisca l'innocenti frodi Amor, che le m'inspira, e la fortuna: E ben al mio partir comoda è l'ora, Mentre col re Clorinda anco dimora. CANTO SESTO 189 LXXXIX Cosi risolve , e stimdata e punta Dalle furie d'amor più non as])etta; Ma da quella alla sua stanza congiunta L'arme involate di portar s'affretta: ^ E far lo può, che quando ivi fu giunta Die loco ogni altro, e si restò soletta: E la notte i suoi furti ancor coprìa, Ch' a' ladri arnica^ ed agli amanti usda. XG Essa reggendo il ciel, d'alcmia stella Già sparso intomo, divenir più nero; Senza frapporvi alcun indugio, appella Secretamènte un suo fedel scudiero. Ed una sua leal diletta ancella, E parte scopre 1<^ del suo pensiero: Scopre il disegpo della fuga', e finge Ch'altra cagione a dipartir l'astrìnge. xci Lo scudiero fedel subito appresta Ciò che al bisc^np necessario crede, Erminia intanto la pomposa vesta Si spoglia, che le scende insino al piede; E in ischietto vestir leggiadra rest^, £ snella si che ogni credenza eccede: Né, trattane colei ch'alia partita Scelu s'avea C9ix^agna, altra Taiu. iQo LA GERUSALEMME XCII Gol durnstmo i^cdar preme ed offetkde n delicato ooUOj e V aurea dìioma: E la tenera man lo scudo prende , Pur troppo graTte e insopporialMl soma* Cosi tutta di ferro intorno splende^ E in atto militar gè stessa doma. Gode Amor eh'è presente^ e tra se ride, Gome alior già' ch'àvVi:^ iu gonna Alcide. xCtii Oh eob quanta fatica ella sostiene L'ineguai pMOy e muove lenti i pàsisil Ed alla fida C6m)ìagnia s'attiene, Ghe per appoggiò andar dinanzi £tsri. Ma rinforza gli npilii anaore e spén^j E ministrati Tigorè a ì mémbii 1^: Sì che giungono ^d ItìOo otte le aspetta liO scudiero, é in arcion sà^onò in fhétt^ kciv Travestiti he Vanno, e la più ascosa E più ripostò Via prendono ad arte t Pur s'avvengono ib molti, é Tèt^ia »mbtt»a Ve^ion lucer di fe^ro in ogni pa!*te^ Ma impedii^ Idr Vlag^o alcun ndn dsa, E cedendb il Mntìèr ne Va in disrpatie; Ghe quel candidò ammanto, e la temutli Insegna anco néll'òmbi'a è^^xmoècitttà. • CA-NTO SESTO 191 xcv Erminia 9 benché quivi alqitanto sceme Del dubbio suo, non va però seciira, Che d' essere scopetta alla fin teme, E del suo troppo ardir sente or paura: Ma pur giunta alla porta il ìhnùv pteme , Ed inganna cc4ui che n'ha la ctaira: Io son Clorinda, disse , apri la porta, Che '1 re m'invia dove l'andare importa. xcvi lia.voce Femminil) setnbiante a quella Della guerriera, agevola l'inganno^ ( Chi crederla veder arinata in sella Una dell'altre ch'arme oprar non sanno?) Sì che 1 portier tosto ubbidisce, ed ella M'esce veloce^ e i duo che àeco vanno ; E per lor sicurezza entro le vàih Calando , prendoo lunghi oUiqui ocllli. XCVII Ma poi eh' Erminia in solitaria ed ìifia Parte si vede, alquanto il corso alleata ^ Che i primi riséhi aver passati estima^ Né d' esser ritenuta cmiai paventa. Or pensa a qadlo a che pensato in prinla Non bene aveva, ed in: le s'appresenta DifHcil più cVa lei non fìi mostrata Dal frettoloso jsiuo desir l' BUtrata. iga LA GERUSALEMME XCVIII Vede or che sotto 1 militar Sfeinhiaoto Ir tra feri nemici è gran follia: Né d'altra parte palesarsi^ innante Ch'ai suo signor giungesse, altrui vorrìa. A lui secreta ed improvvisa amante Con secura onestà giunger desia; Onde si ferma, e da miglior pensiero Fatta più cauta, parU al suo scudiero: xcix Essere, o mio fedéle, a te conviene Mio precursore ma sii pronto e sagace: Vattene al campo, e fa' eh' alcun ti mene E t'introduca ove Tancredi giace, A cui dirai., che donna a lui ne viene, Che gli apporta salute e chiede pace: Pace, poscia ch'amor guerra mi muove, Ond' ei salute , io rafrigerio trove. e E di' essa ha in lui sì certa e viva fede, Ch'in suo poter non teme onta né scorno. Di' sol questo a lui solo; e s' altro ei chiede , Di' non saperlo, e affretta il tuo. ritorno. Io ( che questa mi par secura sede y In questo imezzo qui farò soggiorno. Cosi disse la domia: e quel leale Già veloce così, come avesse ale. CANTO SESTO 19^ CI E 'seppe in goisa oprar, eh' amicaméme Entro ai <^usi ripari ei fu raccolto, E poi condotto al cavalier giacerne, Che r ambasciata udì eoa lieto volto: E già lasciando et lui, che nella* mente Mille ànlA^ pensieri avea pivoko, • Ne ri{)ortava a Im dolce risposta, Ch' entrar-potrà^ (pianto pia :li<^, asQpsta-. cu Ma ella intatìta impaziente, a cui Troppo ogn' indugio par nojoso, e greye, Numera fra se stessa i passi altrùi , E pensa: or giunge, or entra ^ or tornar devej- E già le sembra, e se ne duol', colui Men del solito assai spedito^ e*leve« Spingesj al&ie i&nanzi, e 'n jmrte ascende Onde coittinoìaf a digoopi'ir le tende. ani Era- l**notte^* e 1 suo steMhto velo Chiaro spiegava é ^ sìeiiza nube alcuna : E già spargea hai fuminosi e gelo Di vive ^lie la 'sorgente liina^ L' innamoriìca denuKì iva col cidio Le sue^fisoìttmeifogaiMio ad una ad una: E secretar) dei suo amore antico Fea i muti cumgij t quel silenzio amico. i3 494 LA GERUSALEMME civ Poi rìioirando il campo ^ dia dicea: O belle agli occhi miei teside latine , Aura spira da y<à che mi ricrea^ E mi conforta pur che m^ avviane. Cosi a mia Tita combattuta ó red Qualche onesto riposo il del destifl^. Come in voi solo il cercò ^ e K^Q p«rmi Che u*ovar pace io possa in m«»fO jaH' armi* cv Raccogliete xne dunque^ e in tqÌ si trote Quella pietà che mi promise Amore ^ E ch'io già vidi pngion^ra altrqv^ ]Vel mansueto mip doloe. sif^oore.s > Né già desio di ifaiecfuisAar mi.mi^iove Col favor Yostro 51 mio regale .Ofiore: Quando ciò npu avvaigs^, amai ft^xHs Io mi terrò ^ se 'o voi serfU^ m».ìkàs > evi Cosi parla costei , che nt>n) pi?e¥edei Qual dolenie fi>rtuna a lei* s'>a^irMt<|« . Ella era in parte ^ ove per dritto^ fiede U armi sue terrea! bel raggio deleste, . Si che da lunge il lampo Iw divede . Col bel candor ehe le curcpoda e-f^este: E la gran tigre nell' ai^rate^imf>rt)sia Fiammeggia si^ ch'ognun dUiiebbe: è dessa. CANTO SESTO igS CVII Come vdle stia sorte, a»ai Vidni Molti gaerrìer disposti aveaa ^i aggaati^ £ n'eran duci duo firatei Latini ^ Alcandro e Polifemo; e fìir mandati Per impedir che dentro, a x Saoracini Greggie non siano, e non sian buoi menati : E se 1 servo passò, fìi perdiè torse Più lunge il passo, e ra{Mdo trascorso. CVIII Al ^ovin Poliamo, a cui fti il podce Su gli occhi suoi già da Qorìnda ucciso, Viste le spoglie candide e leg^adre, Fu di veder l'alta guerrìeca arrviso, E contra le irritò le occulte squadre^ Né frenando del cor moto improvviso ( Com'era in suo furor subito e fciìe ) Gridò: sei moru; e l'asta invan laudile. e IX Si come cerva che assetata il passo' Muova a cercar d'acque lucenti e vive, Ove un bel fonte distillar da un sasso, O vide un fiume tra frondose rive; Se inocmtra i cani allor dbe '1 enrpo Idsan Ristorar crede all'onde, all'ombre estive, Volge indietro fu^endo^ e la pnora La sunchezza oUQar face, t i'airsur$i4> )icp LA GERUSALEMME ex Cosi costd dbè dell'amor la sete, Onde r infermo core è sempre ardente^ Spegner nell' aòeòglienze oneste e liete Credeva, e riposar la stanca mente; Or che contra le vien chi gliel diviéte, % 1 suon del ferrò e le minacce sente, Se stessa e 1 suo desir piimo abbandona , E 1 veloce destrier tinuda sprona.' . CXI Fugge Erininia infelice, e 1 suo destriero Con prontissijho piede il suol calpesta. Fugge ancor V altra donna, e lor quel fero Con molti. armati di seguir non resta. Ecco che dalle tende il buon scudiero Con la tarda novella arriva in questa: E r altrui fuga ancor dubbio accompagna^ E gli sparge il timor per la campagna. * cxii Ma il' più saggio fratello, il quale anch' fesso La non vera Clorinda avea veduto. Non la volle seguir, ch'era men presso, t Ma neir insidie sue s' è ritenuto : E mandò con 1' avviso al campo un messo , Che non armento, od animai lanuto, Né preda altra simil; ma eh' è seguita Dal suo germaà Clorinda impaurita : CANTO SESTO 197 CXIII E eh* ei non crede già, né 1 vuol ragione, Ch'ella eh' è duce, e non è sol guerriera, Elegga all' uscir suo tale stagione Per opportunità che sia leggiera: Ma giudichi e comandi il pio Buglione: Egli farà ciò, che da lui s'impera. Giunge al campo tal nuova, e se ne intendo Il primo suon nelle Latine tende. cxiv Tancredi, cui dinanzi il cor sospese Quell' avviso primiero,' udendo or questo. Pensa: deh forse a me venia cortese, E in periglio è per me; né pensa al resto ^ E parte prende sol del grave arnese , Mpnta a cavallo, e tacito esce e presto; E seguendo gì' indizj e Y onne nuove, Rapidaumente a tutto corso il muove. LA GERUSALEMME LIBERATA CANTO SETTIMO i' AIVGOMSNTO Fugge Erminia y eunpastort accoglie. Intanto Tancredi^ ihs^an di lei cercando^ il piede Pan ne lacci dH Armida. Ufero s>anto D^ Argante riprwar Raimondo ha fede: Però difeso da custode santo Seco entra in campo. Bel^^hii che vede CK al Pagan male il folle ardir riesce j f^er lui sahar, guerra e procelle mesce» Intanto Enniilia infra Vcmbtme pfantè D'antica selva dal cavallo è scorta: Né più governa il fren la man tremante^ £ mez^a quasi par tra viva e morta. Per tante strade si raggira e tante n corridor che 'n sua balìa la porta; Gh'alfin dagli occhi altrui par si dilegua, Ed è soverchio ornai ch'altri la segua. 200 LA GERUSALEMME lì Qual dopo lunga e faticosa caocia Tornansi mesti ed anel^uiti i cani, Che la fera perduta abbiati di traccia^ Nascosa in selva dagli aperti piani; Tal pieni d'ira e di vergogna in faccia Riedono stanchi i cavalier Cristiani. » , Ella pur fugge, e timida e smarrita Non si volge a mirar s'anco è seguita. • III Fuggi tutta la notte, e tutto il giorno Errò senza consiglio e senza guida, Non udendo o vedendo altro d'intorno, Che le lagrime sue, che le sue strida; Ma nell'ora, che 1 sol dal carro adomo Scioglie i corsieri , e in grembo al mar à' ant)ìil:u Giunse del bel Giwdano alle chiare acque, £ scese in riva al fiume, e qui si giacque. IV Cibo non prende già, che de' suoi mali Solo si pasce, e sol di pianto ha sete; Ma'l sonno, che de miseri mortali È col suo dolce oblio posa e quiete^ Sopì co' sensi i suoi dolori, e l'ali Dispiegò sovra lei placide e chete : Né jierò cessa Amor^ con varie fonne. La sua pace turbar mentre ella dorme. CANTO SETTIMO aoi V , Neil sì destò fin che garrir gli augelli Non senti lied e salutar gli albori, £ mormorare il fiume e gli arboscelli^ £ con Inonda scherzar 1' am*a, e co' fiori: Apra i languidi lumi, e guarda quelli Alberglii volitar] de' pastori; £ parie vooe uscir, tra Y acqua e i rami^ Gh'a i sospiri ed al pianto là richiami. VI Ma son^ mentre ella piange, i suoi lamcoii Rotti da un chiaro suon eh' a lei ne viene. Che sembra ed è di pastorali accenti Misto, e di boscarecce inculte avene. Risorge, e là s' indrizza a passi lenti, £ vede un uom canuto all'ombre amene Tesser fiscelle alla sua greggia accanto, £d ascoltar 4i tre fanciulli il canto. VII Vedendo quivi comparir repente L'insolite, arme, sbigottir costoro; Ma gli saluta £rminia, e ddlcemcnte Gli afitda, e gli occhi scopre e i bei crìn d'oro: Seguite, dice, avventurosa gente Al eie! diletta, il bel vostro lavoro; Che non portano già guerra quest'armi All'opre vostre, a i vostri dolci carmi. ao2 LA GERUSALEMME vili So^unse poscia: o padre , or che d'intorno^. D'alto incendio di guerra arde il paese ^ Come qui state in placido soggiorno Senza temer le militari offese? Figlio, ei rispose, d^ogni oltrag^o e sccntio La mia famiglia e la mia greggia illese Sempre qui 1^; né strepito di Marte Ancor turbò questa remota parte. IX O sia grazia del ciel che Tumiltade • D'innocente pastor salvi, e suUime; O che, siccome il folgore non cade In basso pian ma sulF eccelse cime^ Cosi il furor di peregrine spade Sol de' gran re l'altere teste opprime; Né gli avidi soldati a preda alletta La nostra povertà vile e negletta^ X Altrui vile e negletta, a me sì carà^ Che non bramo tesor né regal verga; Né cura, o veglia ambiziosa, o avara Mai nel tranquillo diel mio petto aUberga, Spengo la sete mia nell'acqua chiara, Che non tem'io che di venen s^asperga: E questa greggia, e l' oaicel dispensa Cibi non compii alla mia parca mensa. CANTO SETTIMO io3 xt Che poco è il desiderio, e poco è il untro Ksogno, onde la yiu si conservi. Son figli miei questi dì' addito « mostro Custodi della mandra, e non ho servL Così men vivo in solitario chiostro, Saltar veggendo i capri snelh e i cervi, Ed i pesci guizzar di questo fiume, E spigar gti aiigdletti al ciel le piume. tit Tempo ^à (u , quando più Fuom vaneggia Neir età prima, ch'ebbi dtro desio, E disdegnai di pa^urar la greggia, E fii^i dal pae« a me natio; E vissi in Menfi un tempo, e nella re^ia Fra i ministri del re fui posto anch'io: E benché fossi guardìan degli orti, Vidi e conobbi pur l'inique corti^ Xtll £ lusingato da speranza ardita Sofirii lunga ttagion ciò che più spiace; Ma poi dì' insieme oon l'età fiorita Mancò la speme, e la baldanza audace, Piansi i riposi di <]^èst'umil vita, £ sospirai la mia perduu pace; E dissi: o coite, addUo. Così agli annui JBoschi tornando ho «ratto ^dl feiicL ao4 LA GERUSALEMME XIV Mentre ei così ragiona ^ Erminia pende Dalla soave bocca intenu e cheta; E quel saggio parlar, che al cor le scende. De' sensi in parte le procelle acqueta^ Dopo molto pensar consiglio prende In quella solitudine secreta Insino a tanto almen farne soggiorno , Ch'agevdi fortuna il suo ritorno. XV Onde al buon vecchio dice : o fortunato^ Che un ten>po conoscesti il male a prova. Se non t'invidii il ciel si dolce stato, Delle miserie mie pietà ti muova j £ me teco raccogli in questo grato Albergo^ ch'abitar teco mi giova. Forse fia che'l mio core, infra quest'ombre^ Del suo peso mortai prie di^ombre» XVI Che se di gemme e d'or, che'l vulgo adora Si come idoli suoi, tu fossi vaga; Potresti ben, tante n'ho meco anra. Renderne il tuo desio contato e pago. Quinci, versando da' begli occhi fiiotvi Umor di doglia cristallino e vago. Parte narrò di sue fortune; e intanto n pietoso pastor pianse al suo .pianto» CANTO SETTIMO adS XVII Poi dolce la consola, e sì raccoglie Come lutto arda di paterno zelo; £ la conduce ov' è T antica mo^'e, Che di conforme cor gli ha data il cielo. La fanciuUa negai di rozze spoglie S'ammanta, e cinge al crin ruvido velo; Ma nel moto degli occhi e delle memlira iNon già di boschi abitatrice sembra. XVIII Non copre abito vii la nobii luce, £ quanto è in lei d'altero e di gentile; £ fuor la maestà regia traluce Per gli atti ancor dell'esercizio umile. Guida la greggia a i })aschi, e la riduce Con la povera verga al chiuso ovile; £ dall'irsute mamme il latte preme, £ 'n giro accolto poi lo stringe insieme. ' XIX Sovente, allor che su gli estivi ardori Giacean le pecorelle all'ombra assise, NeUa scorza de' faggi e degU allori Segnò l'amato nome in miUe guise: £ de' suoi strani ed infelici amori Gli aspri successi in mille piante incise; £ in rile^endo poi le proprie note Rigò di belle lagrime le gote. ao6 LA GERUSALEMME XX Poscia dicea piangendo: in y strepitoso juè tra verdi spande. Quivi egU ferma addolorato fl passo, E chiama, e «oJo.ai gridi eco risponde: E vede intanto con serene cigjiia Sorger l'aurea candida e vermiglia. -ìo8 LA GERUSALEMME ' XXVI Geme'^eraecioso, e 'n contra il ciel si sdbgaa^ Che sperata gli neghi alta ventura : Ma della donna sua, quand'ella vegna Offesa pur, far la vendetta giura. Di rivolgersi al campo alfin disegna,. Benché la via trovar non s* assicura; Che gK sovvien che presso è il di prescrìtte Che pugnar dee col cavalier d*£grtta XXVII Partesi, e rbentre va per dubbio calila. Ode un corso appressar ch'c^or s'avanzar Ed alfine spuntar d'angusta valle Vede uom che di cwriero avea sembianza. Scuotea mobile sferza , e dalle spalle Pendea il corno sul fianco a nostra usanzx Chiede Tancredi a lui per quale strada Al campo de'Crìsitiani indi si vada. XXVIII Quegli Italico pana: orla m'invio Dove m'ha Boemondo in fretta spiAto. Segue Tancredi lui, che del gran 210 Messaggio stima, e créde al parlar fìnto. ' Giungono alfìn là dove un sozzo e rio Lago impaluda, ed un Castel n'è cinto. Nella stagion chel sol par che s'immèrga Nell'ampio nido ove la notte alberga^ CANTO SETTIMO 209 XXIX Suona il cornerò in arrivando il corno, È tosto giù calar si vede un ponte: Quando Latin sia tu, qui far soggiorno Potrai, gli dice, infin che 1 sol rimonte; Che questo loco, e non è il terzo giorno. Tolse a i Pagani dì Cosenza il conte. Mira il loco U guerrier, che d'ogni parte Inespugnabil fanno il sito e Farte. XXX Dubita alquanto poi, ch'entro si forte Magione alcuno inganno occulto giaccia; Ma come avvezzo a i rìschi della morte. Motto non fanne, e noi dimostra in faccia; Ch' ovunque il guidi elezìene o sorte. Vuol che secaro la sua destra il faccia. Pur TobbUgo ch'egli ha d'altra battaglia Fa che di nuova impresa or non gli caglia. XXXI Si ch* incontra al castello, ove fa un prato H curvo ponte si distende e posa. Ritiene alquanto il passo, ed invitato Non segue la sua scorra insidiosa: Sul ponte intanto un cavaliero armato Con semlxanza apparia fera e sdegnosa; Ch'avendo nella destra il ferro ignudo^ In suon parlava minaccioso e crudo: i4 ^i(f^ LA GERUSALEMME O tu , che ( stasi ^ul forti^ma', o voglia ) Al paese fatai d' Aripdai a^rìve , Pensi in^^p a)l fuggire: or l'arme spoglia^ E porgi a i Ucci suqx le man cattive. Entra pur deQjl;ro alla, guardata s<^Ua , Con queste Uggì qH'elU altrui pijescrivei Né più sperar di riv^diere il, cielo per volger d'anni, o.per cangia^; di p^. XXXIII Se npn gpqri d' andar oc^ gUi alul sui Contra cia^i^ ohp da. Gesfi. i^'app^ll^ S*ajQisa a q^^l parlar Tancrc^ in Uii., £ riconosce l'apne, e la fiivella» Kambaldo di (]rU9sv?pgna era Costui^ Che partì con. AiTuida, e, sol per ella. Pagau si fece, e difensor divenne Di cjupU'usafl^ Tfin eh' ivi ai t&mfu XX XIV ]^ santp, sdegno. iU pio guer,rier.siuins0 ' Nel volto, e glj ris]K>se; empio; fellone, Quel Tancrj^, spp ip che 1 fei^ ci^se Per Cristo sempt)^, e. fu di lui campfionQ) E in sua virtntfi i si^oi rubelli vinsQ,* ' Cpuie vuò che tu veggia aVparago^} Che dall' ira, del QÌQ|l,<^mi^i$trA eljettii , ' É) (juwtfl destra.^ fai^in te vqud^til. CATETO SETTIMO aii 1 XXXV Turbossiy udendo il g^rioso nome, L' empio giierrìero, e colorissi in viso; Ppr. celando il timor gli dis$e: or eome . Misero vieni ove rimanga nociso? Qui saran le tue forze opprasse e^ danne ^^ £ questo altero tuo capo reciso^ E manderoUo a i duci Franchi in dono^ S'altro da quel che so^o o^ non sono. xxxvr Cosi dice il pagano, e perchè il gicumO' Spento era ornai ^ si che vedeasi appena;! Apparir tante lampade d' intorno^ Che ne fu Tana lucida e serena; Splende il Castel come in teatro adorao Suol fra notturne pompe ditera scena; Ed in eccelsa parte Annida siede ^ Onde, senz'esser vista, ed ode e vede; xxxvii n magnanimo eroe frattanto appresta AUa fera tenzon Tarme e F ardire; Né sul delnl cavallo shssìso resta, Già.veggendo il nemico a pie venire: Vien chiuso nello scudo, e Telmo^ha in teka^ La spada nuda-, e in atto è di ferire; Gli muove incontra il prindperferooe' G>n occhi torvi e ccm ternfail wMe; dii2 LA GERUSALEMME XXZVIII Quegli con larghe rote aggira i passi Stretto nell'armi, e colpi accenna e finge: Questi 9 sehben ha i membri infermi e lassi, Ya risoluto, e gli s'appressa, e stringe; £ là d'onde Rambaldo addietro &ssi, Velocissimamente e^ si spinge! £ s'avanza, e l'incalza, e fiilminando Spesso aUa vista gli dirizza il brando. XXXIX E pili ch'attrove impetuoso fere Ove più di vital formò natura, Alle percosse le minacce altere Accompagnando, e '1 danno alla paura. Di qua, di là si volge, e sue leggiere - Membra il presto Guascone a i colpi &ra; £ cerca or con lo scudo, or con la spada, Che '1 nemico fiirore indarno^ cada, XL Ma veloce allo schermo ei non e tanto. Che più l'altro non sia pronto all'offese. Già spezzato lo scudo, e Telmo infranto, E forato e sanguigno avea l'arnese; E colpo alcun de' suoi, che tanto o quanto Impiagasse il nraoico , anco non scese : £ teme, e ^ rimonde insieme il core Sdegno, vergogna, cònsdenza, atnore/ CANTO SETTIMO 2i3 Disponsi alfin eoa disperata guerra Far prova ornai deil^nltima fortuna. Gitta lo scudo, ed a due mani afferra La spada, che è di sangue ancor digiuna: E col nemico suo si stringe, e serra, E cala un colpo, e non v'è piastra alcuna Che gli resista si, che grave angoscia Hoa dia piagando alla sinistra coscia. . XLII E poi sull'ampia fronte il ripercuote, Sì che 1 picdìio rimbomba in suon di squilla: L'elmo non fende già, ma lui ben scuote, Tal ch'egli si rannicchia, e ne vacilla. Infiamma d' ira il principe le gote, E negli occhi di fuoco arde e s&villa; E fuor della visiera escono ardenti Gli sguardi, e insieme lo strider de' denti. XLIII n perfido pagan già non sostiene La vista pur di si feroce aspetto. Sente fisdiiare il ferro, e tra le Vene Già gli sembra d'averlo e in mezzo al petto. Fugge dal cólpo, e 1 colpo a cader viene Dove un pilastro è contra il ponte eretto: Ne van le schegge è le scintille al cielo^ E passa ài cor del traditore un geloj ai4 LA GERUSALEMME XLIV Onde ai ponte rijoggé, e sol nel oorao Della salute sua pone ogni speine: Ma 1 seguita Tancredi, e già sul dorso La man gli stende, e il pie col pie ^U prame^ Quando ecco (al fuggitivo alto soccorso) Sparir le faci , ed ogni stella insieme : Né rimaner all'orba notte alcuua Sotto poyero del luce di luna. XLV Fra Tombre della notte e degl' incanti n vincitor nd segue più, uè 1 Tede;. Né può cosa vedersi aliato, o innanti, E muove dubbio e nìal securo il piede. Su 1 limitar d' un uscio i passi erranti A caso mette, né d'entrar s'avvede; Ma sente poi che suona a lui diretro La porta, e 'n loco il serra oscuro, e tetro. XLVI Come il pesce colà dovè impaluda Ne' seni di Gomacchio il nostro mare , Fugge dall' onda impetuosa e cruda. Cercando in placide acque ove ripàre, E vien che da se stesso ei si rinchiuda - In palustre prigion , né può tornare ; Che quel. serraglio è con mirabil uso Sempre all' ^trar aperto, all' uscir chiuso; CANTO SETTIMO iiS ^ XLVII Cosi Tancredi allor, qual che isi hsse Dell'estrania prìgion Tordigito e Tane, Entrò per se medesmo, e rìtrovosse Poi là rinchiuso, ond'uom pter se non [laite. Ben con robusta man k pòrta scòsse, Ma fur le sue fatiche indamo sparte; E voce intanto udì, clie^ indarìào, grida, Uscir procuri, o prigionier d'Armida. XLVIII Qui menerai ( non temer già di mone ) Nel sepolcro de' vivi i giorni, e gli anni. Non risponde, ma pr<»ne il guterrièr forte NA cor profondo i gemiti e gli affanni; E fra se stesso accusa Amor, la sortie. La sua sciocchezza, e gli altrui feti inganni) £ talor dice, in tacite parole, Lieve perdita fia peideriè il sdc: xLik Ma di piti vago sol più dolere vistft Misero i' perdo, e non so già .Ve telai Id loco tornerò che l'alma tri^a Si rassereni agli amorosi rai. Poi gli sovvien d'Argatìte, è pifl s'attrista, E troppo, dice, al mio dover mantiai; Ed è ragion ch'ei mi disprezzi e ^éftia. Oh mia gran colpa, oh mtia vergogna eternai ai6 LA GERUSALEMME Cosi d'amor^ d'onor curai mordace Quinci e quindi al guerrier V animo rode. Or mentre egli s'affli^ , Argante audace Le molli piume di calcar non gode. Tanto è nel crudo petto odio di pace^ Cupidigia di sangue, amor di lode^ Che delle piaghe sue non sano ancora Brama che 1 sesto di porti F aurora. LI La notte che precede , il pagan fero Appena inchina per dormir la fronte: E sorge poi che 1 cielo anco è sì nero, Che non dà luce in sulla cima al monte: Recami Tarme, grida al suo scudiero, E quegli aveale apparecchiate e pronte : Non le solite sue, ma dal re sono Dategli queste , è prezioso è il àoao. LII Senza molto mirarle egli le prende, Né dal gran peso è la persona onusu; E la solita spada al fianco a]>pende, Ch'è di tempra finissima e vetusta. Qnal con le chiome sanguinose orrende Splender cometa suol per Farla adusta. Che i regni muta, e i feri morbi adduce, Ai purpurei tiranni infaust4 luce, CANTO SÈTTIMO ^17 LUI Tal nell'anne ei fiammeggia , e Inedie e torte Volge le luci ebre di sangue e d'ira. Spirano gli atti ferì orror di morte ^ £ minacce di morte il volto spira. Alnu non è così secura e forte Che non paventi, ove nn sol guardo gira. Nuda ha la spada, e la solleva, e scuote Gridando^ e l'aria, e l'ombre invan percuote. LIV Ben tosto, dice, il predator cristiano. Che audace è si eh' a me vuole agguagliarsi ,1 Caderà vinto e sanguinoso al piano, Bruttando nella polve i crini sparsi; E vedrà, vivo ancor, da questa mano, Ad onta del suo Dio , l'arme spogliarsi; Né, morendo, impetrar potrà co* pregili Ch' in pasto a' cani le sue membra i' neglù; IV Non altramente fl tauro, ove Fiiritl Geloso amor con stimoli pungenti, Orrìbilmente mugge, e co' muggiti Gli spirti in se risve^ia e l'ire ardenti, E 1 c^mo aguzza ai tronchi, e par ch'inviti Con vani colpi alla battaglia i venti : Sparge tol pie F arena, e '1 suo rivale * Da lunge sfida a guerra aspra e mortale. 3i8 LA GERUSALEMME Da si fatto furor commossK), appetta L'araldo, e con parlar tronco gU impone: Vattene al campo , e la battaglia fella Nunzia a colui ch'è di Gesù campione. Quinci alcun non aspetta , e monta in sella, £ fa condursi innanzi il suo prigione : Esce fuor della terra, e per lo colle In corso vien precipitoso e folk. LVII Dà fiato intanto al corno, e n'esce il suono Che d'c^^ intomo orribile s'intende, £ in guisa pur di strepitoso tuono olì orecchi e 1 cor degli ascoltanti offende. Già i principi cristiani accolti sono NeUa tenda maggior dell' altfe tende. Qui fe' l'araldo sue disfide, e incluse Tancredi pria, né però gli altri escluse. LVIII Goffredo intomo gli occhi gravi e fardi Volge con mente allor dubUd ts sospesa: Né perchè moho pensi è molto gilardì, Atto g]U s'offre alcuno a tanta iiilpresa. Vi manca il fior de* suoi guerrief gagliardi: Di Tancredi non s'è novella intesa; E lunge è Boemondo, ed ito è in b^ndo L'invitto eroe di' uccise il fier Gernaado: CANTO SÈTTIMO «19 LIX Ed oltre i diece che fìir tratti a aòrte. Il migliori del campo e i più famosi Seguir d'Armida le fallaci scorte, Sotto il ^enzio della notte ascosi. Gli altri, di mano e d'animo men force ^ Taciti se rie stanno e vergognosi : Jfè v' è chi cerchi in sì gran rischio onore, Che vinta la vergogna è dal timore* LX Al silenzio, all'aspetto, ad ogni segno ^ Di lór temenza il capitan s'accórse; E tutto pien di generoso sdegno. Dal loco over sedea repente soi*se; E disse: ah ben sarei di vita indegno, Se la vita negassi or porre in forse, Lasciando eh' un pagan cosi vilmente Calpestasse Tonor di nostra gente. Sieda in pace il mio campo, e da secura Parte miri ozioso il mio periglio : Su su datemi l'arme: e l'ai^natura Gli iu recata in un girar di ciglio. Ma il buon Raimondo, che in età matura Parimente maturo avea il consiglio, £ verdi ancor le forze a par di quanti Erano quivi, allor si trasse avanti; aio LA GERUSALEMM;E LXII £ disse a lui rìfolto : ah non sia \epo Ch'in im capo s'arrischi il campo tutta Duce sei tu, noa semplice guerriero^ , PubUico fora, e non privato il lutto. * In te I4 fè s'appoggia, e 1 santo impera: Per te fia il regno di Babel distrutto: Tu il senno sol, lo scettro solo adopra^ Altri ponga l'ardire e 1 &rro in opra. LXIII Ed io, bench'a gir curvo mi condanni La grave età, non fia che ciò ricusi. Schivino gli altri i marziali affanni : Me non vuò già, che la veechiezaa scusi. Oh foss'io pur sul mio vigDr degli anni Qual sete or voi, che qui temendo chiusi Vi state, e non vi move ira, o vergogna Gontra lui che vi sgrida , e vi rampogna! LXIV £ quale allora fui, quando al cospetto Di tutta la Germania , alla gran corte Del secondo Gorrado, apersi il petto Al feroce I/eopoldo, e 1 posi a morte! E fu d'alto valor più chiaro effetto Le spoglie riportar d'uom cosi forte ^ Ghe s' alcun or fugasse, inerme e solo, Di questa ignobil turba un grande stuolo. CANTO SETTIMO ait LXY Se fosse in me quella virtù, quel sangue , Di questo altier l'orgoglio avrei già spento: Ma qualunque io mi sia, non però langue Il cor in me, né vecchio anco pavento; £ s' io pur rimarrò nel campo esangue^ Né il pagan di vittoria andrà contento: Armarmi T vuò; sia questo il dì ch'illustri Con nuovo onar tutti i miei scorsi lustri. LXVI Così parla al grem veechio; e spram aeuti Son le parole onde virtù si desta. Quei che fur prÌQ)a timorosi e muti, Hanno la lingua or baldanzosa e presur Né sol non v'è du la lenzcfa rifiuti. Ma ella ornai da molti a gara è chiesta. Baldovin la doinuida, é cdn Ruggiero Guelfo, i due'($uidi^ e Stefano, e Gèrniero. LXVII £ Pirro, é[uel che fé' il lodato inganno. Dando Antiochia presa a Boemondo ; Ed a prova' richiesta imco ne fanno Eberardo , Ridolfo, e 1 pro' Rosmondo; Un di Sebzia, un d'Irlanda^ ed un Britanno, Terre, che porte il mar dal nostro mondo : E ne son parimente anco bramosi Gildippe ed Odoardo, amanti e sposi. %%i LA GERUSALEMME LXVIII ÌHetwm tutti gU altri il fero vecchiat Se ne dimostra cupido, ed ardente; Annato^è^à: sol maoc» afl'a]^«*eccbio Degli akd' arnesi il^ fino eim<» lacerne A cui dice Gofl^redo: o viyo^ specchio Bel valor {hjsco,. ini te la nosttv gente Miri, e wrtà n'appread»: ia te d^ Marte Spleude l'onór , la d^plioa^. <^lte a lui soqcoise? 2^4 LA GERUSALEMME LXXÌV V^gsi altri, se egli teme: a stuolo a stuolo Venite insieme, o cavalieri, o fanti; Poiché dì pugnar meco a solo a solo Non v'è tra mille schiere uom che si vanti. Vedete là il sepolcro, ove il Figliuolo IK Maria giacque: or che non gite avanti? Che non sciogliete i voti ? Ecco la strada. A qual serbate uopo mag^br la spada? LXXV Con tali schemi il Saracino atroce ^ Quad con dura sferza, altrui percuote; Ma più ch'altri Raimondo a quella voce S^ accende, e Fonte sofferir non puote. La virtù stimolata è più feroce, £ s'aguzza dell'ira all'aspra cote; Si die tronca gl'indugi, e preme il dorso DA suo Aquilino, a cui die 1 nome il corso. EXXVI Sul Tago il deslrier nacque, ove talora L'avida madre del guerriero arménto, Quando l'alrna stagion che n'innamora, Nel cor le instiga il naturai talento Volta l'aperta bocca incontra Torà, Raccoglie i semi del fecondo vento, E da' tepidi fiati ( oh meraviglia ! ) Cnjudamente ella concepe, e figUa» CANTO SETTIMO 225 LXXVII E ben questo Aquilin nato diresti Di quale aura del ciel più lieve spiri ; O se veloce sì ch'orma non resti Stendere il corso per l'arena il min; O se '1 vedi addoppiar leggieri e presti A destra ed a sinistra angusti giri. Sovra tal corridore il conte assiso Muove all' assalto, e volge al cielo il viso: LXXVIII Signor, tu che drizzasti incontra l'empio Golia Tarmi inesperte in Terebinto: Sì ch*ei ne fu, che d'Isdrael féa scempio, Al primo sasso d'un garzone estinto; Tu £1' ch'or giaccia ( e fia pari l'esempio) Questo fellon da me percosso e vinto: £ debil vecchio or la superbia opprima, Come debil £mciul l'oppresse in prima. l-xxix Così pregava il conte: e le pregluere. Mosse dalla speranza in Dio secura. S'alzar volando alle celesti spere, Gcmie va foco al del per sua natura. Le accolse il Padre etemo, e fra le schiere Bell'esercito suo tolse alla cura Un che '1 difenda; e sano , e vincitore Dalle man di qudl' empio il tragga fuore. i5 226 LA GERUSALEMME .LXXX L'Angelo, che fii già custode eletto Dall'alta provvidenza al buon Raimondo^ Insin dal primo dì che pargoleuo Sen venne a farsi peregrin del mondo, Or che di nuovo il Re del del gli ha detto^ Che prenda in se della difesa il pondo^ Nell'alta rocca ascende, ove dell'oste Divina tutte son l'anni riposte. LXXXI Qui l'asta si conserva, ónde 3 serpente Percosso giacque , e i gran fulminei strali', E quegli ch'invisibili alla gente Portan l'orride pesti, e* gli altri mali: E qui sospeso è in alto il gran tridente, Primo terror de' miseri mortali, Quando egli awien che i fondanénti scuota Dell'ampia terra, e le città percuota* "^ LXXXII Si vedea fiammeggiar fra gli altri arofsi Scudo di lucidìssinK) diamante, Grande che può coprir genti e paesi, Quanti ve n'ha fra '1 Caucaso, e T Atlante: E sogliono da questo esser difesi Prìncipi giusti , e città caste e sante. Questo l'Angelo prende, ne vien con esso Occultamente al suo Raimondo appresso^ CANTO SETTIMO \%i LXXXIII Piene intanto le mora eran già tutte Di varia turba , e 1 barbaro tiranno Manda Clorinda , e molte genti instrutte, Che ferme a mezzo il colle oltre non vanno. Dall' altro lato in ordine ridutte Alcune schiere de' Cristiani stanno: £ largamente a' duo caiiipiòni il campo Voto riman fra l'uno e l'altro campo* LXXXIV -- Mirava Argante, è non vedea Tancredi, Ma d'ignoto campon sembiante nuove. Fecesi il conte innanzi^ e, quel che chiedi, È, disse a lui, per tua ventura altrove. Non superbir però che me qui vedi Apparecchiato a riprovar tue prove; Ch'io di lui posso sostener la vice, O venir come terzo a me qui lice. LXXXV Ne sorride il superbo, e gli risponde: Che £i dunque Tancredi, e dove stassi? Minaccia il del con l'arme, e poi s'asconde. Fidando sol ne' suoi fugaci passi r Ma fugga pur nel centro, o 'n mezzo l'onde, Che non fia loco ove securo il lassi : Memi, replica l'altro, a dir di'nom tale Fu^a da te, ch'assai di te più vale. m8 la GERUSALEMME LXXXVI Freme il Circasso irato, e dice: or prendi Del campo tu, ch'invece sua t' accetto; E tosto e' si parrà come difendi L'alta follia del temerario detto. Cosi mossero in giostra, e i colpi orrendi . Parimente drìzzaro ambi all'emetto: E'I buon Raimondo, ove mirò, soontrollo^ Né dar gli fece nell'arcion pur axdlo. ixxxvn Dall'altra parte il fero Argante corse ( Fallo insolito .a lui ) l'arringo invano: Che '1 difensor celeste il colpo torse Dal custodito cavalier cristiano. Le labbra il crudo per fiiror si morse, E ruppe l'asu bestemmiando al piano: Poi tragge il ferro, e va contra Raimondo Impetuoso al paragon secondo; LXXXVIIl E 1 possente corsiero urta per dritto , Quasi monton ch'ai cozzo il capo abbassa. Schiva Raimondo l'urto, al lato dritto Piegando il corso, e'I fere in fronte, e passa* Toma di nuovo il cavalier d' Egitto; Ma quegli pur di nuovo a destra il lassa, E pur sull' elmo il coglie ^ e'ndamo sempre, Che r elmo adamantine avea le tempre. CANTO SETTIMO 229 LXXXIX Ma il feroce pagan, che seco vuole Più stretta zuffa, a lui s'avventa e serpa. L'altro,. eh' al peso di sì vasta mole Teme di andar col suo destriero a tetra, Qui cede, ed indi assale, e par che vok^ Intorniando con gicevol guerra; £ i lievi imperj il rapido cavallo Segue del freno, e non pone orma in fallo. xc Qual capitan- ch'oppugni eccelsa torre Infra paludi posta o in allo monte, Mille aditi ritenta, e tutte scorre 1/ arti e le vie ^ cotal s' aggira il conte : E poidìè noif può scaglia all' arme torre Gh' armano il petto e la superba fronte, Fere i men forti arnesi, ed alla spada Cerca tra ferro e ferro aprir la stradi^ j xci Ed in due parti o in tre forate, e fatte li' arme nemiche ha già tepide e rosse; Ed egli ancor le sue conserva intatte , Ne di cimier, né d'un sol fregio scosse. Argante indamo arrabbia, a voto batte, E spande senza prò l'ire e le posse: Non si stanca però; ma raddoppiando Va tagli e punte, e si rinforza errando; a3o LA GEjlUSALEMME XCII Alfin tra miUe colpi il Saracino Cala un fendente, e 1 conte è cosi pressa, Che forse il velocissimo Aquilino Non sottraggea6Ì, e rimaneane oppresso: Ma l'aiuto invisibile vicino Non mancò lui di quel superno messo, Che stese il braccio, e tolse il ferro crudo Sovra il diamante del celeste scudo. xeni Frangesi il ferro allor ( che non resiste Di fucina mortai tempra terrena Ad armi incorruttiUli ed inmiiste D'eterno fabro ) e cade in sulF arena. Il Circasso, ch'andarne a terra ha viste Minutissime parti, il crede ap})ena. Stupisce poi, scorta la piano inerme, Ch'arme il campion nemico abbia si ferme: xciv E ben rotta la spada aver si crede Sull'altro scudo ond' è colui difeso ; E *1 buon Raimondo ha la medesma fede , Che non sa già chi sia dal ciel disceso. Ma, però ch'egli jdisarmata vede La man nemica, si riman sospeso; Che stima ignobil palma , e vili spoglie Quelle ch'altrui con tal vantag^o uom toglie. CAN^O SETTIMO a3i xcv Prendi ( volea già dirgli) un'altra spada, Quando nuovo pensier quoque nel core, Ch'aho scorno è de' suoi , dove egli cada/. Che di pubblica causa è difensore. Cosi uè indegna a lui vittoria aggrada , Né in dubbio vuol pon*e il comune onore. Mentre egli dubbio stassi , Argante lancia n pomo, e l'else alla nemica guancia: xcvi E in quel tempo medesmo il destricr punge E per venire a lotta oltra si caccia. La percossa lanciata all'elmo giunge, Si che ne pesta al Tolosan la faccia: Ma però nulla ei sbigottisce', e lunge Ratto si svia dalle robuste braccia; Ed impiaga la man, eh' a dar di piglio Venia più fera che ferino artiglio. xcvii Poscia gira da questa a quella parte, E rigirasi a questa, indi da quella; E sempre, e quando riede, e quando parte, Fere il pagan d'aspra {percossa e fella. Quanto avea di vigor, ouanto avea d'arte, Quanto può sdegno antico, ira novella, A danno del Circasso or tutto aduna, E seco il ciel .ccMìgiura, e la fortuna. a3a LA GERUSALEMME XCVIII Quei di fine arme e di se stesso armato A i gran colpi resiste , e nulla pavé ; E })ar senza governo in mar^ turbato, Rotte vele ed antenne, eccelsa nave, Che pur contesto avendo ogni suo lato Tenacemente di robusta trdve, Sdruciti i fianchi al tempestoso flutto Non mostra ancor, né si dispera in tatto, xcix Argante, il tuo periglio allor tal era, Quando aiutarti Belzebù dispose. Questi di cava nube ombra lederà (Mirabil mostro!) in forma d\iora compose, E la sembianza di Clorinda altera Gli finse, e Tarme ricche, e luminose : Diegli il parlare, e senza mente il noto Suon della voce, el portamento, e '1 moto. G n simulacro ad Gradino, esperto Sagittario lanoso, andonne e disse: O famoso Oradin, ch'a segno certo. Come a te piace, le quadrellaafiisse. Ah! gran danno sana, s'uom di tal merto, Difensor di Giudea, così morisse, E di sue spoglie il suo nemico adomo Secuix) ne facesse a' suoi ritomo. CANTO SETTIMO i33 m Qui fa' prova dell'arte^ e le saette Tingi nel sangue del ladron Francese, Ch'oltra il perpetuo onw, vuo che n' aspetto Premio al gran fatto egual dal re cortese. C!osì parlò; né quegli in dubbio stette , Tosto che 1 suon delle promesse intese : Dalla grave faretra un quadrel prende, £ sull'arco l'adatta, e l'arco tende. cu Sibila il teso nervo, e fuore spinto Vola il pennuto strai per l'aria, e stride: Ed a percuoter va dove del cinto Si cmgiuiigoQ le fibbie, e le divide; Passa l'usbergo, e in sangue appena tinto Quivi si ferma, e sol la pelle incide; Che '1 celeste guerrier soffrir non volse. Ch'olirà passasse, e forza al colpo tolse. CHI DalTusbergo lo strai si tra^e il conte, Ed ispicciame fuori il Sangue vede; E con parlar pien di minacce e d'onte Rimprovera al pagan la rotta fede* H capitan, che non tòrcea la fronte DaU'^amato Raimondo, allor s'avvede. Che violato è il patto; e perchè grave Stima la piaga, ne sospira, e pavé. 2H LA GERUSALEMME e IV E con la fixinte le sae genti altere, E con la lingua a vendicarlo desta : Vedi tosto inchinar già le visiere, Lentare i freni, e por le lance in resta, E quasi in un sol pùnto alcune schiere Ba quella parte muoversi, e da questa. Sparisce il campo, e la minuta polve Con densi globi al del s'innalza e volve. cv D' elmi e scudi percossi, e d' aste infrante Ne' primi scontri un gran romor s'aggira. lÀ giacere un cavallo, e girne errante Un altro là senza réttor si mira: Qui giace un guerrier morto, e qui spirante Altri singhiozza e geme^ altri sospra. Fera è la pugna, e quanto più si mesce E stringe insieme, più s^ inaspra e cresce. evi Salta Argante nel mezzo agile e ^ciotto, E toglie ad un guerrier ferrata mazza, E rompendo lo smol calcato e folto. La ruota intomo, e si fa larga piazza; E sol cerca Raimondo, e in lui sol volto Ha il ferro, e l'ira impetuosa e pazza: E, quasi avido lupo, ei par che brame Nelle viscere sue pascer la fame. CANTO SETTIMO i35 CVII Ma duro ad impedir viengli il sentiero £ fero intoppo, acciocché il corso ei tardi: Si trova incontra Ormanno, e con Ruggiero Di Balnavilla, un Guido, e duo Ghéirardi. Non cessa, non s'allenta; anzi è più fero, Quanto ristretto è più da que' gagliardi j Sì come a forza da rinchiuso loco Se n'esce e muove alte mine il foco. cvin Uccide Ormanuo, piaga Guido, atteiTa Ruggiero infra gli estinti egro e languente; Ma contra lui crescon le tuj'be, e '1 serra D'uomini e d'arme cerchio aspro e pungente. Mentre, in virtù di lui, pari la guerra Si mantenea fra l'una e Y altra gente; n buon duèe Buglion chiama il fratello , Ed a lui dice: or muovi il tuo drappello; cix E là dove battaglia è più mortale, Vattene ad investir nel lato manco. Quegli sì mosse, e fu lo scontro tale Ond'cgli urtò degli avversar) il fianco, Che parve il popol d'Asia imbelle e frale, Né potè sostener l' impeto Franco Che gli ordini disperde, e 'Co' destrieri 1/ insegne abbatte, e insieme i cavalieri. a36 LA GERUSALEMME ex Dall'impeto medesmo in fìiga è volto n destro corno, e non v'è alcun che faccia, Fuor ch'Argante, difesa; a freno scicdto Cosi il timor precìpiti gli caccia. Egli sol fei-ma il passo e mostra il volto : Né chi con mani cento e cento braccia Cinquanta scudi insieme, ed altrettante Spade movesse, or più £uia d' Aitante, CXI £i gli stocchi e le mazze, egli dell'aste E de' corrieri l'impeto sostenu; E solo par che 'ncontra tutti baste. Ed ora a questo, ed ora a quel s'avventa. Peste ha le. membra, e rotte l'arme e guaste, £ sudor versa e sangue , e par noi senu^ Ma così r urta il popol denso e 1 preme, Ch' alfin lo svolge, e seco il porta insieme^ CXII Volge il tergo alla forza ed al furore Di quel diluvio che il rapisce e '1 tira; Ma non già d'uom che fugga ha i passi e'icore^ S'ali' opre della mano il cor si mira: Serbano ancora gli occhi il lor terrore^ E le minacce deUa solita ira; E cerca ritener con c^ni prova La fuggitiva turba, e nulla giova. CANTO SETTIMO 2137 CXIII Non può far quel magnanimo eh' almeno Sia lor fiiga più tarda, o più raccolta; Che non ha la paura arte, né freno, Né pregar qui , né comandar s' ascolta. Il pio Buglion, ch'i suoi pensieri appieno Vede fortuna a favorir rivolta, Segue della vittoria il lieto corso, E invia novello ai vincitor soccorsa uato dik^usftq e^mioMro. ;i56 LA GERUSALEMME XLIV Ma che ? felice è cotal morte e scempio. Via più ch'acquisto di proviiicie e d' oroj ]Nè dar Y antico Campidoglio esempio ly alcun può mai sì glorioso alloro. Essi del ciel nel luminoso tempio Han corona immortai del vincer loro : Ivi^ cred^io^'che le sue belle piaghe Ciascun lieto dimostri , e se u* appaghe. XLV Ma tu, che alle fatiche ed al periglio Nella milizia ancor resti del 'mondo , Devi gioir de* loi* trìcHifi e 1 ciglio Render, qiianto conviene, ornai giocondo: E perchè chiedi di Bertoldo il figlio, Sappi eh' èi fuor delT oste è vagabondo; Né lodo io già che dubbia via tu prenda, Pxia che di lui certa novella intenda. XLVI Questo lor ragionar nelF altrui mente Di Rinaldo V amor desta e rinnova; E v' è chi dice : ahi fra pagana gente il giovinetto errante or si ritrova: E non vi è quasi alcun che noA rainmente , Narrando al' Dano, i suoi gran flitti a prova; E deir opere sue la lunga t^ ' ' Con istùpot gli si dispiega e sV€^ « CANTO OTTAVO 2^^ XLVII Oi* quando del garzon la nmém]:»*aDza Avea gli animi tutti' inteneriti, Ecco molti tordar che per usanza Eran d'intorno a depredare usciti. Conducean qiiesti seco in abbondanza* E mandre di lanuti , e buoi rapiti, E biade ancor, benché non molte, e strame Che pasca de' corner Y avida fame, XLVIII E questi di sciagura aspra e ndosa S^^o portar, che in apparenza è^ certo, Rotta del buon Rinaldo e sanguinosa La soprav vesta, ed ogni arnese aperto. Tosto si sparse ( e chi potrìà tal còsa Tener celata?) un romor vario e incerto. Gorre il vdlgo dolente alle novelle Bel guerriero e dell'arme, e vuol yedelle. XLIX. Vede, e conosce ben Tinunensa mole Del grande usbergo, e '1 folgorar dèi lume, E l'armi tutt^, ove è l'augel ch'ai sole Prova i suoi figli e mal crede sdle4)iunie^ Che di vederle già primiere o sóle . Nell'imprese più grandi ebbe in costume; * Ed or, non senza alta pielate ed ira. Rotte e sanguigne ivi giacer le mira. >7 !i58 LA GERUSALEMME L Mentre bisbiglia il campo, e la cagioBe Della morte di lui varia ai crede, A se chiama Aliprando il pio Buglliocie^ Duce di quei che ne portar le ]x«de, Uom di libera mente, e di swmone Veracissimo e schietto, ed a lui chiede: Di'. come, e donde tu rechi quest'arme, £ di buono o di reo nulla celarme. LI Gli rispose colui: di qui lontano, Quanto in due giorni un messaggiero andria^ Verso il confin di Gaza un picciol piano Chiuso tra coUi alquanto è fuor di via: Euin lui d' alto deriva, e laito e piano Tra pianta e pianta un fiuimcel s'invia; E d'alberi e di macchie ombroso e folto. Opportuno all'insidie, il loco è mobo. LII Qui greggia alcuna cerca vara, che fosse Venuta a' paschi dell'erbose sponde, £ in sull' erbe miriam, di sangyie rosse, Giacerne un guerrìer morto in riva all'onde : All' arme ed afl'inegne ogn'uom si mosse. Che furon conosétme, ancor che immonde. Io m'appressati fMir idiseoprìrgli il vko , Ma trqvai eh' ^^ «capo ìndi xàao^ CANTO OTTAVO aSg LUI Mancava ancor la destra , (9 1 bu^o graiide Molte ferite avea dal ter^ al pettQ: E non lontan con l'aquila, che spande Le candide ali, giacea il voto elmetto. Mentre cerco d'alcuno a cui dimande, Un villanel sopra^ungea soletto, Che indietro il pasw per iuggirae torse Subitamente die di noi s'accorse. LIV Ma seguitato e preso, alla ric^faiesta Che noi gli facevamo, alfin rispose, Che 1 giorno innanzi uscir della foresta Scorse molti guerrieri , ond' ei s'ascose : £ eh' un d'essi tenea recisa testa Per le sue chiome biviuetto, # senza peli ^ meutof LV: E che 1 medesmo poco poi l'avvolse In un zendado dall' arcioa pendente: Soggiunse ancw, eh' all'abito r^QcoUe Ch'erano i cavalier di uostra gieate. Io spogliar feci il corpQ, e $ì meo dolse^ Che piansi nel sospetto amaraipnepte: E portai meco l'anue,* lasciai cura . Ch'avesse degioo ODor di sepoltura. i6ó LA GERUSALEMME LVI Ma Sé quel nobil tronco è quel ch'io credo^ Altra tomba, altra pómpa egH bea mérta. Così detto, Aliprando ebbe congedo, n Però che cosa non avea più certa. Rimase grave , e sospirò Goffredo : Pur nel tristo pensier non si raccerta: E con più chiari segni il monco busto Conoscer vuole, e rònàicida» ingiusto. - LVII Sorgea la notte intanto, e sotto tali Ricopriva del cielo i campi immensi; E 1 sonno , òzio dell'alme , obliò de' niali ; Lusingando sopia le cure,. e i sensi. Tu sol punto, Atgillan, d'acuti strali D'aspro dolor, volgi gran cose, e pensi; Né l'agitato sén, uè gli occhi ponnó La quiete raccorre , o '1 molle sonno. LVIII Costui pronto di man, di lingua ardito, Impetuoso, e fervido d'ingegno Nacque in riva del Tronto, e fti nutrito Nelle risse civil d'odio, e di sdegno: Poscia, in ealio spinto, i coUì èTlìtò Empiè di sangue,' è depredò qiiel regnò, Sin che nell'Asia a guerreggiar sen venne, E per fama migliòt* chiaro divenne. CANTO OTTAVO a6a LXV Taccio, ch'ove il insogno e -1 tempo chiede Pronta man, péfnsier fenno, animo audace;' Alcuno ivi di noi primo si vede Fonar ira mille morti o ferro, o face: Quando le palme poi, quando le prede Si dispensan nell' ozio e nella pace^ Nostri non sono già, ma tutti loro I trionfi-, gli onor, le terre, e l'oro. Tempo ferse già fu, che gravi e strane Ne poievan parer si &tte oflSése : Quasi lievi or le passo: orrenda, immane- Ferità leggierissime r ha rese. Hanno ucciso Rinaldo , e con l'uiAane li' alte ieggi divine han vilipese. E non fulmina il cielo ? e non V ifighìotte L» terra entro la sua perpetua notte ? LXVII Rinaldo faàn miorto, il <]aal fu spada e scudo Di nostra fede, ed ancor giace inulta? Inulto giace; e su 1 terreno ignudo Lacerato il lasciaro, ed insepulto. Ricercate saper chi fosse il crudo ? A chi puote, o compagni, esser oc<ìtdto? Deh chi non sa quanto al valor Launo Portin Goffredo invidia, é Baldovino? 264 LA GERUSALEMME LXVIII Ma che cerco argomenti ? Il cielo io giuro , n ciél che n'ode e ch'ingannar non lice Gh' allor che si rischiai^a il mondo oscuro, Spirito errante il vidi , ed infelice. * , Che spettacolo^ ohimè, crudele e duro! Quai frodi di Goffredo a noi predice! 10 '1 vidi, e non fu sogno; e, ovujaque or miri.. Par che dinanzi agli occhi miei s' aggiri» Or che feremo noi? Dee quella mano, Che di morte si ingiusta è ancora immonda, Reggerci sempre ? oppur vorrem lontano Girne da lei dove l' Eufrate inonda? Dove a popcJo imbelle in^ fertil piano Tante ville e città nutre, ^feconda; Anzi a noi pur; nostre saranno, io spero. Ne co' Franchi comune avrem Y impero. • -txx Àndianne , e restì invendicato il sangue (Se così parvi ) illustre, ed innocente. Benché s^ht virtù, che fredda langue^ Fosse ora in voi, quanto dovrebbe, ardente; Questo, che divorò pestifero angue 11 pr^o e '1 fior della latina gente , Daria con. la sua morte, e con lo scemjiio Agli altri mostri memorando esempio. CANTO OTTAVO ^65 LXXi lo^ io vorrei, se 1 vostro alto valore QuantQ ^li può taato vi^er osasse , Ch'oggi per questa man nell' empio core, Nido di tradi^on, la pena entrasse. Cosi parla agitato, e nel furore E neir ìmsjpèiD suo dascuno ei trasse. Arme, arme freme il forsennato, e insieme La gioventù supèrba arme, arme freme. Rota Aletto fra- l'or la destra «amsiata, E col fuoco il venen ne' petti me^ce: Ix> sdegno , la foUia, la scellerata Sete del sangue ognor più infhria e cresce: E serpe quella peste , e si diUta , E degli alberghi Italici fiior n' esce : E passa fra gli Elvezj , e vi s'apptende, E di là poscia anco agl'Intesi tende. I«XXIII Né sol r:esfrat}e genti avvien che muova Il duro caso, e 1 ^an pubblico danno; ^ . . Ma r antiche cagioni all' ira nu^ova Materia insieme^ e nuuimetitò danno. . Ogni sof^ sdegno or si riQnovfi: . Chiamano il popol Franca iesmpio; e tiffuiho; E in superbet^minacce esé^ diffusa L'odio,, cbeQon può staine oQiai più chiusQ« ^^ LAGERUSALEMME LXXIT Co5Ì nd caro rame umor che bolle Per troppo fuoco, entro gorgoglia e fuma. Né capendo in se stesso, aUìn s'estolle Sovra ^i orli del raso e inonda e spoma. Non bastano a Alenare il vulgo icÀìt Que' pochi a cui la mente il ^ero alUm». E Tancredi , e Gammillo eran lontani , . Guglielrao^ e gli altri in podestà soprani^ Corrano già precintosi all'armi Confusamente i popoli feroci: E già s' odon cantar bellici carmi Sediziose trombe in fere voci. Gridano intanto al pio BugHon che s'armi, Molti di qua, di là nunzj veloci; E Baldovino innanzi a tutti armato Gli s'appresenta, e gli si pone aliata iKxvr Egli eh' ode T accusa, i lumi al delo Diizza, e pur, come su vi dono. Col sangue suo lavi il còmnb' difetto - Solo Argilhn ', di t^inte colpe autore^ Che mosso a leggienssimo sospetto Sos[nnti gli altri ha nel mededboo errore. Lampi e fc^gori^ardean nel regio aspeuò. Mentre ei parlò, di *maestà:/d' onore ^ Tal ch'Afgillanò attonito eeonquaso Teme ( chi 1> crederla? )»r ira d' un visa LXXXII E 1 volgo eh' anzi irriverente., aikiacè Tutto fremer s' udia d'orgogEob d'-onte^; E eh' ebbe al ferro, all'aste, ed alla face Che 1 friror ministrò^ le ihan «si pit>nie ; N(m osa ( e i detti alteri ascolta 'é* tace ). Fra timor e vergo^oia alzar' la frónte;) .i E sostien che AtgUlano^^ancdrid» cinto DelFarme Idi^^dft da'?niim$tii ai'^'to. CANTO OTTAVO 269 LXXXIII Cosi leon eh' anzi l' orrìbil coma Con muggito scotea superbo e fero, Se poi vede il maestro, onde fìi doma Ija natia ferità del core altero, Può del giogo soSrir l'ignobil soma, E teme le minacce, e 1 duro impero: Né i gran velli, i gran denti, e l'unghie ch'hanno Tanta in se forza, insuperbire il fanno. LXXXIV È fama che fa visto, in volto crudo Ed in atto feroce e minacciante, Un alato guerrier tener lo scudo ' Della difesa al pio Buglion davante: E vibrar fulminando il ferro ignudo. Che di sangue vedeasi ancor stillante; Sangue era forse di città, e di regni Che provocar del cielo i tardi sdégni. LXXXV Cosi,' cheto il tumulto, ognun depone L' arme, e molti con Y arme il mal talento; £ ritorna Goffredo al padiglione, A varie cose, a nuove imprese intento: Ch' assalir la cittade egli dispone , Pria che '1 secondo, ol terzo dì sia spento j E rivedendo va l'incise travi. Già in macchine conteste orrende, e gravi. ~ LA GERUSALEMME LIBERATA • CANTO NONO ARGOMENTO / Tresca la Furia Solimano^ e 7 muwe A far d Franchi aspra notturna guèrra. Il giusto Dioy che t infernali prove Mira dal ciel^ manda Michele in terra. Cosij poiché il soccorso si rimoifc DelF irifemo a i pagani j e si disserra jflor danni ildrappel che segui Armida^ Fugge y e di wncer Sdiman diffida. vIjLs. il graa mostro infemal che vede queti Que' già torbidi cori, e F ire spente : E cozzar contra 1 fato, e i gran decreta Svolger non può dell' imauit^il mente; Si parte, e dove passa, i oampi li^ti Secca, e pallido il sol si fa iippeme; E d'altre furie aacora, e d'al^ «laM Ministra, a nuova ino^esa affretta ViJi. 372 LA GERUSALEMME II Ella, che dalF esercito cristiano Per industria sapea de' suoi consorti II figliuol di Bertoldo esser lontano, Tancredi e gli altri più temuti e forti,. Disse: che più s'aspetta? or Solimano Inaspettato venga, e guerra porti. Certo ( o ch'io spero ) alta vittoria avremo Di campo mal concorde, e in parte scemo* III Ciò detto, vola ove fra squadre erranti, Fattosen duce, Solimàn dimora, Quel Soliman di cui non fu, tra qtiai)iti Ha Dio rubeHi, nóm più feroce aUòra; Né, se per nuova ingiuria i^uoi giganti Rinnovasse la terra, anco vi fora. Questi fu re de' Turchi, ed in Nicea La sede dell'imperio aver solca j IV E distendeva incontra a i Greci lidi Dal Sangario al' Meandro il suo confine, Ove albergar già Misi, e Frìgi, e Lidi, E le genti di Ponto, ^e le Bitine: Ma poiché contra i Turdii, e gli altri iùfidi Passar nell'Asia Tarmi peregrine, Fur sue terre espugnate, ed ei sconfitto Ben due fiate in generai conflitto; CANTO NONO 278 T Ma ritentata avendo in van la sorte , E spinto a forza dal natio paese, Ricoverò del re d'Egitto in corte, Che mte gH fu magnanimo e cortese: Ed ebbe a grado che guerrìer si forte Gli s' oiTrìsse compagno all'alte imprese , Proposto avendo già vietar V acquisto Di Palestina a ì cavalier di Cristo^ VI Ma, prima eh' egli apertamente loro La destinata guerra annunziasse, Volle che Solimano, a cui mokò oro Die per tal uso, gli Arabi assoldasse. Or mentre ei d'Asia, e dal paese Mòro L'oste accogUea, Soliman venne e trasse Agevdmente a 6e gli Arabi avari , Ladi*oni in ogni tempo e mercenari* VII Così fatto lor duee, or d'ogn' intorno La Giudea scorre, e fa prede e rapine; Sì che '1 venire è chiuso e 1 far ritoraa Dall'esercito Fraoco alle marine : E, rimembrando ognor l'antico scorno^ E dell'imperio suo Talte mine, Cose maggiw nel petto acceso volve, Ma non bea s' assecura, o si risolve. 18 5^74 LA GERUSALEMME vili A costui Tieiie Alettoye da lei tolto È 1 sembiante d' un uòm: d' antica etade. Vota di sangue, empie di cre^ il volto , Lascia barbuto il lablxx) , e 1 mento rade : Dimostra il capo in lunghe tele avvolto, Le veste oltra il Rocchio al pie gli cade. La scimitarra al fianco, e 1 tergo carco Della faretra, t nelle mam ha IWco. Noi ( gli dice ella ) or tmcorriam' le vote Piagge , e l'arene sterili e deserte, Ove né far rapina omai si puote , Né vittoria acquistai* the loda mertè : Goffredo intanto Ipi città percuote , E già le mùvdi ha con le tolti apèrte; E già vedrem, s' ancor si tarda un pòco, Insin di qua le sue mine e 1 foco. Dunque accesi tugur j e gfeg^e e buoi Gli alti trofei di Soliman saranno ? Così racquisti il regno ? e così i tuoi Oltraggi vendicar ti credi, e ^ dbrnnó? Ardisci, ardisd : ^tAvo a l ripari sutii Di notte opprimi il barbaro tiramnò. Credi al tuo vecchio Araspe, il ieui consigliò E nel regno provMiiv^ iMll'esigli^. CANTO NONO ^^5 XI Non ci aspetta egli e non ci teme , e sprezza Gli Arabi ignudi in vero e timorósi : Né credei* mai potrà che gétite avvezza Alle prede, alle Alghe, or cotant' osi: Ma fieri gli £irà la tua fierezza Gontra un campo che giaccia inerme e posi. Così gli disse, e le sue furie ardenti Spirogh al seno e si mischiò tra' venti. • XII Grida il guerrier; levando al ciel la mano^ O tu , che ftiror tanto al cor m' irriti, Ned uom sei già, sebben sembiante umano Mostrasti; ecco io ti seguo ove m' inviti. Verrò , farò là monti ov' ora è piano , Monti d' uomini estinti e di fentf: Farò fiumi di sangue. Or tu sia meco, E reggi r arme mie per l' aer cièco: XIII Tace; e senza indugiar le turbe accoglie, E rincora parlando il vile e 1 lento, E nell' ardor delle sue slesse voglie Accende il campo a seguitarlo intento. Dà il segno Alecto delk trómba, e* sciòglie Di sua man pròpria il gran vessilto al vento. Marcia ii campo veloce, anzi si corre, * Che ddla ùma ù vdiò anco precorre. urG LA GERUSALEMME XIV Va seco Aletto, e poscia il lascia, e veste D' uom che rechi novelle abitò e viso ; E neir ora , che p^r che 'ì^ibodcìò reste Fra la notte é fra 1 di, dubbio e divise, Entra in Gerusalemme, e tra le meste Turbe passando, al re dà 1' alto avviso Del gran cmnpo che giun^, e del disegno, E del nottunio assalto è Fora e 'isegoÉO. Txr Ma già distefidoù V ombre orrido velo , Che di rós$i Vaporai spai^ e tigne. La terra, io véce del notturno gelo, Bagnan rugiade tepide e sanguigne : S'. empie di mostri «e di prodigj il cielo: S' odon freidendo errar larve maligne: Votò Pluton gli abissi , e la sua notte Tutta versò dalle tartaree grotte. XVI Per sì profondo orror verso le tende Degl' inimici il fiev Soldati cammina; Ma quando* a mezzo del sua corso ascénde La notte , onde poi rapida declina, A men d' un mi^o-, ove riposo prende n securo Franceie, ei s* avvicina. Qui fé' dbar le genti e poscia , d' ako Parlando, oonfortoUe al crudo assalto: CANTO NONO ^--j XVII Vedete là di mille furti pieno Un campo jhù famoso assai che forte : Che , quasi un mar nel suo vorace seno , Tutte dell' Asia Ila le ricchezze assorte. Questo ora a voi ( né già potria con meno Vostro periglio ) espon benigna sorte : L'arme, e i destrier d'ostro guerniti e d'oro, Preda fian vostra , e non difesa loro. XVIII Né questa è già quell'oste, onde la Persa Gente , e la gente di Nicea fu vinta; Perchè, in guerra si lunga e sì diversa , Rimasa n' é la maggior parte estinta: E s' anco integra fosse, or tutta imm'ersa In profonda quiete, e d'arme è scinta. Tosto s' opprime chi di sonno è carco; Che dal sonno alla morte è un picciol varco. XIX Su su venite: io primo aprir la strada Vuò su i corpi languenti entro a i ripari; Ferir da questa mia ciascuna spada , . E r arti usar di crudeltate, impari. Oggi fia che di Cristo il regno cada, Oggi libera V Asia, oggi voi chiari. Così gì' infiamma alle vicine prove ^ ludi tacitamente oltre lor muove. 378 LA GERUSALEMME Ecco tra via le sentinelle ei vede Per r ombra mista d' una incerta luce; Né ritrorar, come secora fede Avea, puote improvviso il saggio ducè. Volgon quelle , gridando, indietro il piede , Scorto che si grsua turba egli conduce : Si che la prima guardia è da lor desta , Che, com'può meglio, a guerreggiar s'appresta. XXI Dan fiato allora a i barbari metalli Gli Arabi, certi ornai d' esser sentiti: Van gridi orrendi al cielo, e de' cavalli Gol suon del calpestio misti i nitriti. Gli alti monti muggir, niuggir le valli, E risposer gli abissi a i lor muggiti : E la face innalzò di Flegetonte Aletto, e '1 segno diede a quei del monte. XXII Gorre innanzi il Spldano, e giunge a quell.) Confusa ancora e inordinata guarda Rapido sì, che torbida procella Da' cavernosi monti esce più tarda: Fiume eh' alberi insieme e case svella : Folgore che le torri abbatta ed arda: Terremoto che '1 mondo empia d'orrore, Son picciole sembianze al suo furore. CANTO NONO 379 XXIII JNoa cala il ferro mai cb' appien non eolga : Né coglie appien che piaga anco non faccia: Né piaga tà che l'alma altrui non tolga: £ più direi, ma il ver di falso ha faccia. E par eh' egli o sen finga, o non sen dcrfga, O non senta il ferir dell' altrui braccia; Sebben Y elmo percosso in suon di squilla Rimbomba^ e orribilmeme aitle e s&villa. x'xiY Or quando ei solo ha quasi in fuga yq lutava intanto a bada. Già tutto ^ t|rfl(iatiQ, e già raccolto un grosso Drappello ha woo, e già con lor s'è mosso. XLII E^i^^ch» dopo il grido udì il iiùnulto Che par ch^'Sconpre più terribil suoni , Avviso ben^ohe^jrepentino ihiulto Esser do^eal de^i Arabi ladroni : Che ^»)ion erg al capitano occulto Ch' essi tntoroQ scorrean le regioni; Benché non !Ì3tixiìò . che si fugaoe Vulgo mai fosse à' às3«lirlò audace; • XXXII Or mentre egli ne viene, ode repeate Arme arme replicar dall' ahro lato , Ed in un tempo il cielo orribilmente Intuonar di barbarico ululato. Questa è Clorinda , iche dèi re la gente Guida all' assalto, ed ave Argante allato* Al nobil Guelfo, die sostien sua vice, Allor si volge il càpitaDO e dice: 286 LA GERUSALEMME XLIV Odi qual nnovo strepito di Mdrte Di verso il colle e la città ne vietie? D' uopo là fia che 1 tao valore « l' arte I primi assalti de' nemici affrene. Vanne tu dunque e là provvedi , e patte Vuo' che di questi miei teco ne «iene: Con gli altri io me n' andrò daH" idtro canto A sostener l'impeto ostile intantb; XLV Cosi fra lol- concluso, anibo'gli mbc^vk^ ' Per diverso sentiero egual.'forcutia; ' Al colle Guelfo4 el capitan va'do^ . Gli Arabi ornai 4ion hàùcòntm' alcuna. Ma questi andando acquista fortft,' e'huoV'e Genti di passo in passo^ ogoor riigttnii: Talché già fatto poderdso >e grat^e, Giunge ove'il hro I^ar«o il isafigiie Bpaode. • . xtvi Così scendendo dal natio sito mome Non empie umile il Pò l'angusta; spondei; Ma sraipre più, i:j[uantò é pm lunge tal fonte. Di nuove forze inM^pérfaito abbonda : Sovra ì rotti confili» alza la frante Di tauro ['e vincitór d' intorno inonda; E con più corna Adria respinge; e pare Che guerra porti^ e m» i](ibuiio, M more. CANTO NONO 287 XLVII Goflredo, ove fbggir l'itopAurite Sue genti vede, accorre e le miiiaccia: Qual timor, grida, è questo? ove fuggite? Guardate almen <;fai sia quel che vi caccia : Vi caccia un vile stuoì, che le ferite Né ricever né dar sa nella faccia: E, se 1 vedramio incontra a se rivòlto, Temeran l'aniie sol del vostro vólto. XLVIII Punge il destrièrV ciò detta; e là »i Virfve Ove di Solixnan gVmoendj ha scorti: ' Va per mézzo del sangue, e della pcdve, • E de' ferri, e de'rischi, e delle mortil • Con la spadai e con gli urti apre e dissolve I;e vie più chiu^, e ^i ordini più forti : E sossopra cader fa d'ambo i lati Cavalieri e cavalli, àtme ed armati. xnx Sovra i confusi monti, a salto a salto. Della profonda strage oltre cammina. L' intrepido Soldan , che 'Ir fero assalto Sente venir, noi fugge « noi declina; Ma se gli spinge incontra, el ferro in alto Levando, per ferir g|i s' avvicina. Oh quai duo cavalieri or la fortuna DagU estremi del mondo in pròva aduna! a88 LA GERUSALEMME Furor contra virtute ór qui combatte, D'Asia in un picciol cerchio, il grande ]m})ere. Chi può dir come gravi e com& ratte Le spade sùtt? quanto il duello^ fero? Passo qui cose orribili che fatte Furon, ma le coprì quell' aer nero : D' un chiarissimo adi degne y e che tutti Siano i mortali a riguardar iridutti. n popol 4i Gerà[, dietTQ a lai guida Audace or divenuto, oltre si. spinge; - £ de' suoi meglio armati all' omicida Soldano intorno un denso stuolsi strìnge; Né la gente fedel più che l'infida, Né più questa die quella il campo tinge : Ma gli uni e gli altrì, e vinqitorì e vinti. Egualmente dan morte, e sono estinti. LII Come pari d'ardir, con forza pane Quinci Austro in guerra vien, qtiindi Aquilone : Non ei ira le»*, noof cede il ddo, o '1 mare, Ma nube a nube, e flutto a flutto capone; Cosi né ceder qua, né là piegare Si vede l'ostinata aspra tenzone. S' affronta insieme orrìbilmente urtando Scudo a scudo, elmo ad elmo, e brando a brando. CANTO NONO ^89 Lill NoD meno intanto soq ferì ì litigj Dall'^altra parte ^ e i guerrìer folti e densi. Mille nuvole e più d'Angeli stigj Tutti han pieni dell'aria i campi immensi, £ dan forza a i pagani; onde i vestigj Non è chi indietro di rivolger pensi : £ la face d' inferno Argante infiamma, Acceso ancor della sua propria fiamma. LIV £gli ancor dal suo lato in fuga mosse Le guardie, e ne' ripari entrò d' un salto: Di lacerate membra empiè le fosse, Apjnanò il calle, agevolò l'assalto: Si che gli altri il seguirò, e fer poi rosse Le prime tende di sanguigno smalto; £ seco a par Clorinda, o dietro poco, Sen già 9 sdegnosa del secondo loco. LV £ già filmano i Franchi, allorché quivi Giunse Guelfo opportuno, e 1 suo drapi)ello: £ volgerj fé' la fronte a i fiiggitivi, £ sostenne il furor del popol fello. Così si combatteva ; e '1 sangue in rivi Correa egualmente in questo lato e in quello Gli occhi frattanto alla battaglia rea Dal suo gran s^gio il Re del ciel volgea. 19 ago LA GERUSALEMME ' lVi Sedea colà, (kmd'egli e buono e giusto Dà legge al tutto, e 1 tutto oraa e produce Sovra i bassi confin del mondo angusto, Ove senso o ragion non si conduce; E dell' eternità nel trono augusto Risplendea con tre lumi in una luce. Ha sotto i piedi il.fato e la natura, Ministri umili, e 1 moto, e chi 1 misura, -^ LVII E 1 loco, e quella che qual fiimo o polve La gloria di quaggiuso, e l'oro e i regni, Come piace lassù, disperde e volve; ]Vè Diva cura i nostri umani sdegni. Quivi ei così nel suo splendor s'involve, Che v'abbaglian la vista anco i più degni: D'intorno ha innumerabili immortali. Disegualmente in lor letizia eguali. LYIII Al gran concento de' beati carmi Lieta risuona la celeste re^a. Chiama egli a se Michele, il qual nell'armi Di lucido diamiante arde e lampeggia, E dice a lui: non vedi or come s'armi Contra la mia fedel diletta greggia L'empia schiera d' A verno, e insin dal fondo J)elle sue morti a turbar sorga il mondo? CANT^O NONO 291 Va', dille tu che lasci ornai le cure Della guerra a i guerrìer, cui ciò cgnvienQ; JNè il regno de' viventi, né le pure Piagge del ciel conturbi ed avvelene: Tomi alle notti d'Acheronte oscure, Suo degno albergo , alle sue giuste pene: Quivi se stessa, e l'anime d'abisso Crucj: cosi comando, e cosi ho fisso. LX Qui tacque: e 1 duce de' guerrieri alati S'inchinò riverente aldivin piede; Indi spiega al gran volo i vanni aurati, Rapido si eh' anco il pensiero eccede. Passa il fuoco e la luce, ove i Beati Hanno lor gloriosa immobil sede : Poscia il puro cristallo e '1 cerchio n)ira Che di stelle genmaato incontra gira; txi Quinci, d'opre diversi e di sembianti. Da sinistra rotar Saturno e Giove, E gli altri, i quali esser non poauo erranti , S' angelica virtù gì' informa e muove. Vien poi da' campi lieti e fiammeggjiaiiti D' etemo di, là donde tuona e piove: Ove se stesso il miHido struse e pasce^ E nelle guerre sue muore e rinasce. :i92 LA GERUSALEMME LXII Venia scuòtendo con T eteme piume La calìgine densa e i cupi oiTori : S' indorava la notte al divin lume, Che spargea scintillando il volto fuori. Tale il sol nelle nubi ha per costume Spiegar dopo la pioggia i bei colori : Tal suol, fendendo il liquido sereno^ Stella cader della gran madre in seno. LXIII Ma giunto ove la schiera enipia infernale n furor de' pagani accende e sprona j Si ferma in aria in sul vigor dell'ale, E vibra Fasta, e lor così ragiona: Pur voi dovreste ornai saper con quale Folgore orrendo il Re del mondo tuona,' O nel disprezzo, e ne' tormenti acerbi Deir estrema miseria, anco superbi. LXIV Fisso è nel ciel ch'ai venerabil segno Chini le mura, apra Sion le porte: A che pugnar col fato? a che lo sdegno Dunque irritar della celeste corte ? Itene maladetti al vostro regno, Regno di pene e di perj)etua morte: E siano in^quegH a voi dovuti chiostri Le vostre guerre ed i trionfi vostri. ' CANTO NONO 393 Là incrudelite, là sovra i Docenti Tutte adoprate pur le vostre posse Fra i gridi eterni e lo stridor de' denti, £ 1 suon del ferro e le catene scosse. Disse: e quei ch'egli vide al partir lenti. Con la lancia fatai pinse e percosse. Essi gemendo abbandonar le belle Regioni della luce, e V auree stelle: LXVI E dispiegar verso gli abissi il volo Ad inasprir ne' rei l'usate doglie. Non passa il mar d' augei sì grande stuolo , Quando a i soli più tepidi s'accoglie; Né tante vede mai l'autunno al suolo Cader co' primi freddi aride foglie. Liberato da lor , quella si negra Faccia depone il mondo, e si rallegra. LXVII Ma non perciò nel disdegnoso petto D'Argante vien l'ardire o'I furor manco; Benché suo fìioco in lui non spiri Aletto, Né flagello infernal gli sferzi il fianco. Ruota il ferro crudel ove è più stretto E più calcato insieme il popol Franco: Miete i vili e i potenti, e i più sublimi E più superi» capi adegua agl'imi» 294 LA GERUSALEMME Non lontana è Clorinda , e già non meno Par che di tronche membra il campo asperga : Caccia la spada a Berlingier nel seno Per mezzo il cor, dove la vita alberga; E quel colpo a trovarlo andò si pieno , Che sanguinosa usci fuor delle tei^a: Poi fere Albiu là Ve primier s'apprende Nostro alimento, e 1 viso a Gallo ^de. LXIX La destra di Gerniero, onde ferita Ella fii già 9 manda recisa al piano: Tratta anco il ferro, e con tremanti dita Semiviva nelsuol guizza la mano: Coda di serpe è tal, ch'indi partita Cerca d'unirsi al suo principio invano. Cosi mal concio la guerriera il lassa: Poi si volge ad Achille, e '1 ferro at^ssa^ LXX E tra 1 collo e la nuca il cdpo assesta, £ tronchi i nervi, e 1 gorgozzol reciso, Gìo rotando a cader prima la testa, Prima bruttò di polve immonda il viso, Che giù cadesse il tronco: il tronco resta (Miserabile niostro!) in sella assido; Ma, libero del fren, con mille ruote Calcitrando il de$trier, da se lo scuote. CANTO NONO 295 LXXI Mentre così T indomita guerriera Le squadre d'occidente apre e flagella, Non fa d'incontra a lei Gildippe altera De'Saracini suoi strage men fella. Era il sesso medesmó, e simil era L'ardimento e '1 valore in questa e in cjuella: Ma far prova di lor non è lor dato, Gh'a nemico maggior le serba il fato. LXXII Quinci una, e quindi l' altra urta e sospinge, Né può la turba aprir calcata e spessa: Ma'l generoso Guelfo allora stringe Contra Clorinda il ferro, e le s'appressa; E calando un fendente, alquanto tinge La fera spada nel bel fianco; ed essa Fa d'una punta a lui crada risposta, Gh'a ferirlo ne va tra costa e costa. LXXlfl Do]^a allor Guelfo il colpo, e lei non coglie. Che a caso passa il Palermo Osmida, E la piaga non sua sopnsf se togliie , La qual vien che la fronte a lui recida. Ma intomo a Guelfo ornai molta s^aco^lie Di quella gente ch'ei conduce e guida: E d'altra parte ancor la turba cresce, Si che la pugna si confonde e mesce. 2^ LA GERUSALEMME LXXIV ][j'aurora intanto il bel purpureo volto Già dimostrava dal sovran balcone; E in quei tumulti già s'era disciolto Il feroce Argillan di sua pri^one ; E d'arme incerte il frettoloso avvolto, Quali il caso gli offerse o triste o buone, Già sen venia per emendar gli errori Nuovi, con nuovi merti e nuovi onatu hxxy Come destrier che dalle regie st^le, Ove all'uso dell'arme si riserba, Fugge , e libero alfin per largo calle Va tra gli armenti, o al fiume usato, o all'erba: Scherzan sul collo i crini e sulle spalle Si scuote la cervice alta e superba : Suonano i pie nel corso, e p$x: che avvampi Di sonori nitriti empiendo i eampi; ixxvi Tal ne viene ArgiUano: arde il feroce Sguardo: ha la fronte intrepida e sublime: Leve è ne' salti, e sovra* i pie veloce Si che d'òJCme la polve appena imprime: E giunto fra'neEbici alza la voce, Pur com'uom che.uitt'osi e milk stime: O vii feccia del móndo, Arabi inetti,. Ond'è ch'or tanto ardire in voi s' alletti? CANTO NONO 297 LXXVII Non regger voi degli elmi e degli scudi Sete atti il peso, o l' petto armarvi e *1 dorso; Ma commettete, paventosi e nudi, I colpi al vento, e la salute al corso, li' opere vostre e i vostri egregj studi, Notturni son: dà T ombra a voi soccorso. Or ch'ella fugge chi fia vostro schermo? D.'arme è ben d' uopo e di valor più fermo. LXXVIII Così parlando ancor die per la gola Ad Algazel di si crudel percossa. Che gli secò le fauqi, e la parola Troncò* ch'alia risposta era già mossa: A quel meschin subito òrror invola II lume, e scorre un duro gel per Tossa. Cade, e co' denti l'odiosa terra. Pieno di rabbia, in sul morire afferra. LXXIX Quinci, per varj casi , e Saladino, Ed Agricalte e Muleasse uccide : E dair.un fianco all'altro a lor vicino Con esso un colpo Aldìazil divide: Trafitto a s il sanguigno strazio, Della sua cupa fame saaco noa sazio. IH E, come è sua ventura^ alle sonanti Quadrella ond'a lui intorno un nembo vola, A tante spade, a tante lance, a tanti Instrumenti di morte alfin s'invola; E sconosciuto pur cammina innanti Per quella via eh' è più deserta e sola: E rivolgendo in se quel che far deggia. In gran tempesta di pensieri ondeggia, IV Disponsi alfin di girne ove raguna Oste si poderosa il re d'Egitto, E giunger ^eco l'arme, e la fortuna Ritentar anco di novel conflitto. Ciò prefisso tra se, dimora alcuna Non pone in mezzo, e prende il cammiii dritto, (Che sa le. vie, uè d'uopo ha di chi '1 guidi) Di Gaza antica a^< apenosi. lidi: CAINTO DECIiMO 307 V Né perchè senta inacerbir le doglie Delle sue piaghe^ e grave il corpp p4 egro, Vien i^erò che si jiosi e Y arme spoglie ; Ma travagliando il di ne passa integro : Poi quando V ombra oscura al mondo toglie I varj aspetti e i color tìnge in negro, Smonta e fascia le piaghe ^ e , come puote Meglio, d' un' alta palma i frutti scuote ; VI E cibato di lor, sul terren nudo Cerca adagiare il travagliato fianco, E la testa appoggiando al duro scudo, Quetar i moti del pensier suo stanco : Ma d' ora in ora a lui si fa pia crudo Sentire il duol delle ferite, ed anco Roso gli è il petto e laceralo il core , Dagl' intemi avvolto), sd/egrio e dolore. VII AlGn , quando già tijtte intorno chete Nella più alta notte eran le cpse , Vinto egli pur dalla stanchez^za, in Lete Sopì le cure sue gravi e noiose j E in una breve e langtnda quiete L'afflitte membra e gli occhi egri comjK)sc: E mentre ancor dormia, voce severa or intonò suir orecchie in tal manit;ra : 3o8 LA GERUSALEMME vili Solìmatì, Solimano, i tuoi si lenti Riposi a miglior tempo ornai riserva ; Che sotto il giogo di straniere genti La patria , ove regnasti , ancor è serva. In questa terra dormi ? e non rammenti Ch' insepolte de' tuoi Y ossa conserva ? Ove sì gran vestigio è del tuo scorno, Tu neghittoso aspetti il nuovo giorno? IX Desto il soldano, alza lo sguardo e vede Uom che , d' età gravi^ima a i sembianti , Col ritorto baston del vecchio piede Ferma e dirizza le vestigia erranti : E chi sei tu ? ( sdegnoso a lui richiede ) Che, fantasma importuno, a i viandanti Rompi i brevi lor sonni ? e che s asjìetta A te la iiiia vergogna, o la vendetta ? X Io mi son un ( risponde il vecchio ) al quale In jiarte è noto il tuo novel disegno; E si come uomo , a cui di te più cale Che tu forse noii pensi , a te ne vegno : !Nè il mordace parlare indarno è tale ; Perchè della virtù cote è lo sdegno. Prendi in grado , signor, che 1 mio sermone Al tuo pronto valor sia sferza e sprone. CANTO DECIMO 309 XI Or perchè, s'io m'appongo, esser dee volto Al gran re dell' Egitto il tuo cammino , Che inutilmente aspro viaggio tolto Avrai , s* innanzi segui , io m' indovino ; Che sebben tu non vai , fia tosto accolto /E tosto mosso il campo Saracino. Né loco è là dove s impieghi e mostri La tua virtìi contra i nemici nostri. XH Ma se in duce me prendi, entro a quel muro Che dall' armi Latine è intorno astretto , Nel più chiaro del di porti securo , Senza che spada impugni , io ti prometto: Quivi con r arme e co' disagi un duro Contrasto aver, ti fia gloria e diletto. Difenderai la terra insin che git^gna L' oste d' Egitto a rinnovar la pugna. XIII Mentre ei ragiona anicof, gli occhi e la voce Dell'uomo antico il fero Turco ammira ; E dal volto , e dall' animo feroce Tutto depone ornai V orgoglio e Tira: Padre , risponde, io già pronto e veloce Sono a seguirti : ove tu vuoi mi gira; A me sempre miglior ])arrà il consiglio , Ove ha più di fatica e di perigjiio. 3io LA GERUSALEMME XIV Loda il vecchio i suoi detti; e perchè Tanra Notturna avea le piaghe incrudelite , Un suo licor v'iostilla, onde ristaura Le forze, e salda il sangue e le ferite. Quinci veggendo ornai eh' AjkiIIo inaura liC rose che V Aurora ha colorite ; Tempo è, disse ^ al partir, che già ne scopre lie strade il sol ch'altrui richiama all' opre j XV E sovra un carro suo, che non lontano Quinci attendea, col fier Niceno ei siede : Le briglie allenta , e con maèstra mano Ambo i corsieri ahemamente fiede. Quel vanno si che 1 polveroso piano Non ritien della rota orma, o del piede: Fumar li vedi ed anelar nel corso, £ tutto biancheggiar di spuma il morso. XVI Meraviglie dirò: s'adun.i e stringe L' aer d' intomo in nuvolo raccolto , Sì che 1 gran carro ne ricopre e cinge , Ma non appar la nube o poco o molto ; Né sasso tìhe murai macchina spinge, Penetreria pier lo stìo chiuso e folto : Ben veder pòunò i diló dal cavò seno La nebbia intorno , e Aiori il del sereno. CANTO DECIMO Sii XVIt Stupido il cavalier le ciglia inarca, Ed increspa la fronte , e mira fiso La nube e 1 carro eh' ogni intoppo varca Veloce si , che di volar gli è avviso, L' altro che di stupor Taninìa carca Gli scorge all' atto dell' immobil viso , Gli rompe quel silenzio, e lui rappella ; Ond' ei si scuote , e poi così favella : XVIII O chiunqi^ tu sia che fiior d' ogni uso Pieghi natura ad opre altere e strane , E spiando i secreti entro al più chiuso Spazj a tua voglia delle menti umane , Se arrivi col saper , eh' è d' alto inftiso , Alle cose remote anco e lontane , Deh dimmi , qnal ri])oso o qual mina A i gran moti dell' Asia il ciel destina: xix Ma pria dimmi il tuo nome , e con qual artii Far cose tu sì inusitate soglia ; Che se pria lo stupor da me non parte, Com' esser può eh' io gli altri detti accoglia ? Sorrìse il vecchio, e disse: in una parte Mi sarà leve Y adempir tua voglia. Son detto Tsmeno; e i Siri appellan mago Me, che dell'arti incognite son vago. 3i!i LA GERUSALEMME Ma ch'io scppra il fiituro, e ch'io dìspieglii Dell'occulto destin ^i eterni annali, Troppo è audace desio, lrop|x> alti preghi: !Non è tanto concesso a noi mortali. Ciascun quaggiù le forze e '1 senno impiegln Per avanzar fra le sciagure e i mali; Che sovente addivien che '1 saggio e '1 forte Fabro a se stesso è di beata sorte, XXI Tu questa destra invitta, a cui fìa iX)Co Scuoter le forze del Francese impero, Non che munir, non «che guardar il loco ^Che strettamoate oppugna il popol fero, Contra l'arme apparecchia e contra'l foco: Osa, soffri, confida: io bene spero. Ma pur dirò, perchè piacer ti debbia. Ciò ch'oscuro vegg'io quasi per nebbia. XXII Veggio, o parrai vedere, anzi che lustri Molti rivolga il gran pianeta ^emo, Uom che l'Asia ornerà co' fatti illustri, . E del fecondo Egitto avrà il governo. Taccio i pregi dell'ozio e l'arti Industri, Mille virtù «hft non ben tutte io scemò : Basti sol questo a le, che da lui scosse Non pur saranuo le Cristiane posse , CANTO DECIMO 3i3 XXIII Ma ihsin dal frso , Dove costui se ne trascorre arderne : Librar la speme del lootan soccorso Col perìglio vicino, anzi presente, £ con l'arme e con l'impeto uemìco I tuoi nuovi ripari e '1 muro antico. XLXi Noi (se lece a me dir quel ch'io ne sento ) Siamo in forte città di sito e d' arte ^ Ma di macchine grande e violento Apparato si fa dall' altra parte. Quel che sarà non so : spero , e pavento I giudizj incertissimi di Marte ; *^ E temo , che se a noi più fia ristretto L' assedio , aUìn di cibo avrem difetto : XLIII Però che quegli armenti e quelle biada Ch' ieri tu ricettasti entro le mura , Mentre nel camjx) a insanguinar le spade S' attendea solo ( e fu somma ventura ) Picciol'esca a gran fame , ampia cittade Nutrir mal ponno, se l' assedio dura; E forza è pur che duri , ancor clie vegna L' oste d' Egitto il di eh' ella disegna. 3ao LA GERUSALEMME xtiv Ma che fia se più tarda ? Orsa concedo Che tua speme prevegoa e sue promesse : La vittoria però, però non vedo Liberate , o signor , le mura oppresse. Combatteremo, o re , cqn quel Goffredo , E con que' duci , e con le genti istesse Che tante volte han già rotti e dispersi Gli Arabi , i Turchi , i Soriani e i Persi. XLV E quali ^*an tu 1 sai, che lor cedesti Si spesso il campo , o valoroso Argante , E sì spesso le s])aUe anco volgesti , Fidando assai nelle veloci piante : E 1 sa Clorinda teco , ed io con questi , Che un più dell'altro non convien si vante: Né incolpo alcuno io già , che vi fu mostro y Quanto potea maggiore^ il valor nostro. XLVI E dirò pur, benché costui di morte Bieco minacci e 1 vero udir si sdegni , Ye^io portar da inevitabil sorte II nemico fatale a certi segni : Ne gente potrà mai , uè muro forte Impedirlo così , eh' alfin non regni : Ciò mi fa dir ( sia testimonio il cielo ) Del signor^ della. jiatrìa amore ^ e zela CANTO DECIMO ' 3%i XLVII Oh saggio il re di Tripoli , che pace Sep|)e impetrar dai Franchi e regno insieme ! Ma il soldano ostinato, o morto or giace, Oppur servii catena il pie gli preme, O neir esiglio timido e fugace Si va serbando alle miserie estreme : Eppur, cedendo pane, avria potuto Parte salvar co' doni e col tributo. XLVIII Cosi diceva, e s' avvolgea costui Con giro di parole obliquo e incerto, Ch' a chieder pace, a farsi uom ligio altrui Già non ardia di consigliarlo aperto. Ma sdegnoso il sdidano i detti sui Non potea ornai più sostener coperto; Quando il mago gli disse: or vuoi tu darli Agio, signor, di' in tal maniera parli? ZLIX Io per me, gli risponde, or qui mi celo Contra mio grado, e d* ira ardo e di scorno. Ciò disse appena, e immantinente il velo D^Ua nube, che stesa è lor d' intorno^ Si fende e purga nell'aperto cielo. Ed ei rìman nel luminmo giorno; E magnanimamente in fero viso Rifulge in mezzo, e lor parla improvviso: 3ia LA GERUSALEMME L Io, di cui si ragiona^ or son presente, Non fugace e non timido soldauo; Ed a costui, eh' egli è codardo e mente, M' oflfero di provar con questa mano. Io, che sparsi di sangue ampio torrente, Che montagne di strage alzai sul piano , Chiuso nel vallo de' nemici , e privo Alfin d' ogni compagno^ io fuggitivo ? LI Ma se più questi, o s'altri a lui simile, Alla sua patria, alla sua fede infido. Motto osa far d'accordo infame e vile. Buon re (sìa con tua pace) io qui l'uccido. Gli agni e i lupi fian giunti in un ovile, E le colond)e ci serpi in un sol nido, Pri](na che mai di non discorde voglia Noi co' Francesi alcuna terra accoglia. LII Tien sulla spada, mentr'ei si favella, La fera destra in minaccevol atto. Riman ciascuno a quel parlare, a quella Orribil faccia, muto e stupefatto. Poscia con vista nien turbala e fella Cortesemente inverso il re s' è tratto: Spera, gli dice, alto signor, eh' io rec<^ Non poco aiuto: or Solimano è teco. CANTO DECIMO 3a3 LUI Aladio, eh' a lui contra era già sorto, Risponde : oh come lieto or qui ti veggio , Diletto amico ! or del mio stuol eh' è morto Non sento il danno; assai temea di peggio. Tu lo mio stabilire , e in tempo corto Puoi ridrizzare il tuo caduto seggio, Se 1 cicl no 1 vieta: indi le braccia al collo, Così detto, gli stese e circondollo. LIV Finita r accoglienza, il re concede Il suo medesmo soglio al gran Niceno. Egli poscia a sinistra in nobil sede Si pone, ed al suo fianco alluoga Ismeno: £ mentre seco parla ed a lui chiede Di lor venuta, ed ei risponde appieno, 1/ alta donzella ad onorar in pria Vien Solimano: ogu altro indi seguia^ LV Seguì fra gli altri Ormusse, il qual la schiera Di quegli Arabi suoi a guidar tolse, E mentre la battaglia ardea più fera, Per disusate vie così s'avvolse, Ch' aiutando.il «ilenzio e V aria nera, Lei salva alfin nella città raccolse: E con le biade e co' rapiti armeQti , Aiu porse air affamate genti. 3^4 LA GERUSALEMME LVI Sol con la faccia torva e disdegnosa Tacito si rimase il fer Circasso, A guisa di leon, quando si posa Girando gli occhi e non movendo il passo. Ma nel soldan feroce alzar non osa Orcano il volto, e 1 tien pensoso e basso. Oosì a consiglio il Palestin tiranno , E 1 re de' Turchi e i cavalier qui stanno. LVII Ma il pio Goffredo la vittoria e i vinti Avea seguiti, e libere le vie, E fatto intanto ai suoi guerrieri estinti U ultimo onor di sacre essequie e pie : Ed ora agli altri impon che siano accinti A dar r assalto nel secondo die: E con maggiore e più terribil facda , Di guerra i chiusi barbari minaccia : LVIII E perchè conosciuto avea il di:appello Ch' aiutò lui contra la gente infida, Esser de' such più cari, ed esser quello Che già seguì V insidiosa guida, E Tancredi con lor, che tiMÌ castello Prigion restò della fallace Armida; Nella presenza sol dell' eremita E d' alcuni più saggi , a se gl'invita; CANTO DECIMO 3a5 E dice lor: prego eh' alcun taCóonti De' vostri brevi errori il dubbio corso: E come poscua vi trovaste pronti In sì grand' uopo a dar si gran socCdrsd. Vergognando tenean baise le fronti , Ch' era al cor picciol fillio amaro moréo : Alfin del re Britanno il chiaro figlio Ruppe il silenzio e disse, alzando il ciglio: LX Partimmo noi, che fuor dell'urna a sorte Tratti non fummo, c^un per se nascoso, D'amor, noi nego, le fallaci scorte Seguendo, e d' un bel volto insidioso: Per vie ne trasse disusate e torte, Fra noi discordi, e in se ciascun geloso: ^Mutrian gli amori e i nostri sdegni (ahi tardi Troppo il conosco! ) or parolette, or guardi. LXI Alfin giungemmo al loco ove già scese Fiamma dal cielo in dilatate falde, E di natura vendicò T offese Sovra le genti in mal^oprar sì salde. Fu già terra feconoa, almo paese, Or acque son bituminose e calde ^ E steril lago, e quando ei torce e gira, Compressa è l'aria, e grave il puzzo spira. 3a6 LA GERUSALEMME LXIl Questo è lo stagno in cui nulla di greve Sì getta mai, che giunga insino al basso; Ma, in guisa pur d'abete o d^orno, leve L' uom vi somuota , e 1 duro ferro e 'l sasso: Siede in esso un castello, e stretto e breve Ponte concede a' peregrini il passo : Ivi n' accolse e, non so con qual'arte, Vaga è là dentro , 6 rìde ogni sua parte. LXIII V è r aura molle, e 1 ciel sereno, e lieti Gli alberi e i prati, e pure e dolci Y onde, Ove fra gli amenissimi mirteti Sorge una fonte , e un fiumicel diffonde. Piovono in grembo all'erbe i sonni queti Con un soave mormorio di fronde; Gantan gli augelli: i marmi io taccio e V oro , Maravigliosi d'arte e di lavoro. LXIV Apprestar sull'erbetta, ov' è più densa L' ombra, e vicino al suon dell' acque chiare, Fece di sculti vasi altera mensa, E ricca di vivande elette e carie. Era qui ciò eh' ogni sta^on dispensa: Ciò che dona la terra, o manda il mare: Ciò che r arte condisce ; e cento belle Servivano al convito accorte ancelle. CANTO DECIMO 317 Ella d' un parlar dolce e d' uà bel riso, Temprava altrui cibo mortale e rio. Or mentre ancor ciascuno a mensa assiso Beve con* lungo incendio un lungo oblio, Sorse, e disse: or qui riedo; e con un viso Ritornò poi non si tranquillo e pio. Con una man picciola verga scote : Tien r altra un libro, e leggp in basse note. LXVI Legge la maga : ed io pensiero e voglia Sento mutar, mutar vita ed albergo. Strana virtù! nuovo piacer m'invoglia: Salto nell'acqua, e mi vi tuffo e immergo. Non so come ogni gamba entro s'accoglia. Come Fun braccio e T altro entri nel tergo: M' accorcio e stringo, e sulla pelle cresce Squamoso il cuoio, e d' uom son fatto un pesce. LXVII Così ciascun degli altri anco fii volto, E guizzò meco in quel vivace argento. Quale allor mi foss'io, come di stolto Vano e torbido sogno, or men rammento. Piacquele alfin tornarci il proprio volto j Ma tra la maraviglia e lo spavento Muti eravam , quando turbata in vista In tal guisa minaccia e ne contrista : 3a8 LA GERUSALEMME LXVIII Ecco a voi noto è il mio poter, ne dice, E ^anto sovra voi l'imperio ho pieno: Pende dal mio voler ch'altri infelice Perda in prigione eterna il ciel sereno; Altri divenga augello; altri radice Faccia, e germogli nel terrestre seno; O che s'induri in selce, o in molle fonte Si liquefacela, o vesta irsuta fronte. LXIX Ben potete schivar l'aspro mio sdegno^ Quando servire al mio piacer v' aggrade : Farvi pagani, e per lo nostro regno Contrai Tempio Buglion muover le spade. Ricusar tutti, ed abborrir l'indegno Patto: solo a Rambaldo il persuade. Noi (che non vai difesa) entro una buca, Di lacci avvolse, ove non è che luca. LXX Poi nel castello istesso a sorte venne Tancredi, ed ^li ancor fri prigioniero. Ma poco tempo in carcere ci tenne La falsa maga, e ( s'io n'intesi il vero ) Di seco trarne da quell'empia ottenne Del signor di Damasco un messaggiero. Ch'ai re d'Egitto in don , fra cento armati , Ne conduceva inermi e incatenati. CANTO DECIMO 3^9 LXXI Cosi ce n^andavamo; e come Falta Provvidenza del cielo ordina e muove , n buon Rinaldo, il qual più sempre esalta La gloria sua con opre eccelse e nuove, In noi s'avviene, e i cavalieri assalta Nostri custodi, e fa Fusate prove: Gli uccide e vince, e di quell'arme loro Fa noi vestir, che nostre in prima foro. LXXII Io 1 vidi, e 1 vider questi; e da lui porta Ci fìi la destra, e fìi sua voce udita. Falso è il romor che qui risuona e porta Sì rea novella, e salva è la sua vita: Ed oggi è il terzo d^che , con la scorta D'un peregrin, fece da noi partita Per girne in Antiochia; e pria depose L'arme, che rotte aveva e sanguinose. LXXIII Così parlava; e F eremita intanto Volgeva al cielo Funa e l'altra luce. Non un color, non serba uh volto: oh quanto Più sacro e venerabile or riluce! Pieno di Dio, ratto dal zelo, accanto All'angeliche menti ei si conduce: Gli si svela il futuro, e nell'eterna Serie degli anni e del^^età s'interna; >^ 33o LA GERUSALEMME LXXIV E la bocca sciogliendo in maggior suono ^ Scopre le cose altrui eh' indi verranno. Tutti conversi alle sembianze, al tuono Deir insolita voce, attenti stanno: Vive, dice, Rinaldo; e l'altre sono Arti e bugie di fenuninile inganno: Vive, e la vita giovanetta acerba A più mature glorie il ciel riserba. LXXV Presagi sono, e fanciulleschi affanni Questi, onde or l'Asia lui conosce e noma. Ecco chiaro vegg'io, correndo gli anni, Ch'egli s'oppone all'empio Augusto e '1 doma E sotto l'ombra degli argentei vanni L'aquila sua copre la Chiesa e Roma, Che della fera avrà tolte agli artigli : £ ben di lui nasceran degni i figli. LXXVI De' figli i figli, e chi verrà da quelli Quinci avran chiari e memorandi esempi : E da' Cesari ingiusti, e da'rubelli, Difenderan le mitre e i sacri tempj : Premer gli alteri e sollevar gì' imbelli, \ Difender gl'innocenti e punir gli empi, Fian l'arti lor. Così verrà, che vole li' Aquila Estense oltre le vie del. soIe« CANTO DECIMO 33! LXXVII E dritto è ben che, sei ver mira e 1 lume, Ministri a Pietro i folgori moruli: U' per Cristo si pugni , ivi le piume Spiegar dee sempre invitte e trionfali; Che ciò per suo nativo alto costume Dielle il cielo, e per leggi a lei fatali. Onde piace lassù che a questa degna Impresa, onde partì, chiamata vegna. LXXVIII Con questi detti ogni timor discaccia Di Rinaldo concetto il saggio Piero: Sol nel plauso comune avvien che taccia n pio Buglione immerso in gran pensiero. Sorge intanto la notte, e su la faccia Della terra distende il velo nero: Yansene gli altri, e dan le membra al sonno; Ma i suoi pensieri in lui dormir non ponno. Fine del Tomo primo. LA GERUSALEMME LIBERATA t * -, -•.•. t LA GERUSALEMME LIBERATA POEMA DI TORQUATO TASSO TOMO SECONDO FIRENZE A SPESE DI GIUSEPPE MOLINI ^ OOUf. MDCCCXriII 4 ^ I . ^ • . ... : I. GERUSALEMME LIBERATA CANTO UN DE CIMO * ÀKGOMENTO , , J Con puro sacrificio è sacre note^ Il soccorso del cielo invoca il campo: Poi deltalta città le mura' scuote j ' ' Ch^al suo furore ornai non avean scampo; ■ Quando Clorinda il capitan percuota ^ ^ E^l colpo è a lui d'aita vittoria inciampo^ • Ben dair angel sanato ei torna Ì9p< guerra }* Ma già 7 diurno raggio ito è sotterra. ' ^ . \i !. ir-: '» ^ I JYIaI caintan delle crtstiane genti , Volto avendo all' assalto ogni pensueno, > Giva apprestando i bellici insiramenti, ^ Quando a lui veone il solitàrio Piero; ' E, trattolo ib disparte^ in tali accenti i Gli parlò ^nerabile e severo: Tu muovi, o capitan, L'armi terrene^ .. ^ Ma di là non cominci onde conviene» . [< T. IL 1 a LA GERUSALEMME it Sia dat cielo iV^piinOÌpio: invoca tonami^ Nelle preghiere^ jiiibbHchè e devote, I/a milizia degli Angioli e de*' Santi , Che ne impetri vittoria ella che puote. Preceda il clero in sacfe vesti, e canti Con ipieio^rafi^qipì^ ^ppUoi noie.; ; . E da voi duci gloriosi e magni Pietate il volgo apprenda, e v'accompagni. Cosi gli park' il* rigido rò»xito;\^ < £ 1 buon Crofiredo H saggia avviso approva: Servo, risponde , di Gesù gradito, n tuo Consilio di' ^ijdr mi |;iova« Or ineìitre i .duci a venir meco invito , T,u i pastori de'popcdi ritrovi^ , . v^ ' Guglielmo, ed /Ademam; ,e vostra sia La cura della pompa sacra e pia. IV -.» -• Nel seguente maittiiio il vècchio acooglè Co' duo gran sacerdoti altri minori, v. < Ove ent^ al vaUoitra sacrate sogli» . Soleansi oelebi^ar dì vini onori; Quivi gli altri vestir ^CBpdide; s^^oglie^' Vestir dorato ammanto-i duo pastori. Che bipartito solerai biàachzlim n ,. S'affibbia al fetta j elioodronaro i >Giinì.' ' CANTO UNDECIMO 3 T Va Piero solo inaanai, e spiega al vento D segno rìverìto in Paradiso ; E segue il coro a passo grave e lento^ In duo lunghissimi ordini diviso. Alternando £icean doppio concento In supplichevol canto e in umil viso; £ chiudendo le schiere ivano a paro I prìncipi Guglielmo ed Ademaro. VI Venia, poscia il Boglion, pur come è Tnso Di capitan , senza compagno allato : Seguiano a coppia i duci, • non confuso Seguiva il campo in lor difesa armato. Sì procedendo se n'uscia del chiuso Delle trìndere il popolo >adtmato; > Né s'udiah tmnbe^ o snoni altri feroci, Ma di pietate e «d'umiltà sol vodL * VII Te Genitor, te Fii^o e ^«le al Padre, E te, che d'ambo uniti amando ^liri*, E te, d'uomo e di Dio^ Vergìnfa miadre, Invocano proptaia ai lor desirìt" :;'> ^ O Duci, e voi, che le fulgenti squadra. . Del ciel movete in jtri^cati giri ; ' . O Divo, e te^'cheideUadivf Irome ^ .: lia monda .«ifl^anilkNhivasti al ibi^ i J i 4 LA GERUSALEMME I Vili Chiamano e te, che sei pietra e sostegno Della magion di Dio fondata e £arte: Ove ora il nuovo successor tuo degno Di grazie e di perdono apre le porte: E gli altri messi del celeste regno, Che divulgar la vincitrice morte: E quei che 1 vero a confermar seguirò, Testimoni di sangue e di martiro; IX Quegli ancor, la cui penna, ola fevdk Insegnata ha del ciel la via smarrita: E la cara di Cristo e fida ancella , Ch' elesse il ben della più nobil vita: E le vergini chiuse in casta cella. Che Dio con alte nozze a se marita: E quell' altre! magnanime a i tormenti , Sprezzatrìci de' re^ e delle genti. Così, cantando, il popolo divoto Con larghi giri si dispiega e stende , E drizza all' Odi veto il lento moto. Monte che dall' olive il nome prepde; Monte per saqpa hmz al niondo noto, Che orientai conica* le jhikra ascende, E sol da quelie ti parte e Àe-'Itliscotta La cup GiosÉiàJble in ekìzbò e postai CANTO UNDECIMO 5 XI Colà s'invia Y esercito canoro, E nq snonan le valli ime e profonde, E gli alti colli e le spelonche loro ,' E da ben mille parti eco risponde : E quasi par che boscareccio coro Fra quegli antri si celi e in quelle fronde; Si chiaramente replicar s' udia Or di Cristo il gran nome, or di^Maria. XII jy in sulle mura ad anmiirar frattanto Cheti si stanno e attoniti i pagani Que' tardi avvolgimenti, e Tumil canto, E r insolite pompe , e i riti estrani. ^ Poiché cessò dello spettacol santo IjSl novitate , i miseri profani Alzar le strida; e di bestemmie e d'onte Muggì il torrente , e la gran valle, e'I monte. XIII Ma dalla casta melodia soave La gente di Gesù però non tace. Né si volge a que' gridi, o cura n'ave Più che di stormo avria d' augei loquace; Né, perchè strali avventino, ella pavé Che giungano a turbar la santa pace Di si lontano; onde a suo fin ben puote Condur le sacre incominciate note. 6 LA GERUSALEMME XIV Poscia in cima del colle oman l'altare Che di gran cena al sacerdote è mensa ; E d'ambo i lati luminosa appare Sublime lampa in lucid' oro aecensa. Quivi altre spoglie, e pur dorate e care , Prende Guglielmo; e pria tacito pensa: Indi con chiaro suon la voce spicca <, Se stesso accusa, e Dio ringrazia e prega. IV Umili intorno ascoltano i primieri, Le viste i più lontani almen v'han fisse. Ma poiché celebrò gli alti misteri Del puro sacrificio: itene, ei disse; E, in fix>nte alzando ai popoli guerrieri La man sacerdotal , li benedisse. Allor sen ritornar le squadre pie Per le dianzi da lor calcate vie. XVI Giunti nel vallo, e l'ordine discioltd,. Si rivolge Goffredo a sua magione; E l'accompagna stuol calcato e folto Insino al limitar del padiglione. Quivi gli altri accomiata, indietro volto, Ma ritien seco i duci il pio Buglione : E li raccoglie a mensa, e vuol eh' a fronte Di Tolosa gli sieda il vecchio conte. CANTO UNDECIMO 7 XVII Poi che de' cibi il naturai amòra Fu in lor ripresso e V importuna sete , Disse ai duci il gran duce : al nuovo albore Tutti all' assalto Voi pronti sarete* Quel fia giorno di guerra e di sudore; Questo fia d'apparecchio e di quiete. Dunque ciascun vada al riposo, e poi Se raedesmo pr^ri e i guerrier suoi XVIII Tolser esRi congedo; e manifesto Quinci gli araldi al suon di trombe Jfero^ Ch'essere alF arme appareochiàto e presto Dee colla nuova luce ogni guìmiero. Così in parte al ristoro, e in parte questo Giorno si diede all' opre ed id pensiero} Sin che fé' nuova tregua alU 'faiica La cheta notte del riposo amica* .. XIX Ancor dubbia l' aurora, ed immaiutx> Neil' oriente il parto era del giorno; Né i terreni fendea V aratro duro, Né fea il pastore a i prati anco ritomo* Stava tra i rami ogni augellin sicuro, £ in selva non s' lidia latrato, o corno; Quando a cantar la mattutina tromba Comincia all' arme : all' arme il ciel rimbomba. 8 LA GERUSALEMME XX Air arme 9 all'arme, subito ripiglia n grido uniyersal di cento schiere. Soi^e il forte Gofiredo^ e già non piglia La gran corazza usata, o le schiniere : Ne veste un' altra, ed un pedon somiglia In arme speditissime e leggiere, Ed indosso avea già T agevol pondo; Quando gli soyraggiunse il buon Raimonda XXI Questi, veggendo armato in cotàl modo n capitano, il suo pensier comprese: Ov'è, gli disse, il grave usbergo e sodo? Ov' è, signor, Y altro ferrato arnese ? Perchè sei parte inerme ? Io già non lodo, Che vada con si debili difese. Or, da tai segni, in te ben argomento Che sei di gloria ad umil meta intenta XXII, Deh che ricerchi tu? privata palma Di salitor di mura? altri le saglia, Ed esponga men degna ed utU alma (Rischio debito a lui ) ndla battaglia: Tu riprendi, signor, Y usata salma, E di te stesso a nostro prò ti caglia • L' anima tua, mente dei campò e vita, Cautamente, per Dio, sia custodita. €ANTO UNDECIMO 9 XXIII Qui tace^ ed ei risponde: or ti sia noto Che quando in Ghiaromonte il grande Urbano Questa spada mi cinse, e me divoto Fé* cavalier 1* onnipotente mano : Tacitamente a Dìo promisi in voto Non pur T opera qui di capitano, Ma d' impiegarvi an(K>r , quando che fosse, Qual privato guerrier, V arme e le posse. XXIV : Dunque, poscia che fian contra i nemici Tutte le genti mie mosse e disposte, E^he appieno adempito avrò gli ufRcj Che son dovuti ài prìncipe dell'oste, Ben è ragion, né tu, credo, il disdici, Ch' alle mura pugnando anch' io m' accoste, £ la fede prcnnessa al cielo osservi: Egli mi custodisca e mi conservi. XXV Cosi concluse ; e i cavalier Francesi Seguir r esempio, e i duo minor Buglioni. Gli altri principi ancor men gravi arnési Parte vestirò, e si mostrar pedoni: Ma i pagani frattanto erano ascesi Là dove a i sette gelidi trioni Si volge, e piega all' occidente il muro, Che nel più £icil sito è men sicuro; IO LA GERUSALEMME XXVI Però eh' altronde la dctà non teme Dall' assalto nemico offesa alcuna. Quivi non pur l' empip tiranno insieme n forte volgo e gli asscddati aduna; Ma chiama ancora alle etiche estreme Fanciulli e vecchi, l'ultima fortuna; E van questi portando a i più gagliardi Galee, zdfi), bitume, e sassi, e dardi; XXVII E di macchine e d' arme han pieno innante Tutto quel muro, a cui soggiace il piano: E quinci in forma d' orrido gigante DaUa cintola in su sorge il soldano; Quindi tra' merli il minaccioso Argante Torreggia, e discoperto è di lontano; E in sulla torre altissima angolare Sovra tutti Glorinda eccelsa appare» XXVIII A costei la faretra e '1 grave incaroo Dell' acute quadrella al tergo pende. Ella già nelle mani ha preso l' arco, E già lo strai v'ha sulla corda , e '1 tende: E, desiosa di ferire, al varco La bella arciera i suoi nemici attende. Tal già credean la verone di Delo Tra r alte nubi saetur dal cielo. \ CANTO UNDECIMO ti XXIX Scorre più sotto il re canuto a piede Dall' una all' altra porta, e 'a sulle mura Ciò che prima ordinò cauto rivede, £ i dìfensor conforta e rassicurai E qui gente riilforza, e là provvede Di maggior copia d^ arme, e 1 tutto cura. Ma se ne van Y afflitte madri al tempio A ripregar nume bugiardo ed empio. XXX Deh spezza tu del predator Francese 1/ asta, signor, colla man giusta e forte; £ lui che tanto il tuo gran nome offese Abbatti e spargi sotto V alte porte. Così dicean; né fur le voci intese Lfaggiù tra 1 pianto dell' etema morte. Or, mentre la città s' appresta e prega, Le genti e V arme il pio BngUon dispiega. XXXI Tragge egli fuor Y esercito pedone Con mólta provvidenza e con bell'arte, E con tra il muro eh' assalir dispone, Obliquamente in duo lati il comparte. Le baliste per dritto in mezzo pone, E gli altri ordigni orribili di Marte; Onde, in guisa di fulmini, si lancia Ver le merlate cime or sasso, or lancia. 12 LA GERUSALEMME XXXII E mette in guardia i cavalier de' fanti Da tergo, e manda intomo i corridori. Dà il segno poi della battaglia, e tanti I sagittarj sono e i frombatori, E r arme delle macchine volanti, Che scemano fra i merli i difensori. Altri v' è morto, e 1 loco altri abbandona; Già men folta del muro è la corona. XXXIII La gente Franca impetuosa e ratta Allor, quanto più puote, affretta i passi: E parte scudo a scudo insieme adatta, E di quegli un coperchio al capo fassi; E parte sotto macchine s' appiatta. Glie fan riparo al grandinar de' sassi; Ed arrivando al fosso, il cupo e '1 vano Gercano empirne , ed adeguarlo al piano. xxxiv Non era il fosso di palustre Hmo, (Che noi consente il loco) o d' acqua. molle» Onde r empiano, ancor che largo ed imo, Le pietre, i fasci, e gli alberi, e le zolle. L' audacissimo Adrasto intanto il primo Scopre la tesu, ed una scala estolle; E noi ritien dura gragnuola, o pioggia Di fervidi bitumi , e su vi po^ia. CANTO UNDECIMO i3 XXXV Yedeasi in alto il fier Elrezio asceso Mezzo r aereo calle aver fornito, Segno a mille saette, e non offeso D' alcuna si che fermi il corso ardito, Quando un sasso ritondo e di gran peso, Veloce, come di bombarda uscito, Nell'elmo il coglie, e il rìsospinge a basso; £ 1 colpo vieii dal lanciator Circasso. XXXVI Non è mortai, ma grave il colpo e 1 salto Si eh' ei stcndisce, e giace immoÙl pondo. Argante allor in suon feroce ed alto: Caduto è il primo, or chi verrà secondo? Che non uscite a manifesto assalto, Appiattati guerrìer, s' io non m' ascondo? Non gioveranvi le caverne estrane; Ma vi morrete come belve in tane. XXXVII Così dice egli; e per suo dir non cessa La gente occulta; e tra i ripari «avi, E sotto gli' alti scudi unita e spessa , Le saette sostiene e i pesi gravi : Già r ariete idla muraglia (^pressa Macchine grandi, e smisurate travi Ch' ban testa di monlon feltrata e dura : Temon le pcxte il coz£0 e T alte 'mani. i4 LA GERUSALEMMJ; XXXVXII Gran mole intaato è di lasaù riv<^tii Per cento mapi ài gran biwgoo pitifite. Che sovra la testuggine più folta Ruina, e pv che vi tfabocchi un mont?) £^ degli scudi V union disctolta^ Più d' un elmo vi frange e d' unairoiit^; £ ne limaa la terra sparsa e ro^sa D'arme, di sangue, di cervella, e d'ossa» %xxix è non niostràr paura i w D'esporre il petio per rimale mnra. . ' . CANTO UNDECIMO 21 LIX E quel eh' a i Franchi più spavento porge ^ £ '1 teglie a i difensor della cittade, È che \ possente Guelfo ( e se n accolse Questo popolo e quel ) percosso cade» Tra mille il troya sua fortuna , e scorge D' un sasso il corso per lontane strade : E da sembiante colpo al tempo stesso Colto è Raimondo 9 onde giù cade anch' esso. LX Ed aspramente allora anco fu punto Nella proda del fosso Eustazio ardito : Né in questo a i Franchi fortunoso punto Contra lor da' nemici è colpo uscito, ( Che n uscir molti ) onde non sia disgiunto Corpo dall' alma , o non sia almen ferito : E in tal prosperità viepiù feroce Divenendo il Circasso alza la voce : LXI Non è questa Antiochia, e non è questa lia notte amica alle Cristiane frodi. Vedete il chiaro sol , la gente desta , Altra forma di guerra ed altri modi. Dunque favilla in voi nulla più resta Dell' amor della preda e delle lodi ? Che sì tosto cessate, e sete stanche Per breve assalto, o Franchi no, ma Franche ? 22 LA GERUSALEMME LXII Cosi ragiona; e in guisa tal s'accende Nelle sue furie il cavaliero audace, Che queir ampia città eh' egli difende , Non gli par campo del suo ardir capace : E si lancia a gran salti ove si fende n muro j e la fessura adito face : Ed ingombra l' uscita; e grida intanto A Soliman che si vedeva accanto : LXIII Solimano , ecco il loco , ed ecco Y ora Che del nostro valor giudice fia. Che cessi? o di che temi ? Or costà fìiora Cerchi il pregio sovran chi più 1 desia. Cosi gli disse ; e l'uno e l' altro allora Precipitosamente a prova uscia: L' un da furor , l' altro da onor rapito , £ stimolato dal feroce invito. LXIV Giunsero inaspettati ed improvvisi Sovra i nemici, e in paragon mostrarsi: E da lor tanti furo uomini uccisi , E scudi ed elmi dissipati e sparsi, E scale tronche ed arieti incisi ; Che di lor parve quasi un monte farsi : E mescolati alle ruine alzaro, In vece del caduto, altro riparo. CANTO UNDECIMO %^ LXV La gente che pur dianzi ardì salire Al pregio eccelso di murai corona^ Ncfù ch'or d'entrar nella cittadeaspire, Ma sembra alle difese anco mal fanona : E cede al nuovo assalto ^ e in preda alF ire De' duo guerrier le macchine abbandona: Che ad altra guerra ornai saran mal atte; Tanto è '1 furor che le percuote e batte. LXTI L'uno e l'altro Pagan , come il traina L' impeto suo, già più e pia trascorre: Già 1 foco chiede a i cittadini , e poru Duo pini fiammeggianti inver la torre. Gotali uscir dalla tartarea porta Sogliono, e sottosopra il niiMìdo porre, Le ministre di Pluto empie sorelle, Lor ceraste scotendo e lor facelle. LXYII Ma l'invitto Tancredi, il quel akrove Conforuva all'assalto i suoi Lttini, Tosto che vide l'incredifail prove, E la gemina fianuna, e i duo gran piai; Tronca in me^zo le voci, e presto umove A frenar il furor de' Saracioi, E tal del suo valor dà segno orrendo, Che clii vinse e fugò, fugge or perdendo. 34 LA GERUSALEMME LXVIII Cosi ddla battaglia or qui lo stato Gol yariar della fortuna è volto: E in questo mezzo il capitan piagato Nella graa tenda sua già s' è raccolto Gol buon Sigier, con Baldovino allato, Di mesti amici in gran concorso e folto. Ei, che s affretta e di tirar s' affanna Della piaga lo strai , rompe la canna. LXIX E la via piò, vicina e jnù spedita Alla cura di lui vuol che si prenda: Scoprasi ogni latebra alla ferita, E largamente si risechi e fenda: Rimandatemi in guerra, onde fornita Non sia col dì, prima eh' a lei mi renda. Gosi dice, e premendo il lungo cerro D' una gran lancia, offre la gamba al ferro. LXX E già l'antico Erotimo, che nacque In riva al Po, s' adopra in sua salute, n qual dell' erbe e delle nobil acque. Ben conosceva ogni uso, ogni virtute: Garo alle muse ancor; ma si con^iacque Nella gloria minor dell' arti mute : Sol curò torre a morte i corpi frali, E potea far i nomi anco immortali. CANTO UNDECIMO %5 LXXI Stassi appoggiato e con sicura faccia Freme, immòbile ai pianto, il capitano. Quegli in gonna succinto, e dalle braccia Ripiagato il vestir leggiero e piano , Or coli' erbe potenti invan procaccia Trame lo strale, or colla dotta mano: £ colla destra il tenta, e col tenace Ferro il va riprendendo, e nulla face. LXXH L' arti sue non seconda , ed al disegno Par che per nulla via fortuna arrida ; £ nel piagato eroe giunge a tal segno 1/ aspro martir , che n' è quasi omicida. Or qui r Angiol custode , al duol indegno Mosso di lui , colse dittamo in Ida : Erba crinita , di purpureo fiore , Ch'ave in giovani fqglie alto^ valore: LXXIII E ben mastra natura alle montane Capre n'insegna la virtù celata , Qualor vengon percosse, e lor rimane Nel fianco affissa la saetta alata. Questa, benché. da parti assai lontane, In un momento l'Angiolo ha recata: E, non veduto, entro le mediche onde Degli apprestati bagni il succo infonde; / a6 LA GERUSALEMME LXXIV £ del fonte di Lidia i sacri umori , E r odorata panacea vi mesce : Ne sparge il vecchio la ferita ^ e fuori Tolontarìo per se lo strai se n' esce j £ si ristagna il sangue: e già i dolori Fuggono dalla gamba, e 1 vigor cresce. Grida Erotimo allor: Y arte maestra Te non risana , o la mortai mia destra: LXXV Ma^òr virtù ti salva* Un Angiol y credo ^ Medico per te fatto , è sceso in terra : Che di celeste mano i segni vedo. Prendi Y arme: che tardi? e riedi in guerra» Avido di battaglia il pò Goffredo Già neir ostro le gambe avvolge e serra , E l'asta crolla smisurata , e imbraccia n già deposto scudo, e Y elmo aUaccia« LXXVI Usci dal chiuso vaUo e si converse Con mille dietro alla città percossa. Sopra di polve il ciel gli si coperse : Tremò sotto la terra al moto scossa; E lontano appressar le genti avverse D' alto il miraro, e corse lor per Y ossa Un tremor freddo e strinse il sangue in gelo : Egli alzò tre fiate il grido al cielo. CANTO UNDECIMO 27 LXXVII Conosce il popol suo V altera vooe, E 1 grido eccìtator della battaglia » £, riprendendo F impeto, veloce Di nuovo ancora alla tenzon si scaglia: Ma già la coppia de i pagan feroce Nel rotto accolta s' è della muraglia, Difendendo ostinata il varco fesso Dal buon Tancredi, e da chi vien con essa LXXVIII Qui disdegnoso giunge è mitaacciante, Chiuso neir arme il capitan di Francia : E 'n sulla prima giunta al fero Alante L' asta ferrata fulminando lancia. Nessuna murai macchina si vante D' avventar con più forza alcuna lancia. Tuona per Taria la nodosa trave: V'oppon lo scudo Argante, e nulU pavé. LXXIX S' apre lo scudo al frassino pungente: Né la dura corazza anco il sostiene, ( ihe rompe tutte V arme, e finalmente Il sangue Saracino a sugger viene; Ma si svelle il Circasso, e '1 duci non sente, Dair arme il ferro affisso e dalle vene , E 'n Goffredo il ritorce: a te, dicendo, Kiiiiando il tronco, e Tarmi tue ti rendo. 28 LA GERUSALEMME LXXX L'asta eh' oflfesa or porta, ed or vendetta. Per lo noto sentier vola e ri vola; Ma già colui non fere ove è diretta, Ch' egli si. piega, e '1 capo al colpo invola : Coglie il fedel Sigiero, il qual ricetta Profondamente il ferro entro la gola; Né gli rincresce, del suo caro duce Morendo invece, abbandonar la luce. LXXXI Quasi in quel punto Soliman percuote Con una sélce it cavalier Nonnando; E questi al colpo si contorce e scuote, E cade in giù, come paleo, rotando. Or più Goffredo sostener non puote L' ira di tante offese, e impugna il brando; E sovra la confusa alta mina Ascende, e muove ornai guerra vicina. LXXXII E ben ei vi facea inirabil cose,. E contrasti seguiano aspri e mortali; Ma fuori usci la notte, e '1 mondo ascose Sotto il caliginoso orror dell'ali, E r ombre sue pacifiche interpose Fra tante ire de' miseri mortali: Sicché cessò Goffredo e fé' ritorno. Cotal fine ebbe il sanguinoso giorno. •CANTO UNDECIMO 29 LXXXIII Ma pria che 1 pio Buglione il campo ceda, Fa indietro riportar gli egri e i languenti: £ già non lascia a' suoi nemici in preda L'avanzo de' suoi bellici tormenti: Pur salva la gran torre avvìén che rieda , Primo terror, delle nemiche genti, * Come che sia^dalF orrida tempesta . Sdrucita anch'essa in alcun loco e pesta« LXXXIV Da' gran perigli uscita ella sen viene Giungendo a loco ornai di sicurezza; Ma qual nave talor eh' a vele ]^iene Corre il mar procelloso e l'onde sprezza, Poscia in vista del porto, o sull'arene, O su i fallaci scogli un fianco spezza; O qual destrier passa le dubbie strade, E presso al dolce albergo incespa e cade; LXXXV Tale inciampa la torre; e tal da quella Parte che volse all' impeto de' sassi. Frange due rote debili, sìcch' ella Ruinosa pendendo arresta i passi : Ma le soppone appoggi, e la puntella Lo stuol che la conduce e seco stassi, Insin che i pronti fabri intomo vanno Sbando in lei d' ogni sua piaga il danno. 3o LA GERUSALEMMEr" LXXXVI Cosi Goffredo impone, il qual desia, Cile si racooQci innanzi al nnovo sole, Ed occupando questa e quella via, Dispon le guardie intomo all' alta mole: Ma 1 suon neUa città chiaro s' udia Di fabrili instrumenti e di parole, £ mille si vedean fiaccole accese, Onde seppesi il tutto e si coBoprese, LA GERUSALEMME LIBERATA CANTO DUODECIMO '^ ARGOMENTO Prima da un suofedel Clorinda ascolta Del suo notai T istoria^ e poi sen sviene Ignota al campo , a grande impresa volta^ Questa tragge ella a fin y indi s awiene In Tancredi ^ da cui t alma t è tolta ; Ma ben anzi il morir battesmo ottiene. Piange t estinta il prence. Argante giura Di dar a chi V uccise aspra sventura. Hira la notte, e noD prendean ristoro Col sonno ancor le faticose genti; Ma qui vegghiando nel £ibrìl lavoro Stavano i Franchi alla custodia intenti: £ là i Pagani le difese loro Gian rinforzando tremule e cadenti, £ reintegrando le già rotte mura; £ de' feriti era comon la cura* 32 LA GERUSALEMME II Cumte alfia le piaghe, e sia fornit^^ r DelF opere notturne era qualch' und, £ rallentando l' altre, al sonno invita L' ombra ornai fatta più. tacita e bruna. Pur non accheta la guerriera ardita L' alma d' onpr ^melica e digiuna^; E sollecita l' opre, ove altri cessa. Va seco Argante e dice dia a se stessa: III Ben oggi il re de' Turchi, e 1 buon Argante Fer maraviglie inusitate e strane. Che sdì uscir fra tante schiere e tante, £ vi spezzar le macchine Cristiane: Io (questo è il, sommo pregio onde mi vante ) D' alto rinchiusa oprai l' arme lontane , Sagittaria^ noi nego , assai felice. Dunque sol unto a donna, e più non lice ? Quanto me' fora in monte od in forèsta. Alle fere avventar dardi e quadretta ,> Ch' ove il maschio valor si mànifesu Mostramiiiquiimlcavalier donzdttaj • i Che non riprendo la femminea ìlfesia, / S' io ne soa idegjtia,» e non :mi diiudo iii tèella ? Così parla tra: se;: pensa e risolvei Alfin gran cose , ed al guerrìer si volve: CANTO DUODECIMO 33 V Buona pezza è^ signor^ che in se raggira Un non so che d' insolito e d' audace La mia mente inquieta : o Dio l' inspira , 0 r uom del suo voler suo Dio si face. Fuor del vallo nemico accesi mira 1 lumi: io là n'andrò con ferro e face, E la torre arderò: vogl' io, che questo Effetto segua: il ciel poi curi il resto. VI Ma s' egli avverrà pur che mia ventura INel mio ritomo mi rinchiuda il passo, D'uom, che in amor m*è padre, a te la cura £ delle care mie donzelle io lasso : Tu neir Egitto rimandar procura Le donne sconsolate , e 1 vecchio lasso. Fallo, per Dio, signor; che di pietate Ben è degno quel sesso, e quella 'etate. VII Stupisce Argante, e ripercosso il petto Da stimoli di gloria acuti sente: Tu là n'andrai, rispose, e me negletto Qui lascerai tra la volgare gente? E da secura parte avrò diletto Mirar il fìimo e la favilla ardente? No, no: se fui nell'arme a te consorte. Esser vuo' nella gloria e nella morte. T. Il 3 34 LA GERUSALEMME vili Ho core anch' io che morte sprezza, e crede Che ben si cambi coli' OQor la vita : Ben ne fesii, diss' ella, eterna fede Con quella tua si generosa uscita : Pur io femmina sono, e nulla rìede Mia morte in danno alla città smarrita: Ma se tu cadi (tolga il del gli augm-j) Or chi sarà che più difenda i muri? 1% Replicò il cavaliero: indarno adduci Al mio fermo voler fallaci scuse: Seguirò r orme tue, se mi condud, Ma le precorrerò, se mi recuse. Concordi al re ne vanno, U qual ira i dud, £ fra i più sa^ suoi gli accolse e chiuse. Incominciò ClcHinda: O sire^ attendi A ciò che dir vogliamti e in grado il prendi • X Argante qui (né sarà vano il vaAto) Quella macchina eccelsa arder proqiette : Io sarò seco, ed aspettiam sol tanto Che stanchezza madore il sonno alletta. Sollevò il re le palme, e un lieto pianto Giù per le crespe gnaode a lui cadette, E, lodato na tu, disse, eh' a i aervi Tuoi volgi gli occhi, 1 1 regno anco mi servi ^ CANTO DUODECIMO 35 XI Né già si tosto caderày se tali Animi £3rti in sua difesa or sono: Ma qual poss' io, coppia onorata, eguali Dar a i meriti vostri o laude o dono? liaudi la fama voi con immortali Voci di gloria, e 1 mondo empia del suono: Premio v* è V opra stessa, e premio in parte Vi fia del regno mio non poca pariet XII Si parla il re canuto, e si ristringe Or questa or quel teneramente al seno, n soldan, eh' è presente e non infinge La generosa invidia onde egli è pieno. Disse: né questa spada invan si dnge: Verrawi a paro, o poco dietro almeno. Ah, rispose Clorinda, andremo a questa Impresa tutti? e se tu vieu, chi resta? XIII Cosi gli disse; e con rifiuto altero Già s' apprestava a ricusarlo Argante; Ma 1 re fl prevenne, e ragionò primiero A Soliman con placido sembiante : Ben sempre tu, magnanimo guerriero. Ne ti mostrasti a te stesso sembiante, Cui nulla faccia di periglio unquauco Sgomentò, né mai festi in guerra stanco. 36 LA GERUSALEMME XIV E so che fuora andando opre faresti Degne di le ; ma sconvenevol parmi Che tutti usciate y e dentro alcun non resti Di voi, che sete i più famosi in armi: Né men consentirei che andasser questi, Che degno è il sangue lor che si risparmi, ^Se o men jitii tal opra, o mi paresse Che fornita^ per altri esser potesse. XV Ma poiché la gran torre in sua difesa D'ogni intorno le guardie ha cosi folte, Che da poche mie genti essere offesa Non puote, e inopportuno è uscir con molte f La coppia che s'^ offerse* all' alu impresa, E in simil rischio si trovò più volte, Vada felice pur; eh' ella é ben tale. Che sola più che mille insieme vale. XVI Tu, come al regio onor più si conviene, ' Con gli altri, prego, in sulle porte attendi: E quando poi (che n'ho sicura spene) Ritornino essi , e desti abbian gì' incendj , Se stuol nemico seguitando viene. Lui risospingi, è lor salva e difendi. Così r un re diceva, e l' altro cheto Rimaneva al suo dir, ma non già lieto. CANTO DUODECIMO 37 XVII Soggiunse allora Ismeno : attender piaccia A voi eh' uscir dovete, ora più tarda; Sin che di varie tempre un misto i' faccia Ch' alla macchina ostil s' appigli e l' arda. Forse allora avverrà che parte giaccia Di quello stuol che la circonda e guarda. Ciò fu concluso, e in sua magion ciascuno Aspetta il tempo al gran fatto opportuno. XVIII Depon Clorinda le sue spoglie inteste D' argento, e Y elmo adomo, e V armi altere: E senza piuma o fregio altre ne veste (Infausto annunzio) rugginose e nere; Però cKe stima agevolmente in queste Occulta andar fra le nemiche schiere. È quivi Arsete eunuco, il qual fanciulla La nudrì dalle fasce e dalla culla; XIX E per r orme di lei Y antico fianco D'ogni intomo traendo or la seguia: Vede costui l'arme cangiate, ed anco Del gran rischio s'accorge ove ella già; E se n' affligge, e per lo crin, che bianco In lei servendo ha fatto, e per la pia Memoria de' suo' ufficj instando, prega Che dall' impresa cessi; ed ella il nega. 38 LA GERUSALEMME XX Ond'ei le disse alfia: poiché ritrosa Si la tua mente nel suo mal s' indura, Che né la stanca età, uè la pietosa Voglia, né i preghi miei, né il pianto cura; Ti spiegherò più oltre, e saprai cosa Di tua condizìon, che t^ era oscura: Poi tuo desir ti guidi, o mio consiglio ; £ì segue, ed ella innalza attenta il ciglio . XXI Resse già V Etiopia, e forse regge Senapo ancor, con fortunato impero, n qual del Figlio di Maria la legge Osserva, e l' osserva anco il popol nero. Quivi io pagan fui servo, e fili tra gregge D' ancelle avvolto in femminil mestiero, Ministro fatto della regia moglie. Che bruna é si , ma il bruno il bel non toglie. XXII N' arde il marito , e dell' amore al foco Ben della gelosia s agguaglia il gelo: Si va in guisa avanzando appoco appoco Nel tormentoso petto il fpUe zelo. Che da ogin uom la nasconde: in chiuso loco Vorria celarla a i tanti occhi del cielo. Ella saggia ed umil, di ciò ohe piace Al suo signor, fa suo diletto e pace. CANTO DUODECIMO 39 XXIII D'una pietosa istoria, e di devote Figure, la sua stanza era dipinta. Yergine bianca il bel volto, e le gote Yermiglia, è quivi presso un drago avvinta. Coir asta il mostro un cavalier percuote: Giace la fera nel suo sangue estinta. Quivi sovente ella s' atterra, e spiega I^ sue tacite colpe, e piange e prega. XXIV Ingravida frattanto, ed espon fuori (E tu fosti colei) candida figlia. Si turba, e degl' insoliti colori. Quasi d' un nuovo mostro, ha maraviglia: Ma perchè il re conosce, e i suoi iurorì , Celargli il parto alfin si riconsiglia; Ch' egli avria, dal candor che in te si vede. Argomentato in lei non bianca fede ; XXV Ed in tua vece una fanciulla nera Pensa mostrargli, poco innanzi nata: E perchè fu la torre ove chius' era Dalle donne e da me solo abitata; A me, che le fui servo e con sincera Mente V amai , ti die non battezzata; Né già poteva allor battesmo darti, Che r uso noi sostien di quelle parti. 49 LA GERUSALEMME XXVI Piangendo a me ti porse, e mi commise Gh* io lontana a nudrir ti conducessi. Ghi può dire il suo affanno, e in quante guise Lagnossi, e raddoppiò gli ultimi amplessi? Bagnò i baci di pianto, e fur divise Le sue querele da i singulti spessi. Levò alfìn gli occhi, e disse: o Dio, che scerni L' opre più occulte e nel mio cor t' interni, XXVII Se imraaculato è questo cor, se intatte Son queste membra e 1 maritai mio letto, Per me non prego, che mille altre ho fatte Malvagità; son vile al tuo cospetto: Salva il parto innocente, al qual il latte Nega la madre del materno petto. Viva, e sol d' onestate a me somigli : L' esempio di fortuna altronde pigli. XXVIII Tu, celeste guerrier, che la donzella Togliesti del serpente agli empi morsi, S'accesi ne' tuo' altari umilfacella, S' auro o incenso odorato unqua ti porsi , Tu per lei prega si, che fida ancella Possa in ogni fortuna a te raccorsi. Qui tacque, el cor le si rinchiuse e strinse, E di pallida morte si dipinse. CANTO DUODECIMO 4i XXIX ' Io piangendo ti presi , e in breve cesta Fuor ti portai tra fiori e frbndi ascosa: Ti celai da ciascun , che né di questa Diedi sospètto altrui né d'altra cosa. Me n' andai sconosciuto, e per foresta Camminando di piante orride ombrosa. Vidi una tigre, che minacce ed ire ^vea negli occhi, incontr a ine venire. XXX Sovra un albero i' salsi, e te sull'erba Lasciai, tanta paura il cor mi prese. Giunse l'orribil fera, ^ la superba Testa volgendo in te , lo sguardo intese. Mansuefece, e raddolcio l'acerba Vista con atto placido e cortese: Lenta poi s'avvicina, e ti fa vezzi Colla lingua, e tu ridi e T accarezzi. XXXI Ed, ischerzando seco, al fero muso La pargoletta man sicura stendi. Ti porge ella le mamme e, come è l'uso Di nutrice, s'adatta, e tu le prendi. Intanto io miro timido e confuso. Come uom faria, nuovi prodigj orrendi: Poi che sazia ti vede omai la belva Del suo latte, ella parte e si riusciva: 4» LA GERUSALEMME XXXII Edio giù scendo e ti ricolgo, • torno Là 've prima fiir volti i passi miei; E preso in picciol borgo alfin soggiorno , Gelatamente ivi nutrir ti fei. Vi stetti insin chel sol correndo intorno Portò a' mortali e dieci mesi e sei: Tu con lingua di latte anco snodavi Voci indistinte, e incerte orme segnavi. XXXIII Ma sendo io cola giunto ove dechina L' etate ornai cadente alla vecchiezza, Ricco, e sazio dell'or che la regina Nel partir diemmi con regale ampiezza, Da quella vita errante e peregrina, Nella patria ridurmi ebbi vaghezza : E tra gli antichi amici in caro loco Viver, temprando il verno al proprio foco. XXXIV * Partomi, e ver l'Egitto, ove son nato, Te conducendo meco, il corso invio; E giungo ad un torrente, e riserrato Quinci dai ladri son, quindi dal ria Che debbo far? te ddce peso amato Lasciar non voglio , e di campar desio. Mi gitto a nuoto, ed una man ne viene Romi)endo Tonda, e te T altra sostiene. CANTO DUODECIMO 43 XXXV Rapidissimo è il oorso, e in mezzo l'ondt In se medesma isi ripiega e gira: Ma giunto ove più volge e si profonda. In cerchio ella mi torce e giii mi tira» Ti lascio allor; ma t'alza, e ti seconda L'acqua, e secondo all'acqua il vento spira ^ £ t'espon salva in sulla iiK>Ue arena; Stanco anelando io poi vi giungo appena. XXXVI Lieto ti prendo; e poi la notte, quando Tutte in alto silenzio eran le cose, Vidi in sogno un guerrier che minacciando A me sul volto il ferro ignudo pose. Imperioso disse : io ti comando Ciò che la madre sua primier t'impose. Che battezzi l' infante: ella è diletta Del cielo, e la sua cura a me s'aspetta. xxxvii Io la guardo e difendo : io spirto diedi Di pietate aUe fere, e mente all'acque. Misero te se al sc^no tuo non credi Ch'è del del messaggiero; e qui si tacque. Svegliaimi e sorsi , e di là mossi i piedi, Come del gioroo il primo raggio nacque: Ma perchè mìa fè vera e l' ombre false Stimai^ di tuo battesmK> a me non calse. 44 LA GERUSALEMME XXXVIII Né de' preghi materni; onde nudrìta Pagana fosti , e 1 vero a te celai. Crescesti, e in arme valorosa e ardita, Vincesti il sesso e la natura assai: Fama e terre acquistasti; e qual tua vita Si^ stata poscia tu medesma il sai: E sai non men che servo insieme e padre, Io t'ho seguita fra guerriere squadre. XXXIX ler poi sull'alba alla mia mente, oppressa D' alta quiete e simile alla morte, Nel sonno s'offerì l'imago stessa. Ma in più turbata vista, e in suon più forte: Eceo, dicea, fellon; l'ora s'appressa Che dee cangiar Clorinda e vita e sorte : Mia sarà mal tuo grado, e tuo fia il duolo. Ciò disse; e poi n'andò per l'aria a volo. XL Or odi dunque tu, che '1 ciel minaccia A te, diletta mia, strani accidenti. Io non so: forse a lui vien che dispiacda Ch'altri impugni la fé de' suoi parenti: Forse è la vera fede. Ah giù ti piaccia Depor quest'arme e questi spirti ardenti. Qui tace, e piagne; ed ella pensa e teme, Ch'un altro simil sogno il cor le preme. CANTO DUODECIMO 4^ XLI Rasserenando il volto alfin gli dice: Quella fè seguirò che .vera or parmi , Che tu col latte già della nutrice Su^r mi festi , e die vuoi dubbia or farmi : Né. per temenza lascerò ( né lice A magnanimo cor ) Y impresa e Farmi: Non se la morte , nel più. fer sembiante Che sgomenti i mortali, avessi innante. XLII Poscia il consola; e perchè il tempo giunge Ch' ella deve ad effetto il vanto porre.. Parte, e con quel guerrier si riconglungie Che si vuol seco al gran perìglio esporre. Con lor s'aduna Ismeno, e instiga e punge Quella virtù che per se stessa corre; £ lor porge di zolfo e di bitumi Due palle, e 'n cavo rame asepsi lumi. XLIII Escon notturni e piani, e per lo colle Uniti vanno a passo lungo e spesso. Tanto che a quella parte ove s'estoUe La macchina nemica ornai son presso. Lor s'infiamman gli spirti, e 1 cor ne bolle, Né può tutto capir dentro a se stesso: Gl'invita al foco al sangue un fero sdegno. Grida la guardia, e lor dimanda il segna .46 LÀ GERUSALEMME XLIT Essi van cheti itmanzi; onde la gnarda All' arme y all' arme, in aito guan raddoppia : Ma più non si nasconde, e non è tarda AI corso allor la gederosa coppia. In quel mòdo che fulmine o bombarda, Gol lampe^ar tuona in un punto e scoppia ^ Muovere ed ai^rivar, ferir lo stuolo, Aprirlo e penetrar, fu uà ponto sólo. £ forza è pur che fra miU'arme^ e mille iPercosse , il lòr disegno alfin riesca. Scoprite i chiusi lumi, e le fiiville S' apprese!- tosto all' aceensibil esca, Gh' a i legni poi Tarvotse e oampartiUe. Chi può dir come serpa e come cresca Già da più lati il foco? e come folto Turbi il fìimó alle stelle il puro vdko^ iLvr Vedi globi di fiamme oscure e miste, Fra le ròte del fumo, in del girarsi. n vento sóMa, e vigor fa ch'acquiste L* incendiò, e iù un raccòlga ì fochi sparsi. Fere il gran lume con terroi^ le iriste De' Franchi, e tutti son presti ad armarsi. La mòle immensa e 6\ temuta in guerra Cade, e breve ora opre si lunghe atrerra. CANTO DUODECIMO 4? XLVII Due squadre de' cristìaiii intapto al loco Dove sorge l' inoendìo accorron fronte. Minaccia Argante: io spegnerò quel foco Col vostro sangue y e volge lor la fronte. Pur ristretto a Clorinda a poco a poco Cede, e raccoglie i passi a sommo il monte: Cresce più che torrente a lunga pioggia La turba, e gli rincalza, e con lor poggia» XLVIII Aperta è l'aurea porta, e quivi tratto È il re, ch'armato il popol suo circonda. Per raccorre i guerrier da si gran fatto. Quando al tornar fortuna abbian seconda. Saltano i due sul limitare, è ratto Di retro ad essi il Franco stuol v' inonda; Ma l'urta è scaccia Solimano, e diiusa È poi la pòrta , e sol Clorinda esclusa. XLIX Sola esclusa ne fu, perchè in quell'ora Ch' altri serrò le pòrte, ella si mosse E corse ardente e idcinideliu. fora A punire Arimon che la percosse: Punillo} e '1 fero Argante avvisto ancora Non s'era ch'ella si trascorsa fosse; Che la pugna' e la calca e l'aer denso, A i cor togliea la cura, agli occhi il senso. 48 LA GERUSALEMME Ma poi che intepidì la mente irata I^el sangue del nemico e in se rinvenne^ Vide chiuse le porte, e intorniata Se da' nemici, e morta attor si tenne: Pur veggendo dì' alcuno in lei non guata ^ Nov'arte di salvarsi le sovvenne: Dilor gènte s'infinge, e fra gl'ignoti Cheta s'avvolge^ e non è chi la noti. LI Poi, come lupo tacito s'imbosca Dopo occulto misfatto, e si desvia; Dalla confusion, dall'aura fosca Favorita e nascosa ella sen già. Solo Tancredi awien che lei conosca: Egli quivi è sorgiunto alquanto pria; Vi giunse allor ch'essa Arimone uccìse: Vide e segnolla , e dietro a lei si mise. LII Vuol nell'armi provarla : un uom la stima Degno, a cui sua virtù si paragone. Va girando colei ralj)estre cima Verso altra porta, ove d' entrar dispone. Segue egli impetuoso; onde assai prima Che giunga , in guisa awien che d' armi suona Ch'ella si volge, e grida: o tu che porte, Che corri si? risponde: gaerra e morte. CANTO DUODECIMO 49 LUI Guerra e morte avrai, disse , io non rifiuto Darlati, se la cerchi; e ferma attende. Non vuol Tancredi, che pedon veduto Ha il ^uo nemico , usar cavallo, e scende : . E impugna l'uno e T altro il ferro acuto, Ed aguzza l'orgoglio e l'ire accende; E vansi a ritrovar non altrimenti Che duo tori gelosi e d'ira ardenti ^ LIV Degne d' un chiaro sol, degne d'un pieno Teatro, opre sarian sì memorande. Notte, che nel profondo oscuro s^no Chiudesti e nell'oblio fatto si grande, Piacciati ch^io nel tragga, e in bel sereno Alle future età lo spieghi , e mande. Viva la £mia loro e tra lor gloria Splenda del fosco tuo l'alta memoria. i-V Non schivar, non parar, non ritirarsi Voglion costor, né qui destrezza ha parte. Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi: Teglie r ombra e '1 furor l'u^ dell'arte. Odi le spade ombilmente urtarsi A mezzo il ferro; il pie d'orma non parte: Sempre è il pie fermo, e la nian sempre in moCo^ Né scende taglio invan, né punta a voto. T. IL . 4 So LA GERUSALEMMB I/onta irrita lo sdegno alla vendetta^ £ la vendetta poi Foata rinnuova; Onde sempre al ferir, sempre alla fretu Stimol nuovo s'aggiunge, e cagion nuova. D'or in or più si mesce, e più ristretta Si. fa la pugna, e spada oprar non giova; Dansi cx>'ponu e, infelloniti e crudi, Cozzan con gii elmi insieme e con gli scudi. LVII Tre voke il cavalier la donna stringe Colle robuste braccia, ed altrettante Da que' nodi tenaci ella si scinge, jVodi di fier nemico, e non d' amante. Tornano al ferro, e l'uno e l'altro il tinge Con molte piaghe, e stanco ed anelante E questi e quegli alfin pur si rìtira^ £ dopo lungo faticar respira. LVIII L'un l'altro guarda, e d^lsuo corpo esangue Sul pomo della spada appoggia il peso. Già dell'ultima stella il raggio langua Al primo albor eh* è in oriente acceso. Vede Tancredi in maggior copia il sangue Del suo nemico ) e se non tanto offeso: JN^e gode, e sujierfaisce. Oh nostra folle Mente, ch'ogni aura di fortuna estolle! CANTO DUODECIMO 5i LtK Misero, di che godi? oh quanto mesti Fiano i trionfi ed infelice il vanto! Gli occhi tuoi pagheran ( se in vita resti ) Di quel sangue ogni stilla un mar di pianto. Cosi tacendo e rimirando , questi Sanguinosi guerrìer cessaro alquanto^ Rup]ìe il silenzio alfin Tancredi , e disse, Perchè il suo nome a lui V altro scoprisse: LX Nostra sventura è ben che qui s' impieghi Tanto valor, dove silenzio il copra; Ma poidiè sorte rea vien che ci ne^i £ lode, e testimon degno dell'opra^ Pregoti ( se fra Tarme han loco i preghi ) Che '1 tuo nome e '1 tuo stato a me si scopra; Acciocch' io sappia o vinto, o vìncite ve, Chi la mia morte, o la vittoria onore. LXI Risponde là feroce: indarno chiedi Quel ch'ho per uso di non far palese: Ma chiunque io mi sia, tu innan2i vedi Un di qite'due, che la gran torre accese. Arse di sdegno a quel parlar Tancredi , E, in mal punto il dicesti, indi riprese! n tuo dir e 1 tacer di par m' illetta , Barbaro discortese , sih vendetta» 52 LA GERUSALEMME LXII Toma Tira ne' cori e gli trasporta, Benché debili, in guerra. Oh fera pugna, U' l'arte in bando, u'già la forza è morta: Ove in vece d'entrambi il furor pugna! Oh che sanguigna e spaziosa porta Fa l'una e T altra spada, ovunque giugna Neil' armi e nelle carni! e se la vita Non esce, sdegno tienla al petto unita, LXIII Qual l'aitò Egeo, perchè Aquilone o Notò Gessi, che tutto prima il volse e scosse. Non s'accheta però, ma '1 suono e '1 moto Ritien dell' onde anco agitate e grosse ; Tal , sebben manca in lor col sangue voto Quel vigor che le braccia a i colpi mosse, Serbano ancor l'impeto primo, e vanno Da quel sospinti a giunger danno a danno. Ma ecco òmai l'ora fatale è giunta Che '1 viver di Clorinda al suo fin deve: Spinge ^li il ferro nel bel sen di punta. Che vi 8 immei^e, e '1 sangue avido beve; £ la veste che d'or vago trapunta Le mammelle strìngea tenera e leve, L' empie d'un caldo fiume: ella già sente Morirsi, e'I pie le manca egro e languente. CANTO DUODECIMO 53 LXV Segue egli la vittoria, e la trafitta Vergine, minacciando , incalza e preme: Ella, mentre cadea, la voce afflitta Movendo , disse le parole estreme, Parole eh' a lei novo un spirto ditta, Spirto di fé, di carità, di speme: Virtù eh' or Dio le infonde ; e se rubella In vita fu, la vuole in morte ancella. LXVI , Amico hai vinto; io ti perdon: perdona Tu ancora , al corpo no che nulla pavé, All' alma sì: deh per lei prega, e dona Battesmo a me eli' ogni mia colpa lave. In queste voci languide risuona Un non so che di flebile e soave, Ch' al cor gli scende, ed ogni sdegno ammorza, £ gli occhi a lagriinar gì' invoglia e sforza. LXVII Poco quindi lontan nel sen del monte Scaturia mormorando un picciol rio : Egli v' accorse, e l' elmo empiè nel fonte, E tornò mesto al grande ufficio e pio. Tremar senti la man, mentre la fronte, !Non conosciuta ancor , sciolse e scoprio. La vide, la conobbe; e restò senza £ voce, e moto. Ahi vista! ahi conoscenza! 54 LA GERUSALEMME Lxvm NoQ morì già; ohe sue vinati accolse Tutte in quel punto ^ e in guardia al cor le mise E, premendo il suo affanno, a dar si volse Viia coir acqua a chi col ferro uccise. Mentre egli il suon de' sacri detti sciolse, Colei di gioia trasmutossi, e rise: E in atto di morir lieto e vivace Dir parea: s'apre il cielo, io vado in pace. LXIX D'un bel pallore ha il liianco volto asjierso^ Come a' gigli sarian miste viole; E gli occhi al cielo affisa, e in H converso Sembra per la pietate il cielo e 1 sole; £ la man nuda e fredda alzando verso Il cavaliero, in vece di parole, Gli dà pegno di pace: in questa forma Passa la bella donna, e par che donna. Come r alma gentile uscita ei vede. Rallenta quel vigor eh' avea raccolto, £ r imperio di se libero cede Al duol già £aro impetuoso e siolto Ch' al cor si stringe, e chiusa in breve sede La vita, empie di morte i sensi e '1 volto. Già simile all' estinto il vivo langue Al colore, al silenzio, agli atti, al sangue. CANTO DUODECIMO SS LXXI E ben la vita sua sdegnosa e schiva, Spezzando a forza il suo ritegno frale, La bella anima sciolta alfin seguiva, Che poco innanzi a lei spiegava l'ale; Ma quivi stuol de' Franchi a caso arriva, Cui trae bisogno d' accpa, o d' altro tale, E con la donna il cavalier ne porta In se mal vivo, e morto in lei eh' è morta; Però che 1 duce loro ancor discosto Conosce all'arme il principe cristiano; Onde v^ accorre, e poi ravvisa tosto La vaga estinta, e duolsi al caso strano* E già lasciar non vuole a i lupi esposto Il bel corpo, che stima ancor pagano; Ma sovra V altrui braccia ambi gli pone^ E ne vien di Tancredi al padiglione. LXXIIl Affatto ancor nel piano e lento moto Non si risente il cavalier ferito; Pur fievolmente geme, e quinci è notp ( ihe '1 suo corso vital non è fornito : Ma r altro corpo tacito ed immoto. Dimostra ben che n* è lo spirto uscito. Così portati e V uno e V altro appresso^ Ma in diflEerente stanza alfine è messo. 56 LA GERUSALEMME LXXIV I pietosi scudier già sofiio intorno Con varj ufficj al cavalier giacente; E già sen riede a i languidi occhi il giorno ^ £ le mediche mani e i detti ei sente ; Ma pur, dubbiosa ancor del suo ritorno, Non s' assicurai attonita la mente. Stupido intomo ei guarda, e i servì e 1 loco Alfib conosce, e dice afilitto e fioco: LXXV Io vivo? io spiro ancora? e gli odiosi Rai miro ancor di questo infausto die? Dì testimon de' miei misfatti ascosi, Che rimprovera a me le colpe mie. Ahi man timida e lenta, or che non osi, Tu che sai tutte del ferir le vie. Tu ministra di morte empia ed infame , Di questa viu rea troncar lo stame? LXXVI Passa pur questo petto, e fieri scempj Col ferro tuo crudel fa' del mio core: Ma forse, usata a fatti atroci ed empj , Stimi pietà dar morte al mio dolore. Dunque i* vivrò tra' memorandi esemp} Misero mostro d' infelice amore? Misero mostro, a cui sci pena è degna Dell' immensa impietà la vita indegna. CANTO DUODI^CIMO 57 Lxxvn Vivrò fra i miei tormenti , e fra le cure^ Mie giuste furie; forseanato, errante, Paventerò V ombre solinghe e scure, Che '1 pimo error mi recheranno innante; £ del sol, che scopri le mie sventure, A schivo ed in orrore avrò il sembiante. Temerò me medesmo e, da me stesso Sempre fuggendo, avrò me sempre appresso* LXXVIII ,Ma dove ( o lasso me! ) dove restaro Le reliquie del corpo bello e casto? Ciò eh' in lui sano i miei furor lasciaro, Dal furor delle fere è forse guasto? Ahi troppo nobil preda! ahi dolce e caro Troppo, e pur troppo prezioso pasto! Ahi sfi>rtunato! in cui l' ombre e le selve Irf itaron me prima , e poi le belve. LXXIX Io pur verrò là dove sete, e voi Meco avrò, s* anco sete , amate spoglie; Ma s'egli avvien che i vaghi membri suoi Stati sian cibo di ferine voglie , Vuo' che la bocca stessa anco me ingoi , E 1 ventre chiuda me che lor raccoglie : Onorata per me tomba e felice, Ovunque sia, s' esser con lor mi lice. 58 LA GERUSALEMME liXXX Cosi parla qael misero; e gli è detm Ch'ivi quel corpo avean per cui si duole. Rischiarar parve il tenebroso aspetto, Qual le nubi un bden che passi e vole ; E da i riposi sollevò del letto L' inferma delle membra e tarda mole ; £ traendo a gran pena il fianco lasso, Colà ritolse vacillando il passo: LXXXI Ma come giunse e vide in quel bel seno ^ Opera di sua man, l' empia ferita E, quasi un ciel notturno anco sereno Senza splendor, la faccia scolorita; Tremò cosi che ne cadea , se meno Era vicina la fedele aita. Poi disse: o viso, che puoi far la morte Dolce , ma raddolcir non puoi mia sorte , LXXXII O bella destra, che 1 soave j)egno D' amicizia e di pace a me ])orgesti , Quali or (lasso! ) vi trovo, e qual ne vegno? E voi leggiadre membra, or non son questi Del mio ferino e scellerato sdegno Vestigj miserabili e funesti? O di par colla man luci spietate ! Essa le piaghe fé', voi le mirate. CANTO DUODECIMO Sg LXXXIII Asciutte le mirate? Or corra , dove Nega d'andare il pianto, il sangue mio. Qui tronca le parole; e come il muove Suo disperato di morir desio, Squarcia le fasce e le ferite, e piove Dalle sue pi;)ghe esacerbate un rio; £ s' uccidea ; ma quella dc^lia acerba. Col trarlo di se stesso, in vita il serba* LXXXIV Posto sul letto , e V anima fugace Fu richiamata agli odiosi officj; Ma la garrula fama omai non tace L' aspre sue angoscie , e i suoi casi infelici : Vi tragge il pio Goffredo , e la verace Turba v' accorre de' più degni amici; Ma né grave ammonir, né pregar dolce, U ostinato dell' alnìa affanno molce. LXXXV Qual in membro gentil piaga mortale Tocca s' inaspra, e in lei cresce il dolore , Tal da i dolci conforti in sì gran male Più inacerbisce medicato il core. Ma il venerabil Piero, a cui ne cale , Come d' agnella inferma a buon pastore , Con parole gravissime ripiglia n vaneggiar suo lungo , e lui consiglia : 6o LA GERUSALEMME LXXXVI O Tancredi , Tancredi, o da te stesso Troppo diverso, e da i principi tuoi, Chi sì t' assorda? e qual nuvol sì spésso Di cecità fa che veder non puoi ? Questa sciagura tua del cielo è un messo : Non vedi lui? non odi i detti suoi ? Che ti sgrida , e richiama alla smarrita Strada che pria segnasti , e te ì' addita ? LXXXVII Agli atti del primiero ufficio degno Di cavalier di Cristo ei ti rappella. Che lasciasti per farti (aiii cambio indegno!) Drudo d' una fanciulla a Dio rubella. Seconda avversità, pietoso sdegno \ Con leve sferza di lassù flagella Tua folle colpa, e fa di tua salute Te medesmo^ministro; e tu'! rìfiute? LXXXVIII Rifiuti dunque (ahi sconoscente!) il dono Del ciel salubre , e'ncontra lui t'adki? Misero dove corri in abbandono A i tuoi sfrenati e rapidi martirj ? Sei giunto, e pendi già cadente e prono, Sul precipizio etemo: e tu noi miri? Miralo, prego, e te raccogli , e frena Quel dolor eh' a morir doppio ti mena. CANTO DUODECIMO 6j LXXXIX Tace : e ia colui dell' un morir la tema Potè dell' altro intepidir la voglia. Nel cor dà loco a que' conforti , e scema L' impeto iniémo dell' intensa doglia^ Ma non così, che ad or ad or non gema,^ £ che la lingua a lamentar non scioglia , Ora seco parlando , or colla sciolta Anima, che dal ciel forse l'ascolta. xc Lei nel partir, lei nel tornar del sole Chiama con voce stanca, e. prega e plora; Come usignol, cui '1 villan duro invole Dal nido i figli non pennuti ancora. Che in miserabil canto af&itte e sole Piange le notti, e n'empie i boschi e l'ora: Alfin col nuovo dì rinchiude alquanto I litmi , e 'i sonno in lor serpe fra '1 pianto. xci Ed ecco in sogno di stellata veste Cinta gli appar la sospirata amica: Bella assai più ; ma lo splendor celeste Orna, e non toglie la notizia antica: £ con dolce atto di pietà, le meste Luci par che gli asciughi, e cosi dica: Mira come son bella e come lieta , Fedel mio caro, e in me tuo duolo acqueta. 62 LA GERUSALEMME X€II Tale i' son tua mercè: tu me dai vivi Del mollai mondo per error tc^liesti : Tu in grembo a Dio fra gì' immortali e divi, Per pietà, di salir degna mi festi. Quivi io beau amando godo , e quivi Spero che per te loco anco s' appresti; Ove al gran Sole, e nell' eterno die, Vagheggierai le sue bellezze e mie, xeni Se tu medesmo non t' invidj il cielo, E non travii col vaneggiar de' sensi. Vivi, e sappi eh' io t' amo, e non tei celo, Quanto più creatura amar conviensi. Cosi dicendo fianuneggiò di zelo Per ^ occhi, fuor del mortai uso accensi : Poi nel profondo de' suoi rai si chiuse E sparve, e nuovo in lui confoito infuse. xciv Consolato ei si desta, e si rimette De' medicanti alla discreta aita; E intanto sep})ellir fii le dilette Membra eh' informò già la nobil viu : E se non fìi di ricche pietre elette La tomba, e da man Dedala scolpita, Fu scelto almeno il sasso, e chi gli diede Figura^ quanto il tempo ivi concede. CANTO DUODECIMO 6à Quivi da £ici m lungo ordine accese Con nobil pompa accompagnar la feo; ' E le sue arme a un nudo pin sospese Vi spiegò sovra in forma di trofeo: Ma , come prima alzar le membra offese Nel dì seguente il oavalier poteo^ Di riverenza {Heno e di pietate , Visitò le sepolte ossa onorate. xcvi Giunto alla tomba, ove al suo spirto vive Dolorosa prigione il ciel prescrisse , Pallido, freddo, muto, e quasi privo Di movimento, al marmo gli occhi affisse. Alfin sgorgando un lagrimoso rivo. In un languido oimè proni p]>e, e disse: O sasso amato ed onorato tanto, Che dentro hai le mie fiamme e fuori il pianto, xcvii Non di morte sei tu, naa di vivaci Ceneri albergo, ove è riposto Amore: E ben sento io da te l'usate faci , Men dolci si, ma non men calde al core: Deh prendi i miei sospui , e questi baci Prendi, eh' io bagno di doglioso umore, E dagli tu, poich'io non posso, almeno All'amate reliquie ch'hai nel seno. 64 LA GERUSALEMME XCVill Dagli. lor tu: che se mai gli occhi gira L' anima bella alle sue belle spoglie , Tua pietate e mio ardir noa avrà in ira, Ch'odio o sdegno lassù non si raccoglie* Perdona' ella il mio fallo; e sol respira In questa speme il cor fra tante doglie. Sa ch'empia è sol la mano; e non l'è noia Che, se amando lei vissi, amando i' moia. Ed amando morrò : felice giorno, Quando che sia, ma più felice molto. Se, come errando or vado a te d'intorno, Allor sarò dentro al tuo grembo accolto. Faccian l'anime amiche in ciel soggiorno: Sia l'un cenere e l'altro in un sepolto: Ciò che '1 viver non ebbe abbia la morte. Oh (se sperar ciò lice ) altera sorte! e Confusamente si bisbiglia intanto Del caso reo nella rinchiusa terra: Poi s'accerta e divulga; e in c^ni canto Ddla rìttà smarrita il romor erra Misto di gridi e di femmineo pianto , Non altramente che se presa in guerra Tutta mini, e '1 foco e i nemici empj Volino per le case e per li tempj. CANTO DUODECIMO 65 CI Ma tutti gli occhi Arsète in se rirolve, Miserabil di gemito e d'aspetto. £i, come gli altri, in làgrime non solve H duol, che trop|)o è d'indurato affetto; Ma i bianchi crini suoi d'immonda polve Si sparge e brutta, e fiede il volto e 1 petto. Or mentre in lui volte le turbe sono, Ya in mezzo Argante, e parla in cotal suono: GII Ben volev'io, quando primier m'accorsi Che fuor si rìraanea la donna forte, Seguirla immantinente, e ratto corsi Per correr seco una medesma sorte. Che non feci, o non dissi? o quai non porsi Preghiere al re che fesse aprir le porte ? Ei me pregante, e contendente in, vano. Coli' imperio aifrenò che ha qui sovrano, Ciri Ahi che s'io allora usciva, o dal periglio Qui ricondotta la guerriera avrei, O chiusi, ov' ella il terren fé' vermiglio, Con memorabil fine i giorni miei. Ma che poteva io più? parve al consiglio Degli uomini altramente e degli Dei. Ella morì di ùtìsX morte; ed io Quant'or conviensi a me già non oblio. T. IL 5 66 LA GERUSALEMME civ Odi, Cperusalem, ciò che prometta Argante: odi! tu, cielo: e se in ciò manco , Fulmina sul mio capo: io là Vendetta Giuro di far neU' omicida Franco, Che per la costei morte a me s aspetta; Né questa spada mai depor dal fianco, Infin ch'ella a Tancredi il cor non passi, E 1 cadavero in£une a i corvi lassi. CT Cosi disse egC: e l'aure popolari Con applauso seguir le voci estreine. E, immag^ndo sol, temprò gli amari L'aspettata vendetta in quel die geme. O vani giuramenti! ecco coatrari Seguir tosto gli effetti all'alta speme: E cader questi in tenzoa pari estiato Sotto colui eh' ei fa già preso e vinto. LA GERUSALEMME LIBERATA CANTO DECIMOTERZO ARGOMENTO A custodir la seha Ismeno caccia Gli empi demonj ; e questi in strani mostri Con\^ersi , sol t aspetto lor discaccia Quei che vanper tagliar gli ombrosi chiostri. Vas^i Tancredi con sicura faccia; Ma pietà il tien cfì il suo senior non mostri. Il campo j cui so\^erchia arsura offende j Copiosa pioggia vigoroso rende. r/jLk cadde appena in cenere l' immensa Macchina espugtiatrìce deUe mura, Che 'n se nuovi argomenti Ismen ripensa, Perchè più resti la città sicura: Onde a i Frandìi impedir ciò che dispensa Lor di materia il bosco, egli procura; Tal che contra Sbn battuta e scossa y Torre nuova rifarsi indi non possa. < 68 LA GERUSALEMME II Sorge non lunge dlle cristiane tende , Tra solitarie valli, alta foresta, Foltissima di piante antiche , orrende Che spargon d'ogn'intomo ombra fimesta. Qui nell'ora che 1 sol più chiaro splende, È luce incerta e scolorita e mesta; Quale in nubilo ciel dubbia si vede, Se '1 di alla notte, o s'ella a lui succede. Ili Ma quando parte il sol qui tosto adombra INotte, nube, caligine, ed orrore Che rassembra infernal, elicgli occhi ingombra DI cecità, ch'empie di tema il core: Ne qui gregge od armenti, a' paschi , all' ombra Guida bifolco Diai, guida pastore; Ne v'entra peregrin, se non smarrito: Ma lunge passa, e la dimostra a dito. IV Qui s'adunan le streghe, ed il ino vago Con ciascuna di lor notturno viene: Vien sovra i nembi, e chi d'un fero drago ^ E chi forma d' un irco informe tiene : Concilio infanle, che Éillace' imago Suol allettar 4i d^'^^^B^' A celebra^,, OQU. pompe immonde. is.doz^Ké^ . I profani CQOMU{e, l'empi mim. / CANTO DECIMOTERZQ 69 V Così credeasi ; ed abitante alcuno Dal fero bosco mai ramo non svelse? Ma i Franclii il violar, perch'ei sol uno Somministrava lor macchine eccelse. Or qui sen venne il mago, e l'opportuno Alto silenzio della notte scelse : Della notte che prossima successe , E suo cerchio formowi e i segni impresse ; VI E scinto, e nudo un pie nel cerchio accolto, Mormorò potentissime parole. Girò tre volte aU' oriente il volto, Tre volte ai regni ove dechina il sole: E tre scosse la verga, ond'uom sepolto Trar della tomba e dargli moto suole; E tre col piede scalzo il suol percosse; Poi con terribil grido il parlar mosse: VII Udite, udite, o voi che dalle stelle Precipitar giù i folgori tonanti : Sì, voi che le tempeste e le procelle Movete, abita tor dell'aria erranti; Come voi che alle inique anime felle Ministri sete degli eterni pianti : Cittadini d' A verno, or qui v'invoco, E te, signor de' regni emp] del foco. 70 LA GERUSALEMME vili Prendete ia guardia questa selva, e queste Piante, che numerate a voi consegno. Come il corpo è dell'alma albergo e veste, Così d'alcun di voi sia ciascun legno, Onde il Franco ne fugga, o almen s'arrcste Ne' primi colpi, e tema il vostro sdegno. Disse: e quelle, ch'aggiunse prrìbil note, Lingua, s'empia non è, ridir non puote. IX A quel parlar le faci, onde s'adorna n seren della notte, egli scolora: E la luna si turba, e le sue coma Di nube avvolge, e non appar più fuora. Irato i gridi a raddoppiar ei torna : Spirti invocati, or non venite ancora? Onde tanto indugiar? forse attendete Voci ancor più potenti, o più scerete? X Per lungo disusar già non si scorda Dell'arti crude il più efficace aiuto: E so con lingua anch'io di sangue lorda Quel nome proferir grande e temuto, A cui né Dite mai ritrosa o sórda, Né trascurato in ubbidir fa Pluto. Che sì? che si? volea più dir; ma intanto j Conobbe ch'eseguito era l' incanto. CANTO DECIMOTERZO 71 XI Veniano ìnnumerabili, iafiniti Sjpirti, parte che in aria alberga ed erra, Pane di quei che son dal fondo asciti Caliginoso e tetro della terra : Lenti , e del gran divieto anco smarriti Che impedi loro il trattar l' arme in guerra; Ma già venirne qui lor non si toglie , E ne' tronchi albergare e tra le fc^e. XII n mago,' poi ch'omai nulla pili manca Al suo disegno, al re lieto sen riede: Signor, lascia ogni dubbio e 1 cor rinfranca, Ch' ornai sicura è la regal tua sede; Né potrà rinnovar pii l' oste Franca L'alte macchine sue, come ella crede. Così gli dice, e poi di parte in parte Narra i successi dèlia magica arte. XIII Sc^giuDse appresso: or cosa aggiungo a queste Fatte* da me, eh' a me non meno aggrada: Sappi che tosto nel leon celeste Marte col sol fìa eh' ad unir si vada : Né tempreran le fiamme lor moleste Aure, o nembi di pioggia, o di rugiada: Che quanto in cielo appar^ tutto predice Aridissima arsura ed infelice. 72^ LA GERUSALEMME XIT / Onde qui caldo avrem qual l'haimo ap))cna Gli adusti Nasamoni^o i GarauiaDti. Pur a Doi fia men grave in città piena D' acque e d' ombre sì fresche e d' agi unti: Ma i Franchi in terra asciutta e non amena ^ Già non saranlo a tollerar bastanti; E pria donii dal cielo, agevolmente Fian poi sconfitti dall' Egizia gente. XV Tu vincerai sedendo, e la fortuna Non credo io che tentar più ti convegna ; Ma se 1 Circasso alter, che posa alcuna Non vuole, e benché onesta anco la sdegna, T' affretta, come suole, e t' importuna. Trova modo pur tu eh' a freno il tegna ; Che molto non andrà che 1 cielo amico A te pace darà, guerra al nemico. XVI Or questo udendo il re ben s' assicura , Sicché non teme le nemiche posse. Già riparate in parte avea le mura Che de' montoni Y impeto percosse: Contuttociò non rallentò la cura Di ristorarle ove sian rotte o smosse. Le turbe tutte, e cittadine e serve, S' impiegan qui : V opra continua ferve. CANTO DECIMOTERZO 73 xvti Ma in questo mezzo il pio Buglion lion vuole Che la forte cittade iavan si batta, Se non è prima la maggior sua mole, Ed alcuna altra macchina, rifatta; E i fabri al bosco invia che porger suole Ad uso tal pronta materia ed atta. Vanno costor suU' alba alla foresta; Ma timor nuovo al suo apparir gli ari'esta. XVIII Qual semplice bambin mirar non osa , Dove insolite larve abbia presenti; 0 come pavé nella notte ombrosa, finmaginando pur mostri e jx)rtenii ; Cosi temean, senza saper qual cosa Siasi quella \yevb che gli sgomenti; Se non che 1 timor forse a i sensi finge Maggior prodigj di chimera o sfinge. XIX Torna la turba, e timida e smarrita, Varia e confonde sì le cose e i detti , Ch' ella nel riferir n è poi schernita , Né son creduti i mostruosi effetti. Allor vi manda il capitano ardita E forte squadrai di guerrieri eletti, Perchè sia scorta all' altra, e in eseguire 1 magisteri suoi le porga ardire. 74 LA GERUSALEMME XX Questi appressando ove lor seggio han posto Gli empi dèmoAJ in quel selvaggio orrore, Non rimirar le nere ombre sì tosto , Che lor si scosse e tornò ghiaccio il core: Pur oltre ancor sen gian , tenendo ascosto Sotto audaci sembianti il vii timore ; £ tanto s' avanzar, che lunge poco Erano ornai dall'incantato loco. XXI Esce allor della selva un suon repente Che par rimbombo di terren che treme; E 1 mormorar degli austri in lui si sente , E 1 pianto d' onda che fra scogli geme: Come rugge il leon, fischia il serpente, Come urla il lupo, e come V orso freme, V odi ; e v' odi le trombe , e v' odi il tuono ; Tanti e si fatti suoni esprime un suono. XXII In tutti allor s' impallidir le gote, E la temenza a mille segni apparse: Né disciplina tanto, o ragion puote, Ch'osin di gire innanzi, o di fermarse; Ch' air occulta virtù che gli percuote, Son le difese loro anguste e scarse. Fuggono alfine; e un d' essi, in cotal guisa Scusando il fatto, il pio Buglion n'avvisa: CANTO DECIMOTERZO 75 XXIII Signor, non è di noi chi più si vante Troncar la selva; eh' ella è si guardata, Ch' io credo ^ e '1 giurerei, che in quelle piante^ Abbia la reggia sua Pluton traslata. Ben ha tre volte e più d' aspro diamante Ricinto il cor chi intrepido la guata : Né senso v' ha colui eh' udir s' arrischia Come tonando insieme rugge e fischia. XXIV Così costui parlava. Alcasto v' era, Fra molti che l' udian, presente a sorte: Uom di temerità stupida e fera, Sprezzator de' mortali e della morte; Che non avria temuto orrìbil fera. Né mostro formidabile ad uom forte. Né tremoto, né folgore, né vento, Né s' altro ha il mondo più di violento. .XXV Crollava il capo e sorridea, dicendo: Dove costui non osa, io gir confido: Io sol quel bosco di troncar intendo Che di torbidi sogni é fatto nido. Già noi mi vieterà fantasma orrendo. Né di selva o d' augei fremito o grido; O pur tra quei si spaventosi chiostri D' ir neir inferno il varco a me si mobili. 76 LA GERUSALEMME XXMI Colai si vanta al capitano, e tolta Da lui licenza, il cavalier s' invia; ' E rimira la selva, e }K)scia ascolta Quel che da lei nuovo rimbombo uscia ; Né però il piede audace indietro volta, Ma sicuro e sprezzante è come pria : E già calcato avrebbe il suol difeso, Ma gli s' oppone, o pargli, un fuoco acceso. XXVII Cresce il gran fuoco, e n forma d'alte mur.i Stende le fiamme torbide e fumanti, ' E ne cinge quel bosco, e l'assicura Ch'altri gli alberi suoi non tronchi o schianti. Le maggiori sue fiamme hanno figura Di castelli superbi e torreggianti; E di tormenti bellici ha munite Le rocche sue questa novella Dite. xxvm O quanti appajon mostri armati in guarda Degli alti merli , e in che terribil faccia. De' quai con occhi biechi altri il riguarda, E dibattendo l' arme altri il minaccia! Fugge egli alfine, e ben la fuga è tarda, Qual di leon che si ritiri in caccia; Ma pure è fuga; e pur gli scuote il petto Timor, sin a quel punto ignoto affetto. / CANTO DECIMOTERZO 7 7 ^ XXIX Non s'avvide esso allor d' aver temuto; Ma fatto poi lontan ben se n accorse , E stiipor n'ebbe e sdegno, e dente acuto D' amaro pentimento il cor gli morse ; E di trista vergogna acceso e muto , Attonito in disparte i passi torse ; Che quella faccia alzar, già si orgogliosa ^ Nella luce degli uomini non osa.^ XXX Chiamato da Goffredo indugia , e scuse Trova all'indugio, e di restarsi agogna: Pur va, ma lento, e tien le labbra chiuse , O gli ragiona in guisa d' uom che sognÀ. Difetto e Alga il capitan concluse In luì da quella insolita vergogna. Poi disse: Or ciò che fia? forse prestig] Son questi, o di natura alti prodigj? XXXI Ma s' alcun v'è, cui nobil voglia accenda Di cercar que'salvatichi soggiorni, Vadane pure, e la ventura imprenda , E nunzio almen più certo a noi ritomi. Così disse egli ; e la gran selva orrenda Tentata fu ne' tre seguenti giorni Da i più famosi : e pur alcun non fua Che non fuggisse alle minacce sue. 78 LA GERUSALEMME XXXII Era il prence Tancredi intanto sorto A seppellir la sua diletta amica ^ E benché in volto sia languido e smorto, * £ mal atto a portar elmo o ìorìcsL ; NuUadimen , poiché '1 bisogno ha scorto j £i non ricusa il rischio o la fatica ; Che 1 cor vivace il suo vigor trasfonde Al corpo si, che par eh' esso n abbonde. XXXIII Yassene il valoroso in se ristretto , E tacito e guardingo , al rischio ignoto : E sostien della selva il fero aspetto, E 1 gran romor del tuono e del tremoto, E nulla sbigottisce j e sol nel petto Sente , ma tosto il seda , un picciol moto : Trapassa; ed ecco in quel silvestre loco Sorge improvvisa la città del foca XXXIV AUor s' arretra , e dubbio alquanto resta , Fra se dicendo : or qui che vaglion l'armi ? Nelle fauci de' mostri , e 'n gola a quesu Divoratrice fiamma andrò a gettarmi ? Non mai la vita, ove cagione onesta Del comun prò la chieda , altri risparmi ; xMa né prodigo sia d' anima grande Uom degno; « tale è bea chi qui la spande. CANTO DECIMOTERZO 79 XXXV Pur r oste che dirà s' indarno i'/riedo? Qual altra selva ha di troncar speranza? Kè intentato lasciar vorrà Goffredo Mai questo varco ; or d'oltre alcun s'avanza^ Forse T incendio che qui sorto i' vedo, Fia d'effetto minor che di sembianza: Ma seguane che puote ; e in questo dire Dentro saltowi: oh memorando ardire! XXXVI Né sotto Tarme già sentir gli parve Caldo o fervor come di fuoco intenso; Ma pur, se fosser vere fiamnie o larve, Mal potè giudicar sì tosto il senso: Perchè repente, appena tocco, sparve Quel simulacro, e giunse un nuvol denso Che portò notte e verno ; e '1 verno ancora, E r ombra dileguossi in piccioF ora. XXXVII Stupido sì, ma intrepido rimane Tancredi; e poiché vede il tutto cheto. Mette sicuro il pie nelle profane SogUe, e spia della selva ogni secreto. Né più apparenze inusitate e strane, Né trova alcun per via scontro o divieto, Se non quanto per se ritarda il bosco La vista e i pasd, inviluppato e £>sco« So LA GERUSALEMME XXXVIII Alfine un lai*go spazio in forma scòrge. D'anfiteatro, e non è pianta in esso^ Salvo che nel suo mezzo altero sorge, Qoasì eccelsa piramide, un cipresso. Colà si drizza, e nel mirar s'accorge Ch'era di varj segni il tronco impresso, Simili a quei che in vece usò di scritto li' antico già misterioso Egitto» Fra i segni ignoti alcune note ha scorte Del sermon di Soria ch'ei ben possiede: O tu che dentro a i chiostri della morte Osasti por, guerriero audace, il piede. Deh, se non sei crudel quanto sei forte. Deh non turbar questa secreta sedè. Perdona all'alme ornai di luce prive: JNon dee guerra co* morti aver chi vive. XL Così dicea quel motto. E^i era intento Delle brevi parole a i sensi occulti. Fremere intanto udia continuo il vento Tra le frondi del bosco e tra i virgulti, E trarne un suon che flebile concento Par d'umani sospiri e di singulti: E un non so iche confuso in^tiUa al core Di pietà, di spavento, e di ddbré. CANTO ^ECIMOTERZO 8i XLI Pur tragge alfin la spada, e con gran forza Percuote l'alta pianta. Oh maraviglia! Manda fuor sangue la recisa scorza , £ fa la terra intomo a se vermiglia. Tutto si raccapriccia , e pur rinforza n colpo, e 1 fin vederne ei si consiglia. AUor, quasi di tomba, uscir ne sente Un indistinto gemito dedente, XLII Che poi distinto in vocir^dii troppo, disse, M' bai tu, Tancredi, offeso: or tanto basti: Tu dal corpo, che meco e per me visse, Fdice albergo già, mi discacciasti; Perchè il misero tronco, a cui m' affisse n mio duro destino, anco mi guasti? Dopo la morte gli avversar) tuoi, Crude) , ne' lor sepolcri offender vuoi? XLIII Clorinda fui: ne sol qui spirto umano Albergo in questa pianta rozza e dura; Ma ciascun ahro ancor Franco o Pagano, Che lassi i m^ubri a pie dell' alte mura. Astretto è qui da nuovo incanto e strano. Non so, s' io dica in corpo, o in sepoltura. Son di sensi animati i rami e i tronchi, £ micidial sei tu, se il legno tronchi. T. a 6 82 LA GERUSALEMME XhìV Qual r infermo talor ohe in sogno scorge Brago, o cinta di fiamme alta chimera , Sebben sospetta , o io parie anco »* accorge Che 1 simulacro sia non forma Yéra; Pur desia di fuggir, laolo gli porge Spavento la sembianza orrida e ftiri^ Tale il timido amaDie appien ood Crede A i falsi inganni, e puf tie leme e cede; x%r E dentro il cot gli è in modo tal conquiso Da varj affetti, che a' agghiaccia e trema; E nel moto potente ed improvviso Gli cade il ferro, e 1 manco è in lui la tema. Va fuor di se: presente aver gli è avviso L' offesa donna sua che plori e gema: Né può soffrir di rimirar qndi sangue. Ne quei gemiti udir d' egro che langae . XLVI Così quel contra morte audace core Nulla forma turbò d' alto spavento; Ma lui, che solo è fievole in amore, Falsa imago deluse, e vcn lamento. Il suo caduto ferro intanto fnofe Portò del bosco impvinoao TentA;. Sicché vinto pviissi; e in sulla airada Ritrovò poscia e ript^iò la apada. CANTO DECIMOTERZO «3^ XLVII Pur non tornò, de liientaiido ardto Spiar di nuovo le cagioni ascose; E poi che, giunto al soomio duce, unio Gli spirti alquanto, e l' animo compose^ Incominciò: signor, nunzio son io Di non credute e non cr^ibil cose; Ciò che dicean dello spettacdi Jfero E del suon paventoso , è tutto vero. XLVIII Maraviglioso foco indi vot apparse Senza materia in un istante appreso , Che sorse e, dilatando, un muro farse Parve, e d' armati tnosiri esaer difeso. Pur vi passai; che uè Y incendio m' arse, Né dal ferro mi iu l' andar conteso. Vernò in quel punto, ed annottò: fé' il giorni E la serenità poscia ritorno. IL Di più dirò, eh' agli alberi dà vita Spirito iiman che seme e che ragiona» Per prova scilo : io n' ho la voce udita Che nel cor flebilmente anco mi suona. Stilla sangue de' tronchi ogni £Brita^ Quasi di molle carne abbian prsona. No, no, più non potrei (vinto mi chiamò) Ne corteccia scorzar^ né sveller ramo. 84 LA GERUSALEMME "^ L Così dice egli; e '1 capitaDo ondeggia la gmn tempesta di peosierì intanto. Pensa s'egli medesmo andar là deggia (Che tal lo stima) a ritentar Y incanto; Ò se pur di materia altra provveggia Lontana più, ma non di£ELcil tanto: Ma dal profondo de' pensieri suoi L' eremita il rappella, e dice poi: LI Lascia il pensiero audace; altri conviene Che delle piante sue la selva spoglie. Già già la fatai nave all' erme arene La prora accosta, e F auree vele accoglie. Già, rotte l' indegnissime catene, L' aspettato guerrier dal lido scioglie. Non è lontana omai l' ora prescritta Che sia presa Sion^ l' oste sconfitta. LII Parla ei così, fatto di fiamma in vòlto, E risuona più ch'uomo in sue parole: E '1 pio Goffredo a pensier nuovi è volto; Che neghittoso già cessar non vuole. ^ Ma nel cancro celeste omai raccolto Apporta arsura inusitata il sole, Ch' a i suoi disegni, ai suoi guetTier nemica, Insopportabil rende ogox fatica. CANTO DECIMOTERZO 85 LUI Spenta è del cielo ogni benigna lampa , SignoreggiaDo in lui crudeli stelle : Onde piove virtù eh' informa e stampa L' aria d' impressìon maligne e felle. Cresce Tardor nocivo, e sempre avvampa Più mortalmente in queste parti e in quelle: A giorno reo notte più rea succede, E di peggior di lei dopo lei vede. LIV Non esce il sol giammai che, asperso e ciato Di sanguigni vapori entro e dintorno, Non mostri nella fronte assai distinto Mesto presagio d' infelice giorno: Non parte mai che, in rosse macchie tìnto, Non minacci egual noia al suo ritomo, E non inaspri i già sofferti danni Con certa tema di futuri aifanni. LV Mentre egli i raggi poi d' alto diffonde. Quanto d'intorno occhio mortai si gira, Seccarsi i fiorì , e impallidir le fronde , Assetate languir Terbe rimira, E fendersi la terra e scemar Vonde: Ogni cosa del ciel soggetta all'ira: E le sterili nubi in aria sparse In sembianza di fiamme altrui mostrarse. 86 LA GERUSALEMME Sembra ii ciel nell' aspetto atra fornace , Né cosa appar, cl:4e gli occhi almea ristaure. Nelle spelonche sue Zefiro tace, E ìq tutto è fermo il vaneggiar dell'aure: Solo vi soffia, e par vampa di face. Vento che muove dall' arene Maure: Che gravoso e spiacente, e seno e gote Co' densi fiati ad or ad or percuote. I.VII Non ha poscia la notte ombre più liete, Ma del caldo del sol paiono impresse; E di travi di foco, ,e di comete, E d'altri fregi ardenti il velo intesse. Né pur, misera terra, alla tua sete Son dall'avara luna almen concesse Sue rugiadose stille; e l'erbe e i fiorì Bramano indarno i lor vitali umori. LVIII Dalle notti inquiete il dolce sonno Bandito fugge; e i languidi mortali. Lusingando, rìtrarlo a se noi }X)nno: Ma pur la sete é il pessimo de' mali ; Però che di Giudea l' iniquo donno Con veneni e con succhi aspri e mortali, Più dell' inferna Stige e d'Acheronte^ Torbido fece e livido ogni fonte. CANTO DECIMOTERZO 87 LIX E 'I picciol Siloè, die puro b nwndo Offrìa cortese a ì Fraachi il suo tOMMO, Or di tepide linfe appena il fendo Arido copre, e dà scarso ristoro; Né il Po, qualor di nu^o è piti prolbcido, Parria soverchio a i desiderj loro: Né '1 Gange , ol Nilo allor che non s' «ppaga De' sette alberghi, e '1 verde Egitto allaga. LX Se alcun giammai tra fixndeggianti nre^ Puro vide stagnar liquido argeitfo: O giù precipitose ir aeque vìv« Per alpe, o 'n piaggia erbMa a paMO lènto; Quelle al vago desio ferma e descriva, E ministra materia al suo tormento; Che l'immagine lor gelida e molle L'asciuga e scalda, e nel pensier ninnile, LX2 Vedi le membra de'^nerrier roimsie, Cui né cammin per asfn*a terra pnao, Né ferrea salma, onde gir sempre otmste, Né domò ferro alla lor noite iitteso; Ch' or risolute e dal calore adosfee, Giacciono, a se jnedesme inutil peso; E vive ndle vene occulto foco, Che pascendo le strugge i^poco appoco. 88 LA GERUSALEMME LXII Langue il còrsier ^à sì feroce /e l'erba , Che fu suo caro cibo, a schifo prende; Vacilla il piede infermo, e la superba Cervice dianzi, or giìi dimessa pende: Memoria di sue palme or più non serba, Né più nobil di gloria amor l'accende. Ije vincitrici spoglie e i ricchi fregi Par che, quasi vii soma, odj e dispregi. LXIII Languisce il fido cane, ed ogni cura Del caro albergo e del signor oblia: Giace disteso, ed all'interna arsura , Sempre anelando, aure novelle invia: Ma s'altrui diede il respirar natura. Perchè il caldo del cor temprato sia. Or nulla o poco refrigerio n'ave; Si quello^ onde si spira , è denso e grave. LXIV Cosi languia la terra , e in tale stato Egri gìaceansi i miseri mortali; E '1 buon popol fedel, già disperato Di vittoria, temea gli ultimi mali; E risuonar s'udia per ogni lato Universal lamento in voci tali : Che più spera Goffredo? o che più bada? Sinché tutto il suo campo a morte vada? CANTO DECIMOTERZO 89 LXV Deh con quai forze superar si crede Gli alti ripari de' nemici nostri? Onde macchine attende ? ei sol non vede L' ira del delo a tanti segni mostri? Della sua mente avversa a noi fan fede Mille nuovi prodigj e mille mostri^ Ed arde a noi sì 1 sol^ che minor uopo Di refrigerio ha l'indo, o F Etiope. LXVI Dunque stima costui che nulla importe Che n andiam noi, turba negletta indegna, Vili ed inutili alme, a dura morte. Pur ch'ei lo scettro imperiai mantegna? Cotanto dunque fortunata sorte Rassembra quella di colui che regna. Che ritener si cerca avidamente A danno ancor della soggetta gente? LXVII Or mira d'uom, ch'ha il titolo di pio, Provvidenza pietosa, animo umano 3 La salute de' suoi porre in oblio, Per conservarsi onor dannoso e vano; E veggendo a noi secchi i fonti e 'l rio. Per se l'acque condur fin dal Giordano: £ fra pochi sedendo a mensa lieta Mescolar l'onde fresche al vin di Greta. V 90 LA GERUSALEMME LXVIII Così i Franchi dicean^ ma '1 duce Greco, Che 'I lor vessillo è di seguir già staaco^ Perchè morir qui, disse, e perchè meco Far che la schiera mia ne vegna manco? Se nella sua follia Goffredo è cieco. Siasi in suo danno, e del suo popol Franco: A noi che nuoce? e, senza tor licenza. Notturna fece e tacita partenza. LXIX Mosse l'esempio assai, come al di chiaro Fu noto, e d'imitarlo alcun risolve. Quei che seguir Glotareo, ed Ademaro, E gli altri duci eh' or son ossa e polve. Poiché la fede che a color giut*aro, Ha disciolto colei che tutto solve. Già trattano di ftiga; e già qualcuno Parte furtivamente alFaer bruno. LXX Ben se l'ode Goffredo, e ben sei vede, £ i pili aspri rimedi avria ben pronti ; Ma gU schiva ed abborre; e con la fede, Che faria stare i fiumi e gire i monti, Devotamente al Re del mondo chiede Che gli apra ornai della sua grazia i fenti : Giunge le paiole, e fiammeggianti in zelo Gli occhi rivc4ge e le parole al cielo. CANTO DECIMOTERZO 91 LX%I Padre e signor, s' al popol tuo piovesti Già le dólci rugiade entro al deserto ; Se a mortai mano già virtù porgesti Jlomper le pietre , e trar del monte apato Un vivo fiume ; or rinnoveJJa in questi Gli stessi esempi: e se ineguale è il merto , Adempi di tua grazia i lor difetti j £ giovi lor che tuoi guerrier stan detti. hXXll Tarde non furon già querte pre^biere, Che derivar da ^iisto nmil desio ; Ma sen volaro al ciel pronte e leggiere. Come pennuti augelli , innanzi a Dio : Le accolse il Padre Etemo , ed alle schiere Fedeli sue rivolse il guardo pio; £ di si gravi lor risdii e fatiche GÌ' increbbe, e disse con parole^ amiche : LXXIII Abbia sin qui sue dure e perigliose Avversità sofferte il csaipo amato , £ contra lui, con armi ed arti ascose , Siasi r inferno e siasi il mondo armato . Or cominci novello ordin di cose, £ gli si volga prospero e beato:- Piova, e ritorni il suo guerriero invitto , £ venga a gloria sna V oste d' £gitto« 93 LA GERUSALEMME LXXIV Cosi dicendo il capo mosse; e gli ampi Cieli tremaro, e i lumi erranti e i fissi ; £ tremò l'aria riverente, e i campi Dell' oceano , e i monti , e i ciechi abissi : Fiammeggiare a sinistra accesi lampi Fur vi^ti , e chiaro tuono insieme udissi. Accompagnan le genti il lampo e 1 tuono Con allegro di vod ed alto suono. I.XXV Ecco subite nubi, e non di terra Già per virtù del sede in alto ascese ; Ma sol dal ciel , che tutte apre e disserra Le porte sue , veloci in giù. discese. Ecco notte improvvisa U giorno serra Nell'ombre sue che d'c^i intorno ha stese. Segue la pioggia impetuosa, e cresce Il rio cosi , che fuor del letto n' esce. LXXVI Come talor nella stagione estiva , Se dal ciel pioggia desiata scende , Stuol d'anitre loquaci in secca riva Con rauco mormorar lieto V attende : £ spiega r ali al freddo umor ^ uè schiva Alcuna di bagnarsi in lui si rende, £ là 've in maggior copia ei si raccoglia, Si tuffa ^ e spegne r assetata voglia; CANTO DECIMOTERZO gS LXXVII Così gridando, la cadente piova, Che la destra del del pietosa versa , Lieti salutan questi : a ciascun giova La chioma averne, non che il manto, aspersa. Chi bee ne' vetri , e chi negli elmi a prova: Chi tien la man nella fresca onda inmiersa: Chi se ne spruzza il volto e chi le tempie : Chi scaltro a miglior uso i vasi n' empie. LXXVIII Né pur r umana gente or si rallegra , E de' suoi danni a ristorar si viene ; Ma la terra , che dianzi afflitta ed egra Di fessure le membra avea ripiene , La pioggia in se raccoglie , e si rintegra y E la comparte alle più inteme vene : E largamente i nutritivi umori Alle piante ministra, all' erbe , a i fiori : LXXIX Ed inferma somiglia , a cui vitale Succo l'interne parti arse rinfresca; £ disgombrando la cagion del male , A cui le membra sue fur cibo ed esca , La rinfranca^ e« ristora, e rende quale Fu nella sua stagion più verde e fresca ; Tal eh' obliando i suoi passati afTanoi Le ghirlande ripiglia , e i Lieti panni. 94 LA GERUSALEMME LXXX Cessa la pn^ia alfine , e toma il scJe j Ma dolce spiega e temperato il raggio j Pien di maschio valor , siccome suole Tra 1 fin d'aprile, el cominciar di ma^o. Oh fidanza gentil! chi Dio ben oole^ L'aria sgombrar d'ogni mortale oltraggio: Cangiare alle stagioni ordine e stato ; \>ncer la rabbia delle stelle e 1 fata LA GERUSALEMME LIBERATA CANTO DECIMOQUARTO ARGOMENTO Intende in sogno il capitan Francese Come Dio vuol che si richiami alt oste Il buon Rinaldo; ond* egli poi cortese De i principi risponde alle proposte: Ma Piero j che già prima il tutto inteie , I messi inizia là dov^^han cortese oste Un MagOy il guai lorpria d Armida scopre Gli occulti inganni y indi gli ajuta alP opre* U sciva ofnai dal molle e fresco grembo Della gran madre saa la notte oscuca; Aure lievi portando, e largo nembo Di sua rugiada preziosa e pura : £ scuotendo del vel Tumido lembo ^ Ne spargeva i fioretti e la verdura j E i yentjcelli dibattendo Tali Lunsingavano il sonno de' mortali. 96 LA GERUSALEMME II Ed essi ogni pedsier che 'I di conduce , Tuffato aveano in dolce oblio profondo; Ma vigilando néir eterna luce Sedeva al suo governo il Re del mondo, E rivolgea dal cielo al Franco duce Lo sguardo favorevole e giocondo. Quinci a lui ne inviava un sogno cheto, Perchè gli rivelasse alto decreto. Ili Non lunge all'auree porte ond'esce il sole^ È cristallina porta in oriente Che per costume innanzi aprir si saole Che si dischiuda l'uscio al di nascente. Da questa escono i sogni , i quai Dio vuole Mandar per grazia a pura e casta mente. Da questa or quel ch'ai pio Buglion discende^ L'ali dorate inverso lui distende. IV Nulla mai vision nel sonno offerse Altrui si vaghe immagini o si bèlle , Come ora questa a lui, la qual gli aperse I, secreti del cielo e delle stelle: Onde, siccome entro uno speglio, ei scerse Ciò che lassuso è veramente in elle : Pareagli esser traslato in un sereno Candido, e d'auree fiamme adorno e pieno. CANTO DECIMOQUARTO 97 E mentre ammira in quell'eccelso loco L'ampiezza, i moti, i lumi e T armonia, Ecco cinto di rai, cinto di foco, Un cavaliero incontra a lui venia, E 'n suono allato a cui sarebbe roco Qual più dolce è quaggiù, parlar Tu dia: Goffredo non m' accogli, e non ragione Al fido amico? or non conosci Ugone? VI Ed ei gli rispondea: quel nuovo aspetto Che par d'un sol mirabilmente adomo. Dall'antica notizia il mio intelletto Sviato ha si , che tardi a lui ritorno. Gli stendea poi con dolce amico affetto Tre fiate le braccia al collo intano j E tre fiate invan cinta l' immago Fuggia, qual leve sogno od aer vago. VII Sorridea quegli e, non già, come credi, Dicea , son cinto di terrena veste : Semplice forma, e nudo spirto vedi Qui , cittadin della città celeste. Questo è tempio di Dio: qui son le sedi De' suoi guerrieri, e tu avrai loco in queste. Quando ciò fia? rispose, il mortai laccio Sciolgasi omai, s'al restar qui m'è impaccio. T. IL 7 98 LA GERUSALEMME vili Ben, repHcogli Ugon, tosto raccerto JNella gloria sarai de'trìoiifanti: Pur, militaDdo, cpuTeiTà che molto Sangue e sudor lag^ù tu versi innanti. Da te prima a i Pagani esser ritolto Deve r imperio de' paesi santi; E stabilirsi in lor Cristiana reggia , In cui regnare il tuo fratel poi deggia. Il Ma perchè più lo tuo desir s' avvive Neir amor di quassù, più fiso or mira Questi lucidi alberghi e queste vive Fiamme, che mente eterna infonxia e gira; E in angeliche tempre odi le dive Sirene , e 1 suon di lor celeste lira. China, poi disse, e gli additò la terra, Gli occhi a ciò che quel globo ultimo serra. Quanto è vii la cagion ch'alia virtude Umana è colaggiù premio e contrasto! In che picciolo cerchio, e fra che nude Solitudini è stretto il vostro fasto! Lei, come isola, il mare intorno chiude^ E lui ch'or ocean chiamate, or vasto. Nulla eguale a tai nomi ha in se di magno; Ma è bassa palude e breve stagno- CANTO DECIMOQUARTO 99 XI Così r un disse; e Y altro ingiuso i lumi Volse ^ quasi sdegnando, e ne sorrise , die vide un punto sol mar, terra, e fiumi , Che qui pajon distinti in tante guise; Ed ammirò che pur all'ombre, ai fumi, La nostra folle umanità s'affise, Servo imperio cercando e muta fama, Né miri il ciel ch'a se n'invita e chiama. XII Onde rispose: poich'a Dio non piace Dal mio career terreno anco disciorme; Prego che del cammin eh' è men fallace Fra gli errori del mondo or th m' informe. È, replicogli Ugon, la via verace Questa che tieni; onde non torcer l'orme. Sol che richiami dal lontano esiglio n figliuol di Bertdido, io ti consiglio. XIII Perchè, se Talta provvidenza elesse ^e dell' impresa sommo capitano; Destinò insieme ch'egli esser dovesse De' tuoi consigli esecutor soprano. A te le prime parti, a lui concesse Son le seconde: tu sei capo, ei mano Di questo campo; e sostener sua vece Altri non puote, e £urlo a te non lece. ,oo LA GERUSALEMME XIV A lui sol di troncar non fia disdetto H bosco eh' ha gF incanti in sua difesa ; £ da lui il campo tuo che, per difetto Di gente , inabil sembra a tanta impresa, E par che sia di ritirarsi astretto, Prenderà maggior forza a nuova impresa; E i rinforzati muri, e d'Oriente Supererà T esercito possente. XV Tacque, e 1 Buglion rispose : oh quanto grato Fora a me che tornasse il cavaliero! Voi, che vedete ogni pensier celato, Sapete s'amo lui , se dico il vero. Ma di': con quai proposte, od in qual lato Si debbe a lui mandarne il messaggiero? Vuoi ch'io preghi, o comandi? e come questo Atto sarà legitdmo ed onesto? XVI AUor ripigliò l'altro: il Rege eterno, Che te di tante somme grazie onora , Vuol che da quegli, onde ti die il governo, Tu sia onorato e riverito ancora: Però non chieder tu ( uè senza scheroo Forse del sommo imperio il cliieder fora); Ma richiesto concedi , ed al perdono Scendi, degli altrui preghi al primo suono. \ CANTO DECIMOQU ARTO loi XVII Guelfo ti pregherà (Dio si V inspira), Ch' assolva il^ fier garzoa di quelV errore, In cui trascorse per soverchio d' ira , Sicché al campo egli torni, ed al suo onore : E bench'or lunge il giovine delira, £ vaneggia nell' ozio e neir amore ; Jfon dubitar però che 'n pochi giorni , Opportuno al grand' uojx), ei non ritomi: XVIII Che '1 vostro Piero, a cui lo ciel comparie L«alta notizia de' secreti sui. Saprà drizzare i messaggieri in parie Ove certe novelle avran di lui 5 E sarà lor dimostro il modo e l' arte Di liberarlo, e dì condurlo a vui ; Cosi alfin tutti i tuoi compagni erranti Ridurrà il ciel sotto i tuoi segni santi. XIX Or chiuderò il mio dir con una breve Conclusìon, che so che a te fia cara. Sarà il tuo sangue al suo commisto, e dev6 Progenie uscirne gloriosa e chiara. Qui tacque , e sparve come fumo leve Al vento, o nebbia al sole arida e rara^ E sgombrò il sonno, e gli lasciò nel petto Di gioia e di stupor confuso affetto. I02 LA GERUSALEMME XX Apre allora le luci il pio Buglione^ E nato vede e già cresciuto il giorno; Onde lascia i riposi, e sovrappone L' arme alle membra faticose intomo : £ poco stante , a lui nel padiglione Yeniano i duci al solito soggiorno, Ove a consiglio siedono, e per uso Ciò che altrove si £i, quivi è concluso . XXI Quivi il buon Guelfo, che 1 novel pensiero Infuso avea nelF inspirata mente. Incominciando a ragionar primiero, Disse a Goffredo: o principe clemènte, Perdono a chieder ne vegn' io, eh' in vero È })erdon di peccato anco recente: Onde potrà parer, per avventura, Frettolosa dimanda ed immatura^ ' XXII Ma pensando che chiesto al pio Goffredo Per lo forte Rinaldo è tal' perdono , E riguardando a me che in grazia il chiedo, Che vile adatto intercessor non sono; Agevolmente d' impetrar mi credo Questo eh' a tutti fia giovevol dono. Deh consenti eh' ei rìeda e che , in ammenda Del fallo, in prò comune in sangue spenda* CANTO DECIMOQUARTO io3 XXIII E chi sarà , s' egli non è, quel forte CV osi troncar le spaventose piante? Chi gira incontra a i rischi della morte Con più intrepido petto e più costante? Scuoter le mura, ed atterrar le porte Vedrailo, e salir solo a tutti innante. Rendi al tuo campo ornai, rendi per Dio, Lui, eh' è sua alta speme e suo desio. Rendi il nipote a me sì valoroso, E pronto esecutor rendi a te stesso : Né soffrir eh' egli toi'pa in vii ri|ioso ; Ma rendi insieme la sua gloria ad esso. Segua il vessillo tuo vittorioso : Sia testimone a sua virtù concesso: Faccia opre di se degne in chiara luce, E rimirando te maestro e duce. XXV Cosi pregava; e ciascun' ì^ltro i pregia Con favorevol fremito seguii; Onde Goffredo allor, quasi egli pieghi La mente a cosa non pensata in pria. Come esser può, dicea, che grazia i' neghi Che da voi si dimanda e si desia? Ceda il rigore ; e sia ragione e legge Ciò che 1 consenso universale elegge. io4 LA GERUSALEMME XXVI Torni Rinaldo; e da qui innanzi affirene Più moderato l' impeto dell' ire : E risponda coli' opre all' alta spene Di lui concetta , ed al comun desire. Ma il richiamarlo, o Guelfo, a t^ conviene: Frettoloso egli fia, credo, al venire. Tu scegli il niesso, e tu l' indrizza dove Pensi che '1 fero giovine si trove. xxvn Tacque; e disse sorgendo il guerrier Dario: Esser io chieggio il messaggier che vada; Né ricuso canunin dubbio o lontano, Per fare il don dell' onorata spada. Questi è di cor fortissimo e di mano; Onde al buon Guelfo assai l' offerta aggrada ? Vuol che sia l'un de' messi, e che sia T altro Ubaldo, uom cauto, ed avveduto, e scaltro. XXVIII Veduto Ubaldo in giovinezza, e cerchi Varj costumi avea, vai^j paesi. Peregrinando da i più freddi cerclii Del nostro mondo agli Etìopi accesi : E come uom, che virtute e senno merchi ,^ Le favelle, l' usanze, e i riti appresi : Poscia, in matura età, da Guelfo accolto Fu tra i compagni , e caro a lui fu molto. CANTO DECIMOQUARTO io5 XXIX A lai messaggi Y onorata cura Di richiamar Y aho campiotì si diede: E gì' indrizzava Guelfo a quelle mura Tra cui Boemondo ha la sua regia sede ; Che per pubblica fama, e per sicura Opinion , che egli vi sia si crede. Ma 1 buon romito ,'che lor mal diretti Conosce 9 entra fra loro e tronca i detti. XXX £ dice: ocayalier, seguendo il grido Della fallace opinion volgare , Duce seguite temerario e infido Che vi ùl gire indarno , e traviare. Or d' Ascalonà nel propinquo lido Itene, dove un fiume entra nel mare. Quivi fia che v' appaia uom nostro anìico ; Credete a lui , ciò eh' ei diravvi, io 'l dico. XXXI Ei molto pe)r se vede, e molto intese Del preveduto vostro alto viaggio Già gran ten^ ha da me : so die cortese Altrettanto vi fia quanto egli è saggio: Cosi lor disse ; e più da lui non chiese Carlo , o r altro che seco iva messa^io ; Ma furo ubbidienti alle parole Che spirito diviu dettar gli suole. io6 LA GERUSALEMME XXXII Preser commiato ; e sì il desio gli sprona Che, senza indugio alcun posti in cammino, Drìzzaro il loro corso ad Ascalona , Dove a i lidi si frange il mar vicino, £ non udian ancor come rìsuona U roco ed* alto fremito marino, Quando giunsero a un fiume, il qual di nuova Acqua accresciuto è per novella piova ; XXXIÌI Sicché non può capir dentro al suo letto, E sen va più che strai corrente e presto. Mentre essi stan sospesi, a lor, d' aspetto Venerabile, appare un vecchio onesto. Coronato di faggio , in lungo e scliietto Vestir, che di lin candido è contesto: Scuote questi una verga, e 1 fiume calca Co' piedi asciutti , e contra il corso il valca. XXXIV Siccome soglion là vicino al polo , Seavvienche'lvemoi fiumi agghiacci e induri*, Correr sul Ren le villanelle a stuolo Con lunghi strisci, e sdrucciolar sicure ; Tal ei ne vien sovra Y instabil sudlo Di queste acque non gelide e non dure ; E tosto colà giunse, onde in lui fisse Tenean le luci ì due guerrieri , e disse: CANTO DECIMOQIJ ARTO 107 XXXV Amici , dura e faticosa inchiesta Seguite , e d' uopo è ben eh' altri vi guidi ; Che '1 cercato gaerrìer lunge è da questa Terra in paesi incogniti ed infidi. Quanto, oh quanto dell'opra anco vi resta! Quanti mar correrete « e quanti lidi ! E convien che si stenda il cercar vostro Oltre i confini ancor del mondo nostro. XXXVI Ma non vi spiaccia entrar nelle nascose P" Spelonche ov' ho la mia secreta sede ; Ch' ivi udrete da me non lievi <^se, E ciò eh' a voi saper più si richiede. Disse ; e eh' a lor dia loco all' acqua impose , Ed ella tosto si ritira e cede ; E quinci e quindi , di montagna in guisa , Curvata pende , e 'n mezzo appar divisa. xxxvii Ei, presigli per man, nelle più interne Profondità sotto quel rio lor mena: Debile e incerta luce ivi si scerne , Qual, tra' boschi, di Cintia aAcor non piena : Ma pur gravide d' acque ampie caverne Yeggiono, onde tra noi sorge ogni vena , lia qual zampilli in fonte, o in fiume vago Discorra, o stagni , o si dilati in lago. io8 LA GERUSALEMME XXXVIII E veder ponno onde il Po nasca, ed onde Idaspe, Gange, Eufrate, Istro derivi; Ond'esca pria la Tana; e non asconde GK occulti suoi principj il Nilo quivi. Trovano un rio più sotto , il qual diffonde Vivaci zolfi , e vaghi argenti e vivi : Questi il sol poi raffina , e 1 licor molle Stringib in candide masse, e in auree zolle; XXXIX E miran d' ogni intomo al ricco fiume Di care pietre il margine dipinto; Onde, come a più fiaccole s^ allume. Splende quel loco, e 1 fosco orror n'è vinto. Quivi scintilla con ceruleo lume Il celeste zaffiro ed il giacinto: Vi fiammeggia il carbonchio, e luce il saldo Diamante, e lieto ride il bel smeraldo. XL Stupidi i guerrier vanno, e nelle nuove Cose sì tutto il lor pensier s' impiega , Che non fanno alcun motto : alfin pur muove La voce Ubaldo, e la sua scorta prega: Deh, padre, dinne ove noi siamo , ed ove Ci guidi, e tua condizìon ne spiega; Gh' io non so sei ver miri, o sogno od ombi*a; Così.alto stupore il cor m' ingombra. CANTO DECIMOQUARTO 109 XLI Risponde : sete voi nel grembo Immenso Della terra, che tutto in se produce: Né già potresti penetrar nel denso Delle viscere sue senza me duce. Vi scorgo al mio palagio, il qual accenso Tosto vedrete di mirabil luce. Nacqui io pagan, ma poi nelle sant'acque Kigenerarmi a Dio per grazia piacque. XLII Né in virtù fatte son d' Angeli stigj L'opere mie maravigliose e cente. Tolga Dio eh' usi note o suffumigi , Per isforzar Oocito e Flegetonte; Ma spiando men vo'da'lor vesligj Quale in se virtù celi o l' erba, o '1 fonte; £ gli altri arcani di natura ignoti Contemplo^ e delle stelle i varj moti. XLIII Perocché non ognor lunge dal cielo Tra sotterranei chiostri é la mia stanza; Ma sul Libano spesso, e snidarmelo In aerea magion fo dimoranza. Ivi spiegansi a me senza alcun velo Venere e Marte, in ogni lor sembianza; E veggio come ogn' altra o presto o tardi Roti, o benigna o niinaccevol guardi. lio LA GERUSALEMME XLIV E sotto i pie mi veggio or folte or rade Le nubi, or negre ed or pìnte da Iri; E generar te pioggie e le rugiade Risguardo, e come il vento obliquo spiri j Come il folgor s infiammi , e per quai strade Tortuose in giù spinto ei si raggiri : Scorgo comete, e fuochi altri sì presso, Ch' io soleva invaghir già di mo stesso. XLV Di me medesmo fui pago cotanto , Ch' io stimai già cl^e 1 mio saper misura Certa fosse e infallibile, di quanto Può far r alto Fattor della natura; Ma quando il vostro Piero al fiume santo M' asperse il crine, e lavò V alma impura. Drizzò più su il mio guardo , e 1 fece accorto Ch' ei pei: se stesso è tenebroso e corto. XLVI Conobbi àllor che augel notturno al sole È nostra mente ai rai del primo vero: £ di me stesso risi, e delle fole Che già cotanto insuperbir mi fero. Ma pur seguito ancor , cernie egli vuole, Le solita arti e V uso mio primiero. -^ Ben sono in parte altr' uora da quel eh' io fui : Ch'or da lui pendo e mi rivolgo a lui^ CANTO DECIMOQUARTO in XLVII E in lui m'acqueto: egli^coiuanda e iosegna. Mastro iasieme e signor sommo e sovrano: Né già per nostro mezzo oprar disdegna G>se degne talor della sua mano. Or sarà cura mia eh' al campo vegna L'invitto eroe dal suo career lontano^ Ch'eilà m' impose y e già gran tempo aspetto Il venir yostro, a me per lui predetto. XLVIII Cosi con lor parlando al loco viene Ov' egli ha il suo so^omo e '1 suo riposo. Questo è in forma di speco, e iu se contiene Camere e sale, grande e spazioso: E ciò che nudre entro le ricche vene Di più chiaro la terra e prezioso, Splende ivi tutto; ed ei u'è in guisa ornato, Ch' ogni suo fregio è non fatto, ma nato. IL Non mancar qui cento ministri e c6nto, CIì' accorti e pronti a servir gli osti foro; Né poi in mensa magnifica d' argento Mancar gran vasi e di cristallo e d' oro. Ma quando sazio il naturai talento Fu de' cibi, e la sete estinta in loro: Tempo é ben, disse a i cavalieri il mago, Che'l maggior desir vostro ornai sia pago. 112 LA GERUSALEMME L Quivi ricominciò: Topre e le frodi Note in parte a voi son dell'empia Armida; Come ella al campo venne , e con quai nuxii Molti guerrier ne trasse , e lor fii guida* Sapete ancor che di tenaci nodi Gli avvinse poscia, albei^atrice infìda; E eh' indi a Gaza gl'invio con molti Custodi^ e che tra via furon disciolti.. LI Or vi narrerò quel che appresso occorse. Vera istoria da voi non anco intesa. Poiché la maga rea vide ritorse La preda sua già con tant'arte presa , Ambe le mani per dolor si morse, E fra se disse di disdegno accesa: Ah vero unqua non fia , che d'aver tanti Miei prigion liberati egli si vanti : LII Se gli altri sciolse, ei serva, ed ei sostegni liC pene altrui serbate, e '1 lungo affanna Né questo anco mi basta : i' vo' che vegna Su gli altri tutti universale il danno. Così tra se dicendo , ordir dis^na Questo, ch'or udirete, iniquo inganno. Yiensene al loco ove Rinaldo vinse In pugna i suoi guerrieri, e parte estinse. CANTO DECIMOQUARTO ii3 LUI Quivi egli avendo l'arme sue deposto , Indosso quelle, di un pagan si pose , Forse perchè bramava irsene ascosto Sotto insegne men note e raen famose. Prese Y armi la maga , e in esse tosto Un tronco busto avvolse e poi l' espose : L* espose in riva a un fiume, ove doveva Stuol de' Franchi arrivare^ e 'L prevedeva; LIV E questo antiveder potea ben ella, Che niandar mille spie solea d' intorno , Onde spesso del campo avea novella, £ s' altri indi partiva, o fea ritomo; Oltre che con gli spirti anco avella Sovente, e fa con lor lungo soggiorno. Collocò dunque il corpo morto in parte Molto opportuna a sua inganoevolarte. x-v Non lunge un sagacissimo valletto Pose , di panni pastorai vestito, E impose lui ciò eh' esser fatto o detto Fintamente doveva ; e fu eseguita Questi parlò co' vostri , e di sospetto Sparse quel seme in lor , eh' indi nutrito Fruttò risse e discordie , e quasi al fine Sediziose guerre e cittadine ; T. II. ' 8 ii4 LA GERUSALEMME l-VI Che fìi, com'ella disegnò, creduto Per opra del Buglioa Rinaldo ucciso: Benché alfine il sospetto, a torto avuto, Del ver si dileguasse al primo avviso. Gotal d' Armida V ai'tificio astuto Primieramente fu, qual io diviso. ^ Or udirete ancor come seguisse Poscia Rinaldo, e quel g^' indi avvenisse. LVII Qual cauta cacciatrice, Armida aspetta Rinaldo al varco: ei ^uU' Oronte giunge, Ove un rio si dirama ^, un isoletu Formando, tosto a lui si ricongiunge; E in sulla riva una colonna eretta Vede, e un picciol battdlo indi non lunge. Fisa egli tosto gli occhi al bel lavoro Del bianco marmo, e legge ia lettre d' oro: LVIII O chiunque tu sia, che voglia o caso Peregrinando adduce a queste sponde. Maraviglia maggior Y orto o l' occaso Non ha di ciò che V isoletta asconde : Passa, se vuoi vederla. È persuaso Tosto r incautòia girne oltra quell' onde; E perchè mal capace era la barca, Gli scudieri ab1)aniloQa, ed ei sol varca. CANTO DECIMOQUARTO ii5 LIX Come è là giuntò, cupido e tagante Volge intorno lo sguardo è nulla vede , Fuor ch'antri, ed acque, e fiorì, ed erbe, e piante; Onde quasi schernito esser si crede. Ma pur quel loco è cosi lieto, e in tante Guise r alletta, ch'eì si férma e siede, E disarma la fronte, e la ristaura Al soave spirar di placid'aura. n fiume gorgogliar fra tanto udio Con nuovo suono, e là con gli occhi corse j E muover vide un'onda in mezzo al rio, Che 'n se stessa si volse ,^e si ritorse; E quinci alquanto d'un crin biondo uscio, E quinci di donzella un volto sorse , E quinci il petto, e le mammelle, e de la Stia forma infin dove vergogna cela. LXI Così dal palco di notturna scena O ninfa o dèa, tarda sorgendo^ appare. Questa, bendiè non sia vera Sirena', Ma sia magica larva, una ben pare Di quelle che: già presso alla 'Tirrena Piaggia abitar r insidioso mare: Né men che'n viso bella, in suono è dolce; E così canta, e T cielo e l'aure molae: / ii6 LA GERUSALEMME LXII O giovinetti /mentre aprile e maggio Y'animantan di fiorite e verdi s{K)gIie, Di gloria o di virtn fallace raggio La lenerella mente ah non v' in voglie. Solo chi segue ciò òhe piace, è saggio, E in sua stagion de^i ahtii il frutto coglie; Questo grida natura: or dunque voi Indurerete l'alma a i détti suoi? LXIII Folli , perchè gettate il caro dono, Che breve è sì, di vostra età ziovella? Nomi , e senza soggetto idoli , sono !.. Ciò che pregio, e valore il móndo appella. La fama che invaghisce a un dolce suòno Voi superbi mortali , e par sì bdla^ È un eco, un sogno, ansi delsc^no un'ombra Ch'ad ogni vento si dilegua é sgombra. * LfXIV Goda il corpo sicuro, e iti lieti oggetti L'alma tranquilla appaghi i sensi frali: Oblii le noie andate , e non aflPretli Le sue miserie ip. aspettandoci ihali. Nulla curi . se 1 ciièl tuoni o saetti : Minacci egli a sua voglia, e infiammi stralL Questd è Mver ^ questa è felice vita : Si r insegna tiatura, e si Tdddiita. . • , CANTO DECIMOQUARTO 117 LXV Si canta Tempia, e 1 glovlaetto.al soano Con note invoglia sì soavi, e scorte ; Quel serpe a |xkx) a poco , e si fa donno Sovra i sensi di lui possente e forte; Né i tuoni omai destar, non ch'altri, il poniio Da quella quieta immagine di morte. Esce d'agnato allor la falsa maga, E gli va sopra, di vendetta vaga. LXVI Ma quando in lui fissò Io sguardo, e vide Come placido in vista egli respira , E ne' begli occhi un dolce atto che ride, Benché sian chiusi, (or che fia s'ei gli gira?) Pria s'arresta sospesa, e gli s'asside Poscia vicina , e placar sente ogn'ira Mentre il risguarda; e 'n sulla vaga fronte Pende omai si , che par Narciso al fonte. LXVIl E quei ch'ivi sorgean vivi sudori Accoglie lievemente in un suo velo, E, con un dolce ventilar, gli ardori Gli va temprando dell' estivo cielo. Cosi ( chi 'l crederia? ) sopiti ardori D'occhi nascosi, distemprar quel gelo Che s'indurava al cor più che diamante, E di nemica ella divenne amante. ii8 LA GERUSALEMME LXVIII Di ligustri y di gigli 9 e delle rose Le qaai fioriau per quelle piagge amene, Con nuov'arte congiunte indi compose Lente, ma tenacissime catene: Queste al collo , alle braccia, a i pie gli pose: Cosi l'avvinse, e cosi preso il tiene : Quinci , mentre egli dorme, il fa riporre Sovra un suo carro, e ratta il ciel trascorre. LXIX Né già ritocna di Damasco al regno, Ne dove ha il suo castello in mezzo all'onde; Ma, ingelosita di sì caro pegno E vergognosa del suo amor, s'asconde Nell'oceano immensp, ove alcun legno Rado o non mai va dalle nostre sponde, Fuor tutti i nostri lidi; e quivi eletta Per solinga sua stanza è un' isoleua. LXX Un' isoletta la qual nome prende. Con le vicine sue , dalla Fortuna. Quinci ella in cima a una montagna ascende Disabitata, e d'ombre oscura e bruna: E per incanto a lei nevose rende liC spalle e i fianclii, e senza neve alcuna Gli lascia il capo verdeggiante e vago, £ vi fonda un palagio appresso un lago. CANTO DECIMOQUARTO 119 LXXI Ove in perpetuo aprii molle amorasa Vita seco ne mena il suo diletto. Or da così lontana e cosi ascosa Prigion trar voi dovete il giovinetto, E vincer della timida e gelosa Le guardie, ond' è difeso il monte el tetto. £ già non mancherà chi la vi scorga , E chi per l'alta impresa arme vi porga. LXXII Troverete, del fiume appena sorti. Donna giovin di viso, antica d'anni, Ch' a' lunghi crini in sulla fronte attorti Fia nota, ed al color vario de* panni. Questa per l'alto mar fia che vi porti Più ratta che non spiega aqaila i vanni. Più che non vola il folgore; né guida Là troverete al ritornar men fida. LXXIII A pie del monte, ove la maga alberga, Sibilando strisciar nuovi pitoni , E cinghiali arricciar l'aspre lor tei^a, Ed aprir la lor bocca orsi e leoni Tedrete; ma scotendo una mìa verga. Temeranno appressarsi ove ella suoni: Poi via maggior (se dritto il ver s* estima) Traverete il perìglio in su la cima. I20 LA GERUSALEMME LXXIV Uà fonte sorge in lei che vaghe e monde Ha l'acque sì, che i riguardanii asseta; Ma dentro a i freddi suoi cristalli asconde Di tosco estran malvagità secreta ; Gh'un picciol sorso di sue lùcide onde Inebria l'alma tosto e la fa lieta: Indi a rider uom muove , e tanto il riso S'avanza al fin, ch'ei ne rimane ucciso. LXXV Lunge la bocca disdegnosa e schiva Torcete voi dall'acque empie omicide : Né le vivande poste in verde riva V'allettin poi, né le donzelle infide, Che voce avran piacevole e lasciva, E dolce aspetto, che lusinga e ride; Ma voi , gli sguardi e le parole accorte Sprezzando, entrate pur nell'alte ]>oite« LXXVI Dentro è di muri inestricabil cinto, Che mille torce in se confusi giri; Ma in breve foglio io ve 1 darò distinto, Si che nissun error fia che v'aggiri. Siede in mezzo un giardin del laberinto. Che par che da ogni fronde amore spiri ; Quivi in gremlx) alla verde erba novella Giacerà il cavaliero e la donzella» C^NTO DECIMOQUARTO 121 LXXVII Ma come èssa, lasciando il caro amante, In altra parte il piede avrà rìrolto, Vuo eh' a luì vi scopriate, e d'adamante Un scudo, ch'io darò, gli alziate al volto; Sì ch'egli vi si specdìi, e'I suo sembiante Veggia, e l'abito molle onde fu involto: Ch'a tal vista potrà vei^ogna e sdegno Scacciar dal petto suo l'amore indegno. LXXVIII Altro che dirvi ornai nulla m'avanza, Se non eh' assai sicuri ir ne potrete, E penetrar dell'intricata stanza Nelle più inteme parti e più scerete j Perchè non fia che magica possanza A voi ritardi il corso, o'I passo viete: Né potrà pur, cotal virtù vi guida, U giunger vostro antiveder Armida. LXXIX Né men sicura dagli alberghi suol I/uscita vi sarà poscia, el ritomo. Ma giunge ornai l'ora del sonno, e voi Sorger diman dovete a par col giorno. Così lor disse; e gli menò dipoi Ove essi avean la notte a far soggiorno: Ivi lasciando lor lieti e pensosi , Si ritrasse il buon vecchio a' suoi riposi. LA GERUSALEMME LIBERATA CANTO DECIMOQUINTO ARGOMENTO Dal mago instrutti iduoguerriersen vannOj Dos^e il pino fatai gli attende in porto*. Spiegan la vela; e pria del gran tiranno Z)* Egitto i legni e T apparecchio han scorto* Poi tale il vento y e tale il nocchier hanno ^ Che ben lungo viaggio estiman corto. Alt isola remota alfine spinti^ Da lor le forze sono e i vezzi vinti. ria richiamava il bel nascente raggio Air opre ogni animai eh' in terra alberga; Quando venendo ai duo guerrieri il Saggio, Portò il foglio, e lo scudo, e Y aurea verga: Accingetevi, disse, al gran viaggio Prima che il dì^ che spunta, ornai più s'erga. Eccovi qui quanto ho promesso, e quanto Può della maga superar l' incanto. 124 LA GERUSALEMME II EraBo essi già sorti, e l' arme mtoroo- Alle robuste membto avean gik nlesse; Onde, per vie che non riscliiara il giorno, Tosto seguono il vecchio: e son V [stesse Vestigia ricalcate, or nel ritomo, Che furon prima nel venire impresse. . Ma giunti al letto del suo fìuméi: amici, Io v' accomiato , ei disse; ite felici. Gli accoglie il rio nell' alto seno, e l' onda Soavemente in su gli spinge e porta, Come suole innalzar leggiera fi*onda , La qual da violenza in giù fu torta: E poi gli espon sovra la molle sponda j Quinci mirar la già promessa scorta: Vider picciola nave, e in poppa quella, Che guidar gli dovea , fatai donzella. IV (Crinita fronte ella dimostra, e ciglia Cortesi, e favorevoli, e tranquille, E nel sembiante agli angeli somiglia, Tanu luce ivi par eh' aitia e sfaville. La sua gonna or azzurra, ed or vermiglia Diresti, e si colora in guise mille; Si eh' uom sempre diversa a se la vede, Quantunque volte a riguardarla riede. CANTO DECIMOQUINTO 12S V Così piuma talor che di gentile Amorosa colomba il collo cinge, Mai non si scorge a se stessa simile, Ma in diversi colori sI-skA si tinge: Or d' accesi rubin sembra un monile; Or di verdi smeraldi il lume finge ; Or insieme gli mesce; e varia e vaga, In cento mqdi i riguardanti appaga: VI Entrate, dice, o fortunati, in quiesia Nave, ond' io l'ocean sicura varco, ' '' ' Cui destro è ciascun vento, ogni tempe&ta Tranquilla, e lieve ogni gravoso inoarco. Per ministra e per duce or mi v' appresta Il mio signor, del favor suo non parco. Cosi parlò la donna; e più vicino Fece poscia alla sponda il curvo pino. VII Come la nobil coppia ha in se raccoha, Spinge la ripa, e gli rallenta il morso, - Ed avendo la vela all'aure sciolta, Ella siede al governo, e regge /il corso. Gonfio il torrente è sì eh' a questa volta I navigli portar ben piiò sul dorso; Ma questo è sì leggiér, che 1 sosterrebbe Qual altro rio per nuovo umor men crebbe. 1^6 LA GERUSALEMME vili Veloce sovra il naturai costume SpingoQ la vela in verso il lido i venti : Biancheggian l'acque di canute spume ^ E rotte dietro mormorar le senti. Ecco giungono ornai là dove il (lume Queta in letto maggior Y onde correnti : E nelF-ampie voragini del mare Disperso, o divien nulla, o nulla appare. JX Appena ha tocco la mirabil nave Della marina, allor turbata, il lembo. Che spariscoQ'le nubi, e cessa il ^rave IN^oto, che mihacctava oscuro nemix). Spiana i monti dell'onde aura soave, E solo increspa il bel cerulea grejnbo: E d'un dolce serèn diffuso ride Il ciel, che se più chiaro unqua non vide- Trascorse olire Ascalòna, ed a mancina Andò la navicella in ver jioneote, E tosto a Go;ia sì trovò vicina, Che fu patto diiGaza anticamente,' Ma poi, crescendo dell' altrui rnina. Città divenne assai grande e possente; Ed eranvi le pia^e allor. ripiene : Quasi d' uomini sì comte d' arecm CAJNTO DECIMOQUINTO ia7 Volgendo il guardo a terra i naviganti Scorgean di tende numero infinito; Miravan cavalier, «dravan fanti Ire e UHnar dalla cittade al lito: £ da cammelli onusti, e da elefanti L' arenoso sentier calpesto e trito: Poi del porto vedean ne' fondi cavi Soite, e legate all'ancore, le navi« XII Altre spiegar le vele, e ne vedieno Altre i remi trattar veloci e snelle; E da essi e da' rostri il molle seno Spumar percosso in queste parti e in quelle. Disse la donna allor: benché ripieno Il lido e '1 mar sia delle genti felle: Kon ha insieme però le schiere tutte Il potente tiranno anco ridutte. XIII Sol dal regno d'Egitto, e dal contorno Raccolte ha queste : or le lontane attende; Che verso l'oriente e '1 mezzo giorno, Il vasto Imperio suo molto si stende; Sicché s})er' io che prima assai ritorno Fatto avrem noi, che muova egli le tende; Egli, o quel che 'n sua vece esser soprano Dell'esercito suo de' capitano. 128 LA GERUSALEMME XIV Mentre ciò dice, come aqmh stfiole Tra gli altri augelli trapassar secura, E sorvolando ir tanto api>resso il sole Glie nulla vista più la raffigura; Gosì la nave sua sembra che vole Tra legno e legno, e non ha tema, o cura Ghe vi sia chi l'arresti o chi la segua; E da lor s'allontana, e si dilegua. XV E in un momento incontra RaiRa arriva^ Gittà la qual in Siria appar primiera A chi d'Egitto muove; indi alla riva Sterilissima vien di Rinocera. Non lunge un mónte poi le si scopriva, Ghe sporge sovra '1, mar la chioma altera, E i pie si lava nell'instabil onde, Ghe r ossa di Pompeo nel grembo asconde. XVI Poi Damìata scopre, e come porte Al mar tributo di celesti umori Per sette il Nilo sue famose porte, E per cento altre ancor foci minori, E naviga oltre la città dal forte Greco fondata a i Greci abitatori , Ed oltra Faro , isola già , che lunge Giacque dal Udo, al lido or si congiunge. CANTO DECIMOQUINTO 129 XVII Rodi e Creta , lontane inverso 1 polo , Non sceme, e pur lungo Africa sen viene, Sul mar eulta e ferace , addentro solò Fertil di mostri, e d'infeconde arene. Lia Marmarica rade, e rade il suolo Dove cinque cittadi ebbe Cirene: Qui Tolomiie, e poi con l'onde chete Sorger si mira il fabuloso Lete. XVIII La maggior Sirte a' naviganti infesta. Trattasi in alto , in ver le piagge lassa , JE'l capo di Giudeca indietro resta, £ la foce di Magra indi trapassa. Tripoli appar sul lido; e'ncontra a questa Giace Malta fra l'onde occulta, e bassa: £ poi riman con Y altre Sirti a tergo Alzerbe, già de' Lotofagi albergo. XIX In curvo lido poi Tunisi vede, Chq d'ambo i lati del suo golfo ha un monte: Tunisi ricca ed onorata sede A par di quante n'ha Libia piti conte. A lui di costa la Sicilia siede, £d il gran Lilibeo gF innalza a fronte. Or quinci addita la donzella a i due Guerrieri il loco ove Cartagin fiie. j: //. 9 i3o LA GERUSALEMME Giace Vsìia Gartago , e appena! segni Dell' alte sue mine il lido serba. Muoiono le città ^ muoiono i regni : Copre i fasti e le pompe arena ed erba; E l'uom d'esser mortai par che si sdegni. Oh nostra mente cupida e superba! Giungon quinci a Biserta, e più lontano Han l'isola de' Sardi all'altra mano. XXI Trascorse poi le piagge ove i Numidi Menar già vita pastorale erratiti, Trovar Bugia, ed Algieri, infami nidi Di corsari , ed Gran trovar più innanti. E costeggiar di Tingitana i lidi, Nutrice di leoni e d'elefanti, eli' or di Marocco è il regno, e quel di Fessa, E varcar la Granata incóntro ad essa, XXII Son già là dove il mar fra terrà inonda , Per via ch'esser d'Alcide opra si finse; E Ibrse è ver eh* una continua sponda Fosse, ch'alta ruina in due distinse: Passovvi a forza l'oceano, e l'onda Abila quinci, e quindi Galpe spinse. Spagna, e Libia jiartto con foce angusta, Tanto mutar può lunga età vetusta ! -y CANTO DECIMOQUINTO i3i XXIII Quattro volte era apparso il sol nell'orto, Da che la nave si spiccò dal lito, JVè mai (ch'uopo non fu) s'accolse in porto, £ tanto del cammino ha già fornito: Or entra nello stretto, e passa il corto Varco ^ e s'ingolfa in pelago infinito. Se '1 mar qui è tanto, ove il terreno il serra, Che fia colà dov'egli ha in sen la terra? XXIV Più non si vede ornai tra gli alti flutti La fertil Cade, e T altre due vicine. Fuggite son le terre e i lidi tutti: Dell' onda il ciel, del ciel l'onda è confine. Diceva Ubaldo allor: tu che condutti JV'hai, donna, in questo m^r che non ha fine, Di' s' altri mai qui giunse, o se più innante Nel mondo, ove corriamo, have abitante. XXV Risponde: Ercole, poi ch'uccisi i mostri Ebbe di Libia, e del paese Ispano, E tutti scorsi e vinti i lidi vostri, Non osò di tentar l'alto oceano: Segnò le mete, e'n troppo brevi chiostri L'ardir ristrinse dell'ingegno umano; Ma quei segni sprezzò ch'egli prescrìsse. Di veder vago e di sapere, Ulisse. i32 LA GERUSALEMME XXVI Ei passò le colonne, e per l'aperto Mare spiegò de' remi il volo audace; Ma non giovagli esser nell'onde esperto, Perchè inghiottillo Focean vorace: E giacque col suo corpo anco coperto n suo gran caso, ch'or tra voi si tace. S'altri vi fu da' venti a forza spinto, O non tomonne, o vi rimase estinto ; XXVII Sicché ignoto è'I gran mar che solchi; ignote Isde mille e mille regni asconde : Né già d'abitator le terre han vote ; Ma son, come le vostre, anco feconde. Son esse atte al produr; né steri! puote Esser quella virtù che '1 sol v'infonde. Ripiglia Ubaldo allor: del mondo occulto, Dimmi, quai son le leggi, e quale il colto? XXVIII Gli soggiunse colei: diverse bande Diversi han riti, ed abiti e favelle. Altri adora le belve; altri la grande Comune madre; il sole altri e le stelle. V'é chi d'abbominevoli vivande Le mense ingombra scellerate e felle : E insomma ognun che'n qua da Galpe siede. Barbaro è di costumi, empio di fede. CANTO DECIMOQUINTO i33 XXIX Danque (a lei replicava il cavaliero) Quel Dio che scese a illuminar le carte, Vuole ogni raggio ricoprir del vero A quesu che del mondo è sì gran parte? Nò, rispose ella, anzi la fè di Piero Fiavi introdotta, ed ogni civil arte: Né già sempre sarà che la via lunga Questi da' vostri popoli disgiunga. XXX Tempo verrà chefian d'Ercole i segni Favola vile a i naviganti industri , £ i mar riposti, or senza nome 9 e i regni Ignoti ancor, tra voi saranno illustri. Fia che '1 più ardito allor di tutti i legni Quanto circonda il mar circondi e lustri, E la terra misuri, immensa mole. Vittorioso, ed emulo del sole. XXXI Un uom dalla Liguria avrà ardimento All'incognito córso esporsi in piìma; Né '1 minaccevol fi*emito del vento. Né r inospito mar, ne 1 dubbio clima, Né s' altro di perìglio o di spavento Più grave *e formidabile or si stima, Faran che '1 generoso entro a i divieti D'Abil^k^angusti l'alta mente acqueti. i34 LA GERUSALEMME XXXfl Tu spiegherai, Colombo, a un nuovo polo Lontane sì le fortunate antenne , Ch'appena seguirà con gU occhi il volo Lia fama, ch'ha mille occhi e mille penne. Canti ella Alcide e Bacco, e di te solo Basti a i postm tuoi ch'alquanto accenne; Che quel poco darà lunga memoria Di poema dignissima e d'istoria* XXX ni Così dice ella ; e per V ondose strade Corre al ponente, e pièga al mezzx) giorno , E vede come incontra il sol giù cade , E come a tergo lor rinasce il giorno: E quando appunto i raggi e le rugiade La bella aurora seminava intomo , Lor s'offrì di lontano oscuro un monte ^ Che tra le nubi nascondea la fronte. xxxiv E 1 vedean poscia, procedendo avante , Quando ogni nuvol già n'era rimosso^ All'acute piramidi sembiante, Sottile in ver' la cima^ e in mezno grosso-; E mostrarsi talor così fumante, . ■; ' • Come quel che d' Encelàdo'é stil dosso:. Che per propria natnra il giorno ftmià^ * £ poi la notte il ciel di fiamiiie all^^^* a^JSfTO DECIMOQUINTO i35 Ecco altre ìsole insieme, slxxe pendici Scoppiano alfin men erte ed alevate , Ed eran queste Y isole £sliei : Cosi le nominò la prisca etate , A cui tanto stimava i cieli (mucì , Che credea volontarie, e non arate Qui partorir le terre , e 'n più graditi Frutti non eulte geraiogUar le Titi^ XXXVI ^ Qui non fallaci noiai fiorir gli olivi, E '1 mei , dicea, stilbr daU' elei cav« : E scender giù da lor montagne i livi Con acque dolci e mormorio soare: E zefiri e rugiade i ra^i esitÌYÌ Temprarvi sì, che nullo ardor v'è grave: E qui gli Elisi campi, e le famose Stanze delle beate anime pose« XXXVII A queste or vien la doniia , ed amai eetè Dal fin del corso, lor dioca , non lunge : 1/ isole di Fortuna ora vodetó. Di cui gran fama a voi, ma iiKerta, giwnge. Ben 8on elle feconde, e Taghe e liete; ' Ma pur molto di £dso ai ver s' aggiunge. Così parbndo, assai presso si feoe A quella, che la prima è delle dieoè. ^ • i36 LA GERUSALEMME XXXVIII Carlo incomincia allor: se ciò concede^ Donna, quell'alta impresa ove ci guidi , Lasciami ornai por nella terra il piede , £ veder questi inconosciuti lidi : Veder le genti, e 1 culto di lor fede, E tutto quello ond' uom saggio m' invidi , Quando mi gioverà narrare altrui lie novità vedute, e dire : io fui. ^ XXXIX Gli rispose colei : ben degna invero La domanda è di te; ma che poss' io, S' egli osta inviolabile e severo n decreto de' cieli al bel desio? Ch' ancor volto non è lo spazio intero Gh' al grande scoprimento ha fisso Dio; Né lece a voi dall' ocean profondo Recar vera notizia al vostro mondo. XL A voi per grazia, e sovra Tarte e V uso De' naviganti, ir per quest' acque è dato* E scender la dove è il gujBrrier rinchiuso , E ridurlo del mondo all' altro lato. Tanto vi basti ; e 1' as])irar })iù suso Supeii)ir fora, e calcitrar col fato. Qui tacque; e già parca più bassa farsi L' isola prima , e la seconda alzarsi. CANTO DECIMOQUINTO t3^ Ella mostrando già eh' alF oriente Tutte con òrdin lungo eran dirette , £ che largo è fra lor quasi egualmeoie Quello spazio di mar che si franunette. Ponsi veder d' abitatrice genie Case 9 e culture, ed altri segni in sette: Tre deserte ne sono, e v'han le belve Sicurissima lana in monii e in selve» XLII Luogo è in una dell'erme assai riposto^ Ove si curva il lido e in fuori stende Due lunghe coma, e fra lor tiene ascosto Un ampio seno, e porto un scòglio rende, Ch' a lui la fronte , e '1 tergo all' onda ha op})Oslo Che vien dall' alto, e la respinge e fende. • S'innalzan quinci e quindi, e torreggiami Fan due gran rupi segno a' naviganti. XLIII Tacciona sotto i mar sicuri in pace : Sovra ha di negre selve opaca scena; E 'n mezzo d' esse una spelonca giace D' edere e d' ombre, e di dolci acque amena: Fune non léga c^ui, uè col tenace Morso le stanche navi ancora frena; La donna in si solinga e queta parte Entrava, e raccogliea le vele sparte. i38 LA GERUSALEMME xnv Mirate, disse poi, cpiell' alta mde Che di quel monte in sulla cima siede : Quivi fra cibi, ed ozio, e scherzi, e fole Torpe il campion della cristiana fede. Voi , con la guida del nascente sole, Su per queir erto moverete il piede : Né vi gravi il tardar^ però che fora, Se non la mattutina, ingiusta o^' ora. XLV Ben col lume del dì , eh* anco riluce, Inlìno al monte andar per voi potrassi. Essi al congedo della noKl duce Poser nel lido desiato i passi, E ritrovar la via, clV a lui conduce, AgeVol sì che i pie non ne fur lassi; E quando v* arrivar, dalF oceano Era il carro di Febo anco lontano. XLVI Veggion che per dirupi , e fra rainc S' ascende alla sua cima alta e superba; E eh' è fin la di nevi e di pruine Sparsa ogni strada: ivi ha poi fiori ed eiÌNi« Presso al canuto mento il verde. mne Frondeggia , e 1 ghiaccio fede ai gigli sèrba- Ed alle rose tenere: cotanto Puote sovra nawra arte d' incanto. . CANTO DECIMOQUINTX) i39 XLVII t duo guerrieri ia locò ermo e selvagg^i^ Chiuso d' ombre , fermarsi a pie del monte; E come il ciel rigò col nuovo raggio ti sol, dell' aurea luce etemo fonte: Su su , gridaro entrambi; e 1 lor viaggio Ricominciar con voglie ardite e pronte. Ma esce, non so donde, e s attraversa Fiera, serpendo, orribile e diversa» . . xnviii Innalza d' oro squallido squamose- Le creste e '1 capo, e gonfia il collo d' ira: Arde negli occhi, e le vie tutte ascose Tien sotto il ventre , e tosco e fumo spirai Or rientra in se stessa, or le nodose Ruote distende, e se dopo se tira: Tal s' appresenta alla solita guarda ; Né però de' guerrieri i passi tarda. II. Già Carlo il ferro stringe, e 'l sèrpe assale; Ma r altro : grida a lui : clie fai ? che tente? Per isforzo di mari, óotx 'aime tale. Vincer avviai il difensor serpente? E^li scuote la verga aurea immortale, Si che la belvaii, sibilar ne sente;; .: » ' '. £ impaurita kl'^snjòa , fuggendo ratta-, i'^ ^ Lascia quel varco lib«o, e s' appiaCuu. i4o LA GERUSALEMME Più soso alquanto il passo a ìoc cont€nde Fero leon che rugge e torvo guata, E i velli arrizza, e le caverne orrende Della bocca vorace apre e dilata: Si sferza con la coda, e l' ire accende; Ma non è prìa la verga a lui mostrau, Gh' un secreto spavento al cor gli agghiaccia Ogni nativa ardire, e 'n fuga il caccia. LI Segue la coppia il suo cammin veloce^ ' Ma formidabile C6te han già d' avante Di guerrieri animai, varj di voce, Varj di moto, e var) di sembiante* Ciò che di mostruoso e di feroee Erra fra 1 Nilo, ei termini d' Atlante, Par qui tutto raccolto , e quante belve L' Ercinia ha in sen , quante l' Iix^ne selve. LII Ma pur sì fero esercito e sì grossa Non vien che lor respinga, o lòr resista: ^nzi (miracol novo!) in fuga è mosso Da. un picciol fischio , e da una breve vista. La còppia ornai vittoriosa, il dosso Della mpntagna senza intoppò: acquista, Se non se inquanto il gelido e l'alpino Delle rìgìdie vie/tarda il cammino. CANTO DECIMOQUINTO i4i LUI Ma poi che già le nevi ebber varcate , E superato il discosceso e l'erto , Un bel tepido ciel di dolce state Trovaro, e 1 pian sul monte ampio ed aperto < Aure fresche mai sempre ed odorate Vi spiran con tenor stabile e certo; Né i fiati lor , eccome altrove suole y Sopisce o desta, ivi girando, il sole. LIV Né, come altrove suol , ghiacci ed ardori ^ Nubi e sereni , a qmslle piagge alterna; Ma il ciel di candidissimi splendori Sempre s' ammanta, e non s'infiamma, o verna; E nudre a i prati V erba, all' erba i fiori , A i fior r odor, V ombra alle piante etema. Siede sul lago , e signoreggia iutomo I monti e i mari il bel palagio adorno. LV I cavalier per V alta aspra s^Jita Sentiansi alquanto afiaticati e lassi , Onde ne gian per quella via fiorita Lenti or movendo, ed or fermando i passi; Quando ecco un fonte che a bagnar gV invita L' asciutte labbra , alto cader da' sassi E da una larga vena, e con ben mille Zampilletti spruzzar l' erbe di stille: 14^ LA GERUSALEMME LVI Ma tutta insieme poi tra veixli sponcle In profondo carnai 1* acqua s' aduna , E sotto r ombra di peqietue fronde Mormorando sen ya gelida e bruna, Ma trasparente sì die non asconde ^Deir imo letto suo vaghezza alcuna; E sovra le sue rive alta s'estiJle L'erbetta , e vi fa seggio fresco e molle. LVII Ecco il fonte del riso, ed ecco il rio Che mortali perìgli in se contiene. Or qui tener a fren nostro desio, Ed esser cauti molto a noi conviene. Chiudiam Y orecchie al dolce canto e rio Di queste del piacer false Sirene. Così n' andar fin dove il fiume vago Si spande in maggior letto, e forma un lago. LVIII Quivi di cibi preziosa e cara Apprestata è una mensa in sulle rive, E scherzando sen van per ì' acqua chiara Due donzellette garrule e lascive, Ch' or si spruzzano il volto, or fanno a gara Chi prima a un segno destinato arrive: Si tuffano taPora, e 1 capo e il dorso Scoprono alfin dopo il cebto corso. CANTO DECIMOQUINTO 1 43 Mosser le natatrìci igaude e belle De' duo guerrieri alquanto i duri petti , Sicché fermarsi a riguardarle ; ed elle Seguiau piu-e i lor giochi e i lor diletti. Una intanto drizzossi, e le mammelle E tutto ciò che più la vista alletti ^ Mostrò dal seno in suso aperto al cielo : El lago all'altre membra era un bel velo. Qual mattutina stella esce dall' onde Rugiadosa e stillante.; o come fuore Spuntò y nascendo già dalle feconde Spume dell' ocean ^ la Dea d' sonore ; Tale apparve, costei : tal le sue bionde Chiome stillavan oislallino umore. Poi girò gli occhi; e pur allor s'infinse Que'duo vedere, e in se tutta si strinse. LXI E'I crìn, che*n cima al capo avea raccolto ! In un sol nodo , immantinente sciolse, Che lunghissimo in giù cadendo , e foko^ D' un aureo manto i molti avorj involse. Oh che vago spettacolo è lor colto! Ma non men vago fa e 1 vel compose. XXIV Nel superbo pavon sì vago in mastra Spiega la pompa dell' occhiute piume; Né r Iride sì bdila indora e inostra Il curvo grembo e rugiadoso al lume . Ma bel sovra ogni fregio il cinto mostra, Che seppur nuda ha di lasciar costume. Die corpo a chi non V ebbe, e quando il fece Tempre mischiò eh' altrui mescer non lece.; XXV Teneri sdegni, e placide e tranquille Repulse, cari vezzi, e liete paci. Sorrisi, parolette, e dolci stille Di pianto, e sospir tronchi, e molli baci; Fuse tai cose tutte, e poscia unille, Ed al foco temprò di lente faci; E ne formò quel sì mirabil cinto, Di eh' ella aveva il bel fianco succinto. i56 LA GERUSALEMME XXVI Fine alfin posto al vagheggiar , ridiiede A lui conaiato, e 1 bacia , e si diparte: Ella per uso il dì u' esce, e rivede Gli affari suoi, le sue magiche carte. Egli riman; che a lui non si concede Por piede, o trar momento in altra parte : E fra le fere spazia e tra le piante, Se non quanto è con lei, romito amante. XXVII Ma quando V ombra co i silenz) amici Rappella a i fiirti lor gli amanti accorti, Traggono le notturne ore felici Sotto un tetto medesmo entro a quegli orti. Or poi che, volta a più severi ufficj , Lasciò Armida il giardino e i suoi diporti^ I duo, che tra i cespugli eran celati. Scoprirsi a lui pomposamente armati. XXVIII Qual feroce destrier che al faticoso Gnor deir arme vincitor sia tolto, E lascivo marito, in vii rì]x>so. Fra gli armenti e ne' paschi erri discioltó. Se 1 desta o suon di tromba, o luminoso Acciar, colà tosto annitrendo è volto; Già già brama Y arringo, e Y uom sul dorsa Portando urtato rìurtar nel corso; CANTO DECIMOSESTO i5^ XXIX Tal si fece il garzon, quando repente Dell' arme il lampo gli occhi suoi percosse. Quel sì guerrìer, quel sì feroce ardente Suo spirto a quel fìilgor tutto si scosse, Benché tra gli agi morbidi languente, E tra i piaceri ebro e sopito ei fosse. Intanto Ubaldo oltra ne viene, e V terso Adamantino scudo ha in lui converso. XXX Egli al lucido scudo il guardo gira; Onde si specchia in lui qual siasi, e quanto Con delicato culto adomo, spira Tutto odori e lascivie il crine e 1 manto; E 1 ferro, il ferro aver, non eh' altro, mira Dal troppo lusso effeminato accanto: GuerrMito è sì, eh' inutile ornamento Sembra, non militar fero instrumento. XXXI Qual uom da cupo e grave sonno oppresso Dopo vaneggiar lungo in se riviene; Tale ei tornò nel rimirar se stesso. Ma se stesso mirar già non sostiene. Giù cade il guardo; e timido e dimesso Guardando a terra la vergogna il tiene. Si chiuderebbe e sotto il mare e dentro D foco, per celarsi, e giù nel centro. i58 LA GERUSALEMME XXXII Ubaldo incQmiQciò parlando allora: Va r Asia latta, e va V Europa in gaemt: Chiunqae e pregio brama, e Cristo adora', Travaglia in arme or nella Siria terra : Te solo, o figlio di Bertdldo, fuora Del mondo, in ozio, un breve angolo serra : Te sol dell' universo il moto nulla Muove, egregio campion d' una fanciulla. XXXIII Qual sonno , o qual letai^ ha si sopita La tua virtute? o qual viltà V alletta? Su su: te il campo, e te Goflfredo invita. Te la fortuna e la vittoria aspetta. Vieni, o £ital guerriero, e sia fornita lia ben comincia impresa; e Y empia setta, Che già crollasti, a terra estinta cada Sotto r inevitabile tua spada. XXXIV Tacque; e 1 nobil garzon restò per poco Spazio confusof e senza moto e voce. Ma YKÀ che die vergogna a sdégno loco , Sdegno guerrier della ragion feroce, E eh' al rossor del volto un nuovo foco Successe che più avvampa, e che più coce ; Squarciassi i vani fregi, e quelle indegne l'^ompe, di servitù misere insegne; CANTO DECIMOSESTO iSq XXXV Ed affrettò il partire, e della torta Confusione usci del laberìnto. Intanto Armida della regal porta Mirò giacere il fier custode estinto. Sospettò prima 9 e si fu poscia accorta Ch' era il suo caro al dipartirsi accinto; E il vide (ahi fera vista!) al dolce alberga Dar frettoloso fuggitivo il tergo* xxxvi Volea gridar: dove, o cnidel, me scJa Lasci? ma il varco al suon chiuse il dolore, Sì che tornò la flebile parola Più amara indietro a rimbombar sul core. Misera! i suoi diletti ora le invola Forza, e saper del suo saper maggiore: Ella se 1 vede , e in van pur s argomenta Di ritenerlo , e Y arti sue ritenta. XXXVII Quante mormorò mai profane nq^e Tessala maga con la bocca immonda: Ciò che arrestar può le celesti rote, E l'ombre trar della prìgion profonda, Sapeaben tutto; e pur oprar non puote. Che aknen Y inferno al suo parlar risponda. Lascia gl'incanti, e vuol provar se vaga E supplice beltà sia miglior maga. i6o LA GERUSALEMME XXXVIII Corre, e non ha d'onor cnra o ritegno. Ahi dove or sono i suoi trionfi e i vanti? Costei d' amor, quanto e^i è grande, il regn» Volse e rivolse sol col cenno innanti j E cosi pari al fasto ebbe lo sdegno, Che amò d' esser amata, odiò gU-anianti : Se gradi sola, e fuor di se in altrui Scd qualche effetto de' begli occhi sui. XXXIX Or negletta e schernita, e in abbandono Rimasa, segue pur chi fugge e sprezza; . E procura adomar co' pianti il dono Rifiutato per se di sua bellezza. Vassene; ed al pie tenero non sono Quel gelo intoppo e quell'alpina asprezza^ E invia per messaggieri innanzi i gridi ; Né giunge lui pria ch'ei sia giunto a i lìdi.. XL Forsennata gridava: otu che porte Teco parte di me, parte ne lassi; O prendi V uaa o rendi l' altra, o morte Da' insieme ad ambe : arresta, arresta i passi ^ Sol che ti sian le voci ultime porte, Non dico i baci : altra più degna avrassi Questi da te. Che temi, empio, se resti? Potrai negar , poiché fiiggìr potesti^ CANTO DECIMOSESTO i6i XLI Dissegli Ubaldo allor: già non conviene Che d'aspettar costei, signor, ricusi: Di beltà armata, e de' suoi preghi or viene Dolcemente nel pianto amaro infusi. Qual più forte di te, se le Sirene Vedendo ed ascolundo, a vincer t'usi? Cosi ragion pacifica reina De' sensi fassi, e se medesma affina. XLII Allor ristette il cavaliero; ed ella Sovraggiunse anelante e lagrimosa ; Dolente sì che nulla più, ma bella Altrettanto però quanto dogliosa. Lui guarda , e in lui s affisa, e non favella. O che sdegna, o che pensa, o che non osa. £i lei non mira , e se pur mira , il guardo Furtivo volge, e vergognoso e tardo. XLIII Qual musico gentil , prima che chiara Altamente la lingua al canto snodi , Air armonia gli animi altrui prepara Con dolci ricercate in bassi modi} Cosi costei , che nella doglia amara Già tutte non oblia V arti e le frodi, Fa di sospir breve concento in prima , Per dispor V alma in cui le voci imprima. T. IL M >ì5a LA GERUSALEMME XLIV Poi GÒminciò: non aspettar ch'io preghi, Crudel te, come amante amante deve: Tai fummo un tempo; or se tal es^r neghi, E di ciò la memoria anco t' è greve, Come nemico almeno ascolla: i preghi jy un nemico talor Y aluro riceve. Ben quel eh' io chieggo è tal che darlo puoi, E integri conservar ^ sdegni tuoi« XLV Se m' od)., e in ciò diletto alcun tu senti, IS^on ten vengo a privar: godi pur d' esso: Giusto a te pare, e siasi; anch'io le genti Cristiane odiai ^ noi nego^ odiai te stesso. !Nac(|ui pagana: usai var) argomenti, Che per me fosse U vostro imperio oj^esso: Te perseguii^ te presi e te, lontano Dall' arme j trassi in. loco ignoto e strano. XLVI Aggiungi a questo ancor quel eh' a maggiore Onta tu rechi ,^ ed a maggior tuo danno: T' ingannai ^ V allettai nel nostro amore; Empia lusinga certo^ iniquo ingamM), Lasciarsi corre il verginal suo fiore; Far delle sue bellezze ^trui tiranno; Quelle eh' a biille antichi in premio sono ^egatQ^ offrirle a un nuovo amante in dono. CANTO DECIMOSESTO I63^ XLVIl Sia questa pur tra le mie frodi, e vaglia Sì di tante mie colpe in te il difetto/ Che tu quinci ti patta , e non ti caglia Di (Juesto albergo tifo già si diletto. Vattene, passa il mai-, pugna, travaglia. Struggi la fede nostra: anch' io t' affretto. Che dico nostra ? ah non più mia ! fedele Sono a te solo, idolo mio crudele. XLVIII Solo eh' io segua te mi si conceda , Picciola fra' nemici anco richiesta; Non lascia indietro il predator la preda: Va il trionfante , il prigionier non resta. Me fra r altre tue spoglie il campo veda, Ed all'altre tue lodi aggiunga questa; Che la tua schemitrìce abbia schernito , Mostrando me sprezzata ancella a dito. IL Sprezzata ancella, a chi fo più conserva Di questa chioma, or eh' a te fatta è vile? KaccorcieroUaral titolo di serva Vuo' portamento accompagnar servile. Te seguirò, quando l' ardor più ferva Della battaglia, entro la turba ostile. Animo ho bene , ho ben vigor che baste A conduiti i cavalli , a portar V aste» i64 LA GERUSALEMME Sarò qual più vorrai scudiero o scado: Non fia eh' ia tua difesa io mi risparmi. Per questo sen, per questo collo ignudo , Pria che giungano a te, passeran Y armi. Barbaro forse non sarà sì crudo, Che ti voglia ferir per non piagarmi, Condonando il piacer della vendetta A questa, qual si sia, beltà negletta. LI Misera! ancor presumo? ancor mi vanto Di schernita beltà che nulla impetra? Volea più dir j ma V interrup{)e il pianto, Che qual fonte sorgea d' alpina pietra. Prendergli cerca allor la destra o 1 manto^ Supplichevole in atto, ed ei s'arretra. Resiste, e vince; e in lui trova impedita Amor r entrata, il lagrìmar l'uscita. tu Non entra amor a rinnovar nel seno Che ragion congelò, la fiamma antica; V entra pietate in quella vece almeno^ Pur compagna d' amor, benché pudica; E lui commove in guisa tal, che a freno Può ritener le lagrime a fatica. Pur quel tenero affetto enu^o restringe, £ quanto può g^i atti compone e infinge. CANTO DECIMOSESTO i65 LUI Poi le risponde : Armida, assai mi pesa Di te: sì potess' io, come il farei, ^ ' Del mal concetto ardor V anima accesa Sgombrarti; odii non sòn, né sdegni i miei , Né vuo' vendetta, né rammento offesa* Né serva tu, né tu nemica sei. Errasti, é vero, e trapassasti i modi. Ora gli amori esercitando, or gli odj. LIV Ma che? son colpe umane, e colpe usate: Scuso la natia legge, il sesso, e gli anni. Anch' io parte fallii : se a me piotate Negar non vuo', non fia eh' io te condanni. Fra le care memorie ed onorate Mi sarai nelle gioie, e negli affanni : Sarò tua cavalier, quanto concede I.a guerra d'Asia, e con l' onor la fede» LV Deh! che del fallir nostro or qui sia il fine, E di nostre vergogne ornai ti spiaccia; Ed in questo del mondo ermo confine La memoria di lor sepolta giaccia. Sola, in Europa e nelle due vicine Parti, fra l' opre mie questa si taccia. Deh non voler che segni ignobil fregio Tua beltà , tuo valor, tuo sangue regio. i66 LA GERUSALEMME ' ^""'^ Rimanti in pace: T vado; a te non lice Meco venir; chi mi conduce il vieta* Rimanti, o va' per altra via felice, E, come saggia, i tuoi dolori acqueta. Ella, mentre il guerriér cosi le dice, Non trova loco, torbida inquieta: Già buona^ pezza in dispettosa fronte Torva il riguarda; alfin prorompe all'onte: LVII Né te Sofia. produsse, e non sei nato Dell' Azio sangue tu: te Y onda insana Del mar produsse , e'I Caucaso gelato, E le mamme allattar di tigre Ircana. Che dissimulo io più? l' uomo spietato Pur un segno non die di mente umana. Forse cambiò color? forse al mio duolo Bagnò almen gli occhi, o sparse un sospir solo? LVIII Quali cose tralascio, o quai ridico? S'offre per mio: mi fugge, e m'abbandona. Quasi buon vincitor di reo nemico Oblia le offese , e i falli aspri perdona. Odi come consiglia! odi il pudico Senocrate, d'amor come ragiona! O cielo, o Dei, perchè soffrir questi empi, Fulminar poi le torri e i vostri tempj? CANTO DECIMOSESTO 167 LIX Vattene pur, crudel, con quella pace Che lasci a me; vattene, iniquo, ornai. Me tosto ignudo spirto, omlx'a seguace. Indivisibilmente a tergo avrai. Nuova furia co' serpi e con la fece Tanto t' agiterò, quanto t' amai, E s'è destin ch'esca del mar, che sellivi Gli scogli e l'onde, e che alla pugna arrivi, LX Là tra'l sangue e le morti, ègro giacente Mi pagherai le pene, empio guerriero: Per nome Armida chiamerai sovente Negli ultimi singulti: udir ciò spero. Or qui mancò lo spirto alla dedente, Né questo ultimo suono espresse intero; £ cadde tramortita, e si diffuse Di gelato sudore, e i lumi chiuse. LXI Chiudesti i lumi, Armida: il cielo avaro Invidiò il conforto a i tuoi martirj. Apri, misera, gli occhi: il pianto amaro Negli occhi al tuo nemico or che non miri? Oh s'udir tu '1 potessi, oh come caro T' addcdcirebbe il suon de' suol sospiri! Dà quanto ei puote e prende ( e tu noi credi ) Pietoso in vista gli ultimi congedi. i68 LA GERUSALEMME LXII Or ohe farà? dee suU' ignuda arena Costei lasciar così tra viva, e morta? Cortesia lo ritien, pietà Taffrena: Dura necessità seco nel porta. Parte; e di lievi zefiri è ripiena La chioma di colei che gli fa scorta. Vola per Talto mar l'aurata vela : Ei guarda il lido; e 1 lido ecco si cela. LXIII Poi ch'ella in se tornò , deserto e mùto^ Quanto mirar potè, d'intorno scorse: Ito se n'è }>ur, disse, ed hlT potuto Me qui lasciar della mia vita in forse? Né un momento indugiò? né un breve aiuta Nel caso estremo il traditor mi porse? Ed io pur anco l'amo? e in questo Udo Invendicata ancor piango , e m'assido? LXIV Che fa più meco il pianto? altr'arme, altr'arte Io non ho dunque? ahi seguirò pur l' empio; Né l'abisso per lui riposta parte, Né il ciel sarà per lui sicuro tempio. Già '1 giungo e'I prendo e '1 cor gli svcUo , e sparta I^e membi-a appendo, a i dispietati esempio. Mastro e di ferità: vuo' sufierarlo Nell'arti sue; ma doVe son? che parlo? CANTO DECIMOSESTO i6g LXV Misera Annida , allor dovevi , e degno Ben era , in quel crudele incrudelire Che tu prìgion T avesti: or tardo sdegno T'infiamma, e muovi negliittosa Tire. Pur se beltà può nulla o scaltro ingegno , Non fia voto d' effetto il mio desire. O mia sprezzata forma , a te s' aspetta , Che tua T ingiuria fu, Talta vendetta. ^ LXVI Questa bellézza mia sarà mercede Del troncator dell* esecrabil testa. O miei famosi amanti , ecco si chiede DifTicil sì, da voi, ma impresa onesta. Io che sarò d' ampie ricchezze erede , D' una vendetta la guiderdon son presta. S' esser compra a tal prezzo indegna io sono , Beltà, sei di natura inutil dono, Lxvn Dono infelice, io ti rifiuto, e insieme Odio Tesser reina e V esser viva, £ r esser nata mai : sol fa la speme Della dolce vendetta, ancor ch'io viva. Cosi in voci interrotte irata freme, £ torce il pie dalla deserta riva , Mostrando ben quanto ha fiiror raccolto, Sparsa il crin, bieca gli occhi, accesa il volto. 170 LA GERUSALEMME LXVIII Giunta agli alberghi suoi chiamò trecento^ Con lingua orrenda, deità d' avemo. S' empie il ciel d' atre nubi, e in un momenio Impallidisce il gran pianeta etemo; £ soffia, e scuote i gioghi alpestri il venAo» Ecco già sotto i pie mugghiar Y inferno: Quanto gira il palagio, udresti irati Sibili ed urli, e fremiti e latrati. LXIX Ombra più che di notte , in cui di luce Raggio misto non è, tutto il circonda, Se non se in quanto un lampeggiar riluce Per entro la caligine profonda. Gessa alfin T ombra, e i raggi il sol riduce Pallidi , né ben V aria anco è gioconda ; Né più il palagio appar , né pur le sue Vestigia, né dir puossi : egli qui fue. Come inunagin talor d'immensa mole Forman nubi nell' aria , e poco dura. Che '1 vento la disperde, o solve il sole; Come sogno sen va , eh' ^ro figura ; Così sparver gli alberghi, e restar sole L' alpi, e r orror che fece ivi natura. Ella sul carro suo , che presto aveva, S'asside e, come ha in uso, al ciel si leva. CANTO BECIMOSESTO 1 7 1 LXXI Calca le nubi , e tratta V aure a volo^ Cinta di nembi e turbini sonori: Passa i lidi soggetti all' altro polo ^ £ le terre d' ignoti abitatori; Passa d'Alcide i terniini , né '1 suolo Appressa degli Esperj, o quel de' Morì: Ma su i man sospéso il corso tiene, Infin che ai lidi di Sona perviene. LXXII Quinci a Damasco non s'invia , ma schiva n già si caro della patria aspetto , £ drizza il carro all' infeconda riva , Ov' è tra r onde il suo castello eretto. Qui giunta, i servi e le donzelle priva Di sua presenza , e sceglie ermo ricetto , £ fra varj pensier dubbia s' aggira: ,Ma tosto cede la vergogna all' ira. LXXIII Io n' andrò pur, die' ella , anzi che l' armi Dell' oriente il re d' Egitto muova : Ritentar ciascun' arte, e transmutarral In ogni forma insolita mi giova; Trattar l' arco e la spada , e serva farmi De' più potenti , e concitargli a prova ; Purché le mie vendette 10 veggia in parte^ Il rispetto e l' onor stiasi in disparte. i7a LA GERUSALEMME LXXIV Non accasi già me, iHa^ se stessa H mio custode e zio, che cosi Tolse; Ei Falma baldanzosa e '1 iragil sesso A i non debiti ufficj in prima volse: Esso mi fé' donna vagante; ed esso Spronò r ardire e la vergogna sciolse: Tutto si rechi a lui ciò che d' indegna Fei per amore, o che farò per sdegno* LXXV Cosi conchiude: e cavalieri, e donne , Paggi, e sergenti frettolosa aduna; E ne' superbi arnesi e nelle gonne L'arte dispiega, e la regal fortuna ; E in via si pone , e non è mai che assonne , O che si posi al sole od alla luna , Sin che non giunge ove le schiere amiche Goprian di Gaza le campagne apriche. LA GERUSALEMME LIBERATA CANTO DECIMOSETTIMO ARGOMENTO U suo esercito immenso in mostra chiama V Egizio^ e poi contra i Cristian rinvia. Armida j che pur di Rinaldo brama La morte y con sua gente anco giungia; E per meglio saziar sua crudel brama^ Se in guiderdon della s^endetta offria. Ei restia intanto armi fatali^ do^e Mira impresse degli a^i illustri pros^e. VJTAZA è città della Giudea nel fine, Su quella via ch'in ver Pelusio mena: Posta in riva del mare, ed ha vicine Immense solitudini d'arena, Le quai, come Austro suol Tonde marine, Mesce il turbo spirante j onde a gran pena Ritrova il peregrìn riparo o scampo Nelle tempeste dell' insubil campo. 174 LA GERUSALEMME II Del re d'£giti0 è la città frcmtiera , Da lai grftn tenspo innanzi ai Turchi tolta; E però ch'opportuna e prossima era All'alta im{M-esa, ove la mente ha volta , Lasciando Menfi, ch^è sua reggia altera ^ Qui traslato il gran seggio, e qui raccolta Già da varie provincie insieme avea L' innumerabir oste all'asseroUea. Ili Musa, qualtf stagione, e qnal là fosse Stato di cose, or tu mi reca a mente; Qual'arme il grande imperator, qiìai posse, Qual serva avesse, e qual compagna gente. Quando del mezzogiorno in guerra mosse Le forze, e i regi, e l'ultimo oriente: Tu sol le schiere e i duci, e sotto l'arme Mezzo il mondo raccolto or puoi dettarme. IV Poscia che ribellante al Greco impero Si sottrasse l'Egitto, e mutò fede, Del sangue di Macon nato un guerriera Sen fé' tiranno , e vi fondò la sede. Ei fu detto Califfo, e del primiero Chi tien lo scettro al nome anco succede. Cosi per ordin lungo il Nilo i suoi Faraon vide, e i Tolomei dipoi. CANTO DEélMOSETTIMO 175 T Volgendo gli anni il regno è stabilita. Ed accresciuto in goisa tal che viene, Asia e Libia ingombrando, al Sirio lito Da' Marmarici fini, e da Cirene, E passa a dentro incontra all'infinito Corso del Nilo assai sovra Siene, £ quinci alle campagne inabitate Va della Sabbia, e quindi al grand' Eufrate. VI A destra ed a sinistra in se comprende 1/ odorata maremma, e '1 ricco mare, E fiior dell'Eritreo molto si stende Incontro al sol che mattutino appare. L' imperio ha in se gran forze, e più le rende Il re, ch'or lo governa, illustri e chiare; Ch'è per sangae signor, ma più per merto, Nell'arti regie e militari esperto. V» Questi or co' Turchi, or con le genti Perse Più guerre fe% le mosse, e le respinse: Fu perdente, e vincente; e nell' avverse Fortune fu maggior che qiiando vinse. Poi che la grave età più non sofferse Dell'armi il peso, alfin la spada scinse; Ma non depose il suo guerriero ingegno. Né d'onore il desio vasto, e di regno. 176 LA GERUSALEMME vili Ancor gaerreggia per mioistri, ed ay» Taaio vigor di meote e di parole, Che della monardiia la soma grave Non sembra agli anni suoi soverchia mole. Sparsa in minuti regni Affrica pavé Tutta al suo nome, e 1 remoto Indo il cole; E gli poi^e altri volontario aiuto D'annate gend, ed altri d'or tributo. IX Tanto e si fatto re Tarme raguna; Anzi pur adunate ornai raffretta Contra il sorgente imperiò , e la fortuna Franca, nelle vittorie ornai sospetta. Armida ultima vien : giunge opportuna Nell'ora appunto allo rassegna eletta. Fuor delle mura in spazioso campo Passa dinanzi a lui schierato il campo. Egli in sublime soglio, a cui per cento Gradi eburnei s'ascende^ altero siede; E sotto r ombra d' un gran ciel d'argenta Porpora intesta d'or preme col piede: E ricco di barbarico ornamento In abito regal splender si vede. Fan, toru in mille fasce, i bianchi lini Alto diadema in nuova forma ai crini. CANTO DECIMOSETTIMO 177 XI Lo scettro ha nella destra, e per canuta Barba appar venerabile e severo, E dagli occhi, eh' eude ancor non muta, Spira r ardire e '1 suo vigor primiero : E ben da ciascun atto è sostenuta lia maestà degli anni, e dell' impero. Apelle forse , o Fidia , in tal sembiante Giove formò, ma Giove allor tonante. XII Stannogli a destra V un, l'altro a sinistra Duo satrapi i maggiori; alza il più degno La nuda spada del rigor ministra; L' altro il sigillo ha del suo ufficio in segno. Custode un de' secreti , al re ministra Opra ci vii ne' grandi affar del regno; Ma prence degli eserciti, e con piena Possanza è l'altro ordinator di pena. ' xiii Sotto , folta corona al seggio fanno Con fedel guardia i suoi Circassi astati , Ed oltre l'aste hanno corazze , ed hanno Spade lunghe e ricurve JilF un de' lati. Cosi sedea, così scopria il tiranno Da eccelsa parte i popoli adunati. Tutte a' suoi pie, nel trapassar, le schiere Chinan, quasi adorando, armi e bandiere. T. Il l'i 178 LA GERUSALEMME XIV n popol jieir Egitto ia ordini primo Fa di se mostra, e quattro i duci sono , Duo dell' alto paese, e duo dell' imo, Gli' è del celeste Nilq opera e dono: Al mare usurpò il letto il jfenil limo, E rassodajko al coltivar f^ huooo. Si crebbe Egitto : oh qi^aato a dentro è posto Quel che fa lido a i naviganti esposto ! XV Nel primierp squs»4rope appar la gente, Ch'abitò d' Alessandria il ricco piaqo, Gh' abitò il lido, volto all' occidente, Gli' §sser comincia on)ai Udo Affricano. Araspe è il duc^ lor, duce patente D' ingegqo più che di vigor di mano. £i di furtivi agnati è mastro egregio , £ d' ogn 9rte Moresca in guerra ha '1 pre^. XVI Secondan quei che posti in v^i? Y aurora Nella costa Asmatica albergaro, £ gli gu^^ Ai;ont90^ cui uulla oppr^ Pregio o viftù , pia titdi il, fai^ iQhi^r<^ Non sudò il molle sott9 Teln^ 4t|aipo4r^: ^ Né mattutine tromba ai^ Poscia quando ripassa il vareo noto^ Agl'inviti d' Onorio^ il &ro Goto» 196 LA GERUSALEMME LXVIII E quando sembra che più avvampi e ferva Di barbarico incendio Italia tutta^ E quando Roma prigioniera e serva, Sin dal suo fondo teme esser distrutta, Mostra eh' Aurelio in libertà conserva La gente sotto al suo scettro ridatta. Mostragli poi Foresto, che s'oppone All'Unno regnator dell'Aquilone. LXIX Ben si conosce al volto Attila il feUo, Che con occhi di drago par che guati, Ed ha faccia di cane, ed a vedello Dirai che ringhi, e udir credi i latrati. Poi vinto il fiero in singoiar duello Mirasi rifuggir tra gli altri armati, E la difesa d'Aquilea poi torre 11 buon Foresto, dell' Italia Ettorre. LXX Altrove è la sua morte; e 1 suo destino È destin della patria: ecco l'erede Del padre grande, il gran figlio Acarino, Ch'air Italico ovior campion succede: Cedeva a i &ti , e non agli Unni Aitino; Poi riparava in più secura sede: Poi raccoglieva'tifia> cittì di mille lu Val di Po case disperse io ville. CANTO DECIMOSETTIMO 197 LXXI Gontra il gran fiume, che'n diluvio ondeggia, Muniasi, e quindi la città sorgea Che ne' futuri secoli la reggia De' magnanimi Estensi esser dovea. Par che rompa gli Alani, e che si veggia Gontra Odoacro aver poi sorte rea , E morir per l'Italia. Oh nobil morte, Ghe dell' onor paterno il fa consorte! LXXII Gader seco Al^rìsio, ire in esigliò Azzo si vede, e 1 suo fratel con esso, E ritornar con l'arme e col consiglio, Dapoi che fu il tiranno Erulo oppresso : Trafitto di saetta il destro ciglio. Segue l'Estense Epaminonda appresso^ E par lieto morir, poscia che'l crudo Totila è vinto, e salvo il caro scudo. LXXIII Di Bonifacio parlo; e fanciulletto Premea Valerìan l' orme del padre : Già di destra vini, vini di petto, Gemo noi sostenean Gotiche sf{uadre. Non lunge, ferocissimo in aspetto, Fea contra Schiavi Ernesto opre leggiadre : Ma innanzi a lui l'intrepido Aldoardo Da Monselce escludeva il re LiOmbardo. 198 LA GERUSALEMME LXXIV Enrico v' era, e Berengario; e dovè Spiega il gran Carlo la sua augusta insegna, Par ch'egli il primo feritor si trove, Ministro o capitan d' impresa degna. Poi segue Lodovico; e quegli il move Gontra il nipote ch'in Italia regna: Ecco in battaglia il vince, e 1 fa prigione: Eravi poi co' cinque figli Ottone. LXXV V'era Almerico, e si vedea già fatto Della città donna del Po, marchese. Devotamente il ciel riguarda, in atto Di contemplante, il fendator di Chiese. D'incontra Azzo secondo avean ritratto Far contra Berengario aspre contese, Che dopo un corso di fortuna alterno Vinceva, e dell'Italia avea il governo. LXXVI Vedi Alberto il figliuolo ir fra' Germani , E colà far le sue virtù si note , Che, vinti in giostra e vinti in guerra i4)ani , Genero il compra Otton con larga dote. Vedigli a tergo Ugon , quel eh' a' Romani Fiaccar le corna impetuoso puote ; E che marchese dell' Italia fia Detto , e Toscana tutta avrà in balìa. CANTO DECIMOSETTIMO 199 LXXVII Poscia Tebaldo , e Bonifacio, a caWo A Beatrice sua, poi v' era espresso. Non si vedea virile erede a tanto Retaggio , a sì gran padre esser successo. Seguia Matelda , ed adempia ben quanto Difetto par nel numero, e nel sesso j Che può la saggia e valorosa donna Sovra corone e scettri alzar la gonna. LXXVIII Spira spiriti maschi il nobil volto : Mostra vigor più che viril lo sguardo. Là sconfiggea i Normandi , e 'n fuga voi io Si dileguava il già invitto Guiscardo : Qui rompea Enrico il quarto ed, a luì tolto, Offriva al tempio imperiai stendardo : Qui rijx)nea il Pontefice soprano Nel gran soglio di Pietro in Vaticano. LXXIX Poi vedi in guisa d' uora che onori ed ami, Ch^ or r è al fianco Azzo il quiuto, or la seconda: Ma d* Azzo il quarto in più felici rami Germogliava la prole alma, e feconda. Va dove par che la Germania il chiami Guelfo il figlìuol, figli tiol di Cunigonda , E 1 buon germe Roman con destro fato È ne' campi Bavarici traslato. aoo LA GERUSALEMME LXXX Là d'un gran ramo Estense ei par eh' innesti L' arbore di Guelfon, eh' è per se vieto : Quel ne' suoi Guelfi rinnovar vedresti Scettri e corone d*or , più che mai lieto j E col favor de' bei lumi celesti Andar poggiando , e non aver divieto. Già confina col ciel, già mezza ingombra La gran Germania , e tutta anco l' adombra. LXXXI Ma ne' suoi rami Italici fioriva Bella non men la regal pianta a prova. Bertoldo qui d'incontra Guelfo usciva : Qui AzzQ il sesto i suoi prischi rinnova. Questa è la serie degli eroi, che viva Nel metallo spirante par si muova. Rinaldo sveglia , in rimirando , mille Spirti d' onor dalle natie faville ; LXXXII E d' emula virtù l'animo altero Commosso avvampa , ed è rapito in guisa, Che cìòs che immaginando ha nel pensiero , Città battuta e presa , e gente uccisa , Pur come sia presente , e come vero Dinanzi agli occhi suoi vedere avvisa : E s' arma frettoloso ; e con la spene Già la vittoria usurpa e la previene. CANTO DECIMOSETTIMO 201 LXJCXIH Ma Carlo , il quale a Ini del regio erede Di Dania già narrata avea la morte , La destinata spada allor gli diede : Prendila , disse , e sia con lieta sorto , E solo in prò della cristiana fede L' adopra , giusto e pio , non men che forte : E fa' del primo suo signor vendetta , Che t' amò tanto; e ben a te s' aspetta. LXXXIV Rispose egli al guerriero: a i cieli piaccia Che la man, che la spada ora riceve , Con lei del suo signor vendetta faccia , Paghi con lei ciò che per lei si deve. Carlo rivolto a lui con lieta faccia Lunghe grazie ristrinse in sermon breve. Ma lor s' offriva intanto , ed al viaggio Notturno gli affrettava , il nobil saggio : I.XXXV Tempo è, dicea, di girne ove t'attende Goffredo el campo; e ben giungi opportuno. Or n'andiam pur, ch'alia cristiane tende Scorger ben vi saprò per Taer bruno. Così dice egli ; e poi su '1 carro ascende E lor v' accoglie senza indugio alcuno ; E rallentando a' suoi destrieri il morso , Gli sferza 9 e drizza all'oriente il corso. 202 LA GERUSALEMME LXXXVi Taciti se ne gian per l' aria nera , Quando al gar2on si volge il vecchio, e dice : Veduto hai tu della tua stirpe altera I rami , e la vetusta alta radice : E se bea ella dall' età primiera Stata è fertil d' eròi madre , e felice, Non è , uè fia di partorir mai stanca ; Che per vecchiezza in lei virtù non manca. LXXXVII Oh , come tratto ho fuor del fosco seno Dell'età prisca i primi padri ignoti, Così potessi ancor scoprire a pieno Ne' secoli avvenire i tuoi nepoti , E pria ch'essi apran gli occhi al bel sereno Di questa luce, fargli al mondo noti! Che de' futuri eroi già non vedresti L'ordin mealungo, o purmen chiari i gesti. LXXXVIII Ma r arte mia per se dentro al futuro Non scorge il ver , che troppo occulto giace , Se non caliginoso e dubbio e scurò. Quasi lunge per nebbia incerta face ; E se cosa, qual certo, io m* assicuro Affermarti , non sono in questo audace ; Ch' io r intesi da tal che senza velo I secreti talor scopre del cielo. CANTO DECIMOSETT»tO nó^ LXXXIX Quel eh' a lai rivelò lace divina, E eh' egli a me scoperse, io a te predico. Non fu mai Greca, o Barbara, o Latina Progenie, in questo o nel buon tempo antico , Ricca di tanti eroi, quanti destina A te chiarì nipoti il cielo amico, Ch'agguaglieran qual più chiaro si noma Di Sparta, di Cartagine, e di Roma. xc Ma fra gli altri , mi disse , Alfonso io sceglie Primo in virtù, ma in titolo secondo , Che nascer dee quando, corrotto e veglio, Povero fia d'uomini illustri il mondo. Questi fia tal, che non sarà chi meglio La spada usi o lo scettro, o meglio il pondo O delFarme sostegna o del diadema, Gloria del sangue tuo somma e suprema. xct Darà fanciullo, in varie immagin fere Di guerra, indizio di valor sublime: Fia terror delle selve e delle fere ; E negli arringhi avrà le lodi prime. Poscia riporterà da pugne vere Palme vittoriose, e spoglie opime: E sovente avverrà che 1 crin si cigna Or di lauro, or di quercia, or di gramigna. ao4 LA GERUSALEMME XGII Della matura età pregi men degai Non fiano, stabilir pace e quiete , Mantener sue città, fra Tarme e i regni Di possenti vicin, tranquille e chete, Nutrire e fecondar Farti e gl'ingegni, Celebrar giuochi illustri, e pompe liete: librar con giusta lance e pene e pren>j , Mirar da lunge , e preveder gli estremi. xeni Oh s'avvenisse mai che contra gli empj^ Che tutte infesteran le terre e i mari, £ della pace in quei miseri tempi Daran le leggi a i popoli più chiari, Duce sen gisse a vendicare i tempj Da lor distrutti, e i violati aluri, Qual'ei giusta farìa grave vendetta Sul gran tiranno, e su l'iniqua setta! xciv Indarno a lui con mille schiere armate Quinci il Turco opporriasi, e quindi il Mauro Ch'egli portar potrebbe oltre l'Eufrate, Ed ohre i gioghi del nevoso Tauro, Ed oltre i regni ov'è perpetua state, La croce, e'I bianco augello, e i gigli d'auro: E per battesmo delle nere fronti Del gran Nilo scoprir l' ignote fonti. CANTO DECIMOSETTIMO ao5 xcv Così parlava il veglio; e le parole Lietamente accoglieva il giovinetto ^ Che del pensier della futura prole Un tacito piacer sentia nel petto» I/alba intanto sorgea, nunzia del sole, £ 1 ciel cangiava in oriente aspetto: E sulle tende già potean vedere Da lunge il tremolar. delle bandiere. xcvi Ricominciò di nuovo allora il saggio: Vedete il sol che vi riluce in fronte , £ vi discopre con l'amico raggio lie tende e 1 piano e la cittade e 1 monte: Sicuri d'ogni intoppo, e d* ogni oltraggio Io scorti v'ho sin qui per vie non conte: Potete senza guida ir^per voi stessi. Ornai ; né lece a me che più m'appressi, xcvii Così tolse congedo, e fé' ritorno, liasciando i cavalieri ivi pedoni; Ed essi pur contra il nascente giorno Seguir lor strada, e giro a i padiglioni. Portò la fama, e divulgò d' intomo L' aspettato venir de' tre baroni; E innanzi ad essi al pio Goffredo corse, Che per raccorlì dal suo seggio sorse. LA. GERUSALEMME LIBERATA CANTO DECIMOTTAVO ARGOMEMTO Prima i suoi falli piange ^ e poi t impresa Del bosco tenta ^ e vince il buon Rinaldo. Del campo Egizio sé novella intesa ^ CK ornai s appressa : però astuto e baldo Va a spiarne Vafrino. Aspra contesa Passi intorno a Sion: ma tanto è saldo L'aiuto cKhan dal del tarmi cristiane ^ CK cC nostri in preda la città rimane. I vjrlunto Rinaldo ove Goffredo è sorto Ad incontrarlo, incooHCKUÒ: signore, A vendicarmi dol guerrier ch'è morto, Cura mi spinse di geloso ooofe: £ s'io n' offesi te, ben disconibrtd Ne sentii poscia, e penitenza al core* Or v^iQo a' tuoi richiami; ed ogni raienda Son pronto a f^^ cht grato* a te mi renda !io8 LA GERUSALEMME ti A lui, ch'nmil gli s'iachinò, le braccia Stese al collo Goffredo, e gli rispose: Ogni trista memoria ornai si taccia , E pongansi in oblio l'andate cose; E per emenda io vorrò sol che faccia , Quai per uso &festi , opre £imose; . Che 'n danno de' nemici, e 'n prò de' riostri. Vincer convienti della selva i mostri* III L'antichissima selva, onde fu imianti De' nostri ordigni la materia tratta, ( Qual si sia la cagi(Mie ) ora è d'incanti Secreta stanza e formidabil fatta: Né v'è chi legno indi troncar si vanti; Ne vuol ragion che la città si batta Senza tali instrumenti: or colà, dove Paventan gli altri, il tuo valor sr prove. IV Così disse egli: el cavalier s'offerse. Con brevi detti, al rischio e alla fatica; Ma negli atti magnanimi si scerse Ch'assai farà, benché non molto ei dica. E verso gli altri poi lieto converse La destra e'I volto all'accoglienza amica: Qui Guelfo^ qui Tancredi, e qui già tutti S'eran dell'oste i principi ridutti. CANTO DECIMOTTAVO aog V Poi che le dimostranze oneste e care Con que' soprani egli iterò più volle, Placido affabilmente e popolare, L'altre genti minori ebbe raccolte: Né saria già più allegro il militare Grido, o le turbe intorno a lui più folte, Se^ vinto r oriente el mezzo giorno. Trionfante ei n'andasse in carro adomo. VI Così ne va sino al suo albergo, e siede In cerchio quivi ai cari amici accanto; E molto lor risponde , e molto chiede Or della guerra, or del silvestre incanto: Ma quando <^un partendo agio lor diede, Così gli disse l'eremita santo: Ben gran cose, signor, e lungo corso (Mirabil peregrino) errando hai scorso. VII Quanto devi al gran re che'l mondo regge! Tratto egli: t'ha dall'incantate soglie: Ei te smarrito agnel fra le sue gregge Or riconduce, e nel suo ovile accoglie; E per la voce del Buglion t'elegge Secondo esecutor delle sue voglie. Ma non conviensi già che, ancor profano, Ne i suoi gran ministerj armi la miano; T. IL i4 ,io LA GERUSALEMME Che m àei\9, OA^gin^ del mondo , E della caroe tu di modo aaiiepso^ Che'l Nilo, ol Cv«QgQ, o Tocewi profondo Non ti potrebjifi fer candido e twso. Sol la grazia d^ Mei quanto bai d'immondo Può r&pA^ pi^rp: al oi^l danqn« converso Riverente pei^don ridbi^i, e apiega he tue tnqitfi colpe , e piangi , e pr^ga. Go^ gU disie; ed ei prima in se stesso Pianse i superbi sdegni, e i folli amori: Poi chinato a' suoi piò, nieato e dimesso, Tutti scoprigli i giovanili errori Il ministro del ciel, dopo il concesso Perdono, a lui dicea: co' nuovi albori Ad orar tu n andfid là su q^ol monte Ch'ai rj^gio mattutin volge la frottia Quinci al boaco t'invia, dove cotanti Son fantasmi ingannevoli e bugiardi. Vincerai ( questo so ) mostri e giganti , Pur ch'altro folle error non ti ritardi. Deh né voce che doke o pianga, o canti, Né beltà che soave a nda, o guardi. Con tenere lu^ngbe il cer ^ pieghi* Ma sprezza i fiati aapetli^ e 1 finti plagiti. CANTO DECIMOTTAVO 211 Cosi il consiglia; el ca^alìer s'appresta^ Desiando e sperando, all'alta impresa. Passa pensoso il dì , pensosa e mesta La notte; e pria che'n ciel sia l'alba aooasa^ Le belle arme si cinge , e sopra westa Nova, ed estrania di color s'ha presa^ E tutto solo, e tacito, e pedone Lascia ì compagni , e lascia il padiglione* XII Era ndla stagion che anco non cede Libero ogni confin la notte al gicNmo; Ma l'oriente rosseggiar si Tede, Ed anco è il del d'alcnna stella adorno. Quando ei drizzò ver TOliveto il piede. Con gli occhi alzati contemplando intorno Quinci notturne, e quindi mattutine Bellezze, incwrattìbili e divine. XIII Fra se stesso pensava : oli quante belle Luci il tempio celeste in se raguna! Ha il suo gran carro il di: l'aurate slette Spiega la notte, e Targentata luna. Ma non è chi vagheggi o questa, o queUe; £ miriam noi torbida ìnce e braoa, Ch'un girar d'occhi, un balenar di riso^ Scopre in bceve confin di firagil viso. fti2 LA GERUSALEMME XIV Così, pensando, alle più eccèlse cime Ascese, e quivi incbiuo e riverente. Alzò il peosier sovra ogni ciel sublime^ E le luci fissò neir oriente : La prima vita e le mie colpe prime, Mira con occhio di pietà clemènte , Padre e signor, e in me tua grazia piovi, Sicché! mio vecchio Adam purghi e rinnovi. XV Così pregava; e gli sorgeva a fronte, Fatu già d' auro, la vermiglia Aurora, Che Telmo e l'arme, e intorno a lui del monte Le verdi cime illuminando indora; E ventilar nel petto e nella fronte Sentia gli spirti di piacevol'ora. Che sovra il capo suo scuotea dal grembo Della bell'alba un rugiadoso nembo. XVI La rugiada del ciel su le sue spoglie Cade, che parea cenere al colore , E sì l'asperge che'l pallor ne toglie, E induce in esse un lucido candore. Tal rabbellisce le smarrite foglie A i mattutini geli arido fiore ^ E tal di vaga gioventù ritorna Liato il serpente, e di nuov'or s'adorna. CANTO DECIMOTTAVO ai3 XVII H bel candor della mutata vesta Egli medesino liguardando ammira: Poscia verso l'antica aita foresta Con secura baldanza i passi gira. Era là giunto ove i raea forti arresta Solo il terror che di sua vista spira : Pur uè spiacente a lui, né pauroso Il bosco appar, ma lietamente ombroso. XVIII Passa più oltre, ed ode un suono intanto, Che dolcissimamente si diffonde: Vi sente d' un ruscello il roco pianto, E 1 sospirar dell'aura infra le fronde: E di musico cigno il flebil canto , E l'usignol che plora, e gli risponde; Organi e cetre ^ e voci umane in rime : Tanti e sì fatti suoni un suono esprime! XIX H cavalier (pur come agli altri avviene) N'attendeva un gran tuon d'alto spavento, E v'ode poi di ninfe e di sirene, D'aure, d'acque, e d'augei dolce concento; , Onde meravigliando il pie ritiene , E poi sen va tutto sospeso e lento ; E fra via non ritrova altro divieto Che quel d'un fiume trasparente e cheto. 2i4 LA GERUSALEMME L' un margo e l'altro del bel fiame, adorn# Di vaghezze e d'odori, olezza e ride. Ei tanto stende il suo g^revol corno, Che tra '1 suo giro il gran bosco s'assidt: Né pur gli fa dolce ghirlanda intomo; Ma un canaletto suo v'entra, e '1 divide: Bagna egli il bosco, e '1 bosco il fiume adombra Con bel cambio fra lor d' umore e d'ombra. XXI Mentre mira il guerriero ove si guade , Ecco un ponte mirabile appariva ; Un ricco ponte d'or, che larghe strade Su gli archi stabilissimi gli offriva. Passa il dorato varco; e quel giù cade , Tosto che 1 pie toccata ha l'altra riva , E se nel porta in giù l'acqua repente . L'acqua, eh' è d'un bel rio fatta un tonente. XXII Ei sì rivolge , e dilatato il mira E gonfio assai, quasi per nevi sciolte, Che 'n se stesso voIuIhI si rapirà Con mille rapidissime rivolte: Ma pur desio di novitade il tira A spiar tra le piante antiche e folte; E in quelle solitudini selva^e Sempre a se nuova meraviglia il tragge. CANTO DECIMOTTAVO %i5 XXIII Dove in passando le vesugia ei posa^ Par eh' ivi scaturisca, o che germoglie. Là s'apra il giglio , e qui spnota la rosa : Qui sorge uu fonte, ivi un roseci si scioglie. E sovra, e intorno a lui la selva annosa Tutta parea ringiovenir le foglie. S' ammoUiscon le scorze, e si rinverde Piii lietamente in ogni pianta il verde. XXIV Rugiadosa di manna era bgni fronda , £ distillava dalle scorze il mele: E di nuovo a' odia quella gioconda Strana armonia di canto, e di quef^ele: Ma il coro uman che a' cigni , all' aura, all' onda Facea tenor, non sa dove si cele: Non sa veder chi formi umani accenti , Né dove siano i musici strumenti. XXV Mentre riguarda, e fede il pensìer negs^ A quel che '1 senso gli offeria per vero. Vede un mirto in disparte, e là si piega, Ove in gran piaiza termina un sentiero. L'estranio mirto i suoi gran rami spiega, Più del cipresso e della palMa altèro; E sovra tutti. gli alberi frondeggia; Ed ivi par del bosco esser h reggia. 2i6 LA GERUSALEMME \ XXVI Fermo il giierrier nella gran piazza affisa, A maggior novitate allor le ciglia. Quercia gli appar^ che per se slessa incisa Apre feconda il cavo ventre, e figlia j E n'esce fuor vestita in strania guisa Ninfa d'età cresciuta (oh meraviglia! ) E vede insieme poi cento altre piante Cento ninfe produr dal sen pregnante. XXVII Quai le mostra la scena, o quai dipinte Talvolta rimiriam dee boscarecce, Nude le braccia, e in abito succinte. Con bei coturni , e con disciolte trecce : Tali in sembianza si vedean le finte Figlie delle selvatiche cortecce ; Se non che, in vece d' arco e di faretra. Chi tien lento, e chi viola, o cetra. XXVIII E incominciar costor danze e carole, E di se stesse una corona ordirò , E cinsero ilguerrier, sì come suole Esser punto rinchiuso entro 1 suo giro. Cinser la pianta ancora, e tai parole Nel dolce canto lor da lui s udirò : Ben caro giuùgi in queste chiostre amene, O della donna nostra amore e spene : CANTO DECIMOTTAVO ai: XXIX GIuDgi aspettate a dar salute all'egra , D' amoroso pensiero arsa e ferita : Questa selva , che dianzi era sì negra , Stanza conforme alla dolente vita , Vedi che tutta al tuo venir s' allegra , E 'n più leggiadre forme è rivestita. Tale era il canto; e poi dal mirto uscia Un dolcissimo suono , e quel s' apria« XXX Già neir aprir d' un rustico Sileno Meraviglie vedea T antica etade ; Ma quel gran mirto dalF aperto seno Immagini mostrò più belle e rade: Donna mostrò che assomigliava a pieno Nel falso aspetto angelica beh ade. Rinaldo guata , e di veder gli è avviso Le sembianze d' Armida, e 1 dolce viso. XXXI Quella lui mira in un lieta^ dolente: Mille affetti in un guardo appaion misti; Poi dice: io pur ti veggio , e finalmente Pur ritorni a colei da cui fuggisti. A che ne vieni ? a consolar presente Le mie vedove notti , e i giorni tristi ? O vieni a muover guerra , a discacciarme ; Ohe mi celi il bel volto, e mostri Tarme? ai8 LA GERUSALEMME XXXII Giungi amante , o nemico ? Il ricco ponte Io già non preparava ad uom nemico, Né gli apriva i ruscelli , i fior , la fonte ^ Sgombrando i dumi, e óiò eh' a' passi è intrico. Togli quest' elmo ornai, scopri la fronte , E gli occhi agli occhi miei, se arrivi amico: Giungi i labbri alle labbra, il seno al seno ; Porgi la destra alla mia destra almeno. XXXIII Seguia parlando , e in bei pietosi giri Volgeva i lumi , e scoloria i sembianti; Falseggiando i dolcissimi sospiri , E i soavi singulti, e i vaghi pianti : Tal che incauta pietade a quei martirj Intenerir ]x>tea gli aspri diamanti. Ma il cavaliero, accorto si, non crudo , Più non v' attende , e stringe il ferro ignudo. XXXIV Yassene al mirto : allor colei s' abbraccia Al caro tronco , e s interpone , e grida : Ah ! non sarà mai ver che tu mi feccia Oltraggio tal , che Talber mio recida. Deponi il ferro, o dispietato, o 'I caccia Pria nelle vene dV infelice Armida : Per questo sen , per questo cor , la s}>ada Solo al bel mirto mio trovar {ìqò strada. CANTO DECIMOTTAVO a 19 XXXV Egli alza il ferro, e 1 suo pregar uon cun, Ma colei si trasmuta ( oh nuovi mostri! ) Siccome avvien che d'una, altra figura Trasfermaudo repente il aogno niostrì; Cosi ingrossò le membra, e tornò scura La faccia, e vi sparir gli avor) e gli ostri: Crebbe in gigante altissimo, e si feo Con cento armate braccia un Briareo. XXXVI Cin<|uanta spade impugna, e con cinqu^mtà Scudi rìsuona, e minacciando freme. Ogn' altra ninfa ancor d'arme s'ammanta, Fatta un Ciclope orrendo: ed ei non teme; Ma doppia i col{)i alla difesa pianta Che pur, come animata, a i colj)i geme« Sembran dell'aria i campi i campi slig): Tanti appaion in lor mostri e prodig]« XXXVII Sopra il turbato ciel, sotto la ferra Tuona, e fulmina quello, e trema questa: Vengono i venti e le procelle in guerra, £ gli soffiano al volto aspra tempesta. Ma pur mai colpo il cavalier non erra , 3Nè per tanto furor punto s'arresta: Tronca la noce: è noce, e mirto parve. Qui l'incanto fornì, sparir le larve. aao LA GERUSALEMME XXXVIII Tornò sereno il cielo, e Faura chetar Tornò la selva al naturai suo stato , • ^on d'incanti terrìbile, e non lieta, Piena d' orror , ma dell* orrore innato. Ritenta il vincitor se altro più vieta Ch'esser non (lossa il bosco ornai troncato; Poscia sorride, e fra se dice: o vane Sembianze } e folle chi per voi rìmanel XXXIX Quinci s'invia verso le tende; e intanto Colà gridava il solitario Piero : Già vinto è della selva il fero incanto, Già sen ri toma il vincitor guerriero: Vedilo; ed ei da lunge in bianco manto Comparia venerabile ed altero; E dell'aquila sua Targentee piume Splendeano al sol d* inusitato lume. XL Ei dal campo gioioso allo saluto Ha con sonoro replicar di gridi ; E poi con lieto onore è ricevuto Dal pio Buglione, e non è chi Tinvid). Disse al duce il guerriero: a quel temuto Bosco n'andai , come imponesti, e'I vidi; Vidi, e vinsi gl'incanti : or vadan pure lie genti là, che son le vie sicure. CANTO DECIMOTTAVO aii XLI Vassi airaatica selva: e quindi è tolu Materia tal , qual buoa giudicìo elesse ; E benché oscuro &bro arte non molta Por nelle prime macchine sapesse; Pu|- artefice illustre a questa volta È colui eh' alle travi i vinchi intesse , Guglielmo, il duce Ligure , che pria Signor del mare corseggiar solìa: XLII Poi sforzato a ritrarsi ei cesse i regni Al gran Navìgio , Saracin de' mari, Ed ora al cara^x) conducea da i legni E le marittime arme, ei marinari; Ed era questi infra i più industri ingegni , Ne' meccanici ordigni uom senza pari: E cento seco avea fabri minori, Di ciò eh' egli disegna esecutori. XLIII Costui non solo incominciò a comporre Catapulte, baliste, ed arieti. Onde alle mura le difese torre Possa, e spezzar le sode alte pareti; Ma fece opra maggior: mirabil torre, Ch'entro di pin tessuta era, e d' abeti ^ E nelle cuoia avvolto ha quel di fuore. Per ischermirsi dal lanciato ardore. 432 LA GERUSALEMME XLIV Si scommette la mole e ricompone^ GoQ sottili giunture in uu congiunta^ £ la trave che testa ha di montone, Ball^ime parti sue cozzando spuma: Lancia dal mezzo un ponte,* e spesso il pone Sull'opposta muraglia a prima giunta ; £ fuor da lei su per la cima n'esce Torre minor, chMn suso è spinta e cresce» XLV Per le facili vie destra , e corrente Sovra ben cento sue volubil rote , Gravida d'arme , e gravida di gente. Senza molta fatica dia gir piiote. Stanno le sdiiere in rimirando intente La prestezza de'fabri, e l'arti ignote: E due torri in qael punto anco son fette , Della prima ad immagine ritratte. XLVI Ma non eran frattanto a i Ssracini L'opre, ch'ivi si fean, del tutto ascoste; Perchè nell'alte mura, a i più vicini Loclii , le guardie 3A ispìar son poste* Questi gran salmerie d'orni e di pini Vedean dal bosco esser condotte all'oste, £ macelline vedean; ma non appieno Riconoscer lor fonila indi potieno. CANTO DECIMOTTAVO aaS XLVII Fan lor macdbìne anch' essi j e con mdlt' arte Rinforzano % le torri, e la muraglia j £ r alzaron cosi, da quella parte Ov' è men' atta a sostener battaglia , Che, a lor credenza, ornai sforzo di marte Esser non può eh' ad espugnarla vaglia. Ma sovra ogni difesa Ismen prepara Copia di fuochi inusitata , e rara. XLVIII Mesce il mago fellon zolfi e bitume , Che dal lago di Sodoma ha raccolto; £ fu, credo, in inferno, e dal gran fiume Che nove volte il cerchia, anco n' ha tolto. Cosi fa che quel foco e puta , e fimie, E che s' avventi fiammeggiando al volto : E ben co' feri incendj eglis' avvisa Di vendicar la cara selva incisa. IL Mentre il campo all' assalto, e la cittade S' apparecchia in tal modo alle difese , Una colomba per V aeree strade Vista è passar sovra lo stucd Francese , Che ne dimena i presti vanni, e rade Qu^e liquide vie con l'ali tese: E già la messaggera peregrina Dall' ake «uhi alla città a' inchina 3 ^i4 LA GERUSALEMME L Quando , di non so donde , esce un falcone D' adunco rostro armato e di grand' ugna. Che fra '1 campo e le mura a lei s' oppone: Non aspetta ella del crudel la pugna. Quegli d' alto volando al padiglione Maggior l'incalza , e par ch'ornai V aggiugna; Ed al tenero capo il piede ha sovra; Essa nel grembo al pio Buglion ricovra. __ LI ^ La raccoglie Goffredo , e la difende : Poi scorge, in lei guardando , estrània cosa : Che dal collo ad un filo avvinta pende Rinchiusa carta , e sotto un' ala ascosa. La disserra , e disfxega; e bene intende Quella eh' in se contien non lunga prosa: Al signor di Giudea ( dicea lo scritto ) Invia salute il capitan d' Egitto. LII Non sUgoltir , signor, resisti e dura Infin al quarto, o infino al giorno quinto; Ch' io vengo a liberar coteste mura ; E vedrai tosto il tuo nemico vinto. Questo il secreto fu che la scrittura, In barbariche note, avea distinto , Dato in custodia al portator volante ; Che tai messi in quel tempo usò il Licvante. CANTO DECIMOTTAVO iaSf LIM Libera il prence la colomba: e quella Che de' secreti fu rivelatrice , Come esser creda al suo signor robella. Non ardi più tornar nuncia infelice. Ma il sopran duce i minor duci appella , £ lor mostra la carta, e cosi dice: Vedete ccwne il tutto a noi riveli La provvidenza del Signor de* cieli! LIV Già più da ritardar tempo non parmi: Nuova spianata or cominciar potrassi; £ fatica e sudor non si risparmi , Per superar d'inverso T austro i sassi. Duro fia si far colà strada alFarmi; Pur far si può : notato ho il loco e i passi. £ ben quel muro, ch'assicura il sito, D'arme e d'opre, men deve esser munito. LV Tu, Raimondo, vogl'io che da quel lato Con le macchine tue le mura dfenda: Vuo' che dell' armi mie l'alto apparato Contra la porta ac^uilonar si stenda. Si che il nemico il veggia« ed ingannato Indi il maggiore impeto nostro attenda. Poi la gran torre mia, ch'agevol muove , Trasiìorra alquanto, e porti guerra altrove. T.n. i5 326 LA GERUSALEMME Tu drizzerai, Gammillo, al tempo stesso Non lontana da me la terza torre.. Tacque; e Raimondo, che gli siede appresso^ E che, parlando lui, fra se discorre , Disse: al consiglio da Goflfredo espresso Nulla giunger si puote, e nulla torre. I-/odo solo, oltre a ciò, ch'alcun s'invii Nel cam{X) ostil, che i suoi secreti spii, LVII E ne ridica il numero, e 1 pensiero. Quanto raccor potrà , certo e verace. Soggiunse allor Tancredi: ho un mio scudiero, Ch' a questo ufizio di proj)or mi piace : Uom pronto e destro, e sovra i pie leggiero; Audace sì, ma cautamente audace : Che parla in molte lingue , e varia il notx) Suon della voce , e 1 portamento, e 1 moto. LVIII Venne colui chiamato; e poi che intese Ciò che Goffiredo, è 1 suo signor desia, ^ Alzò ridendo il volto , ed intraprese La cura , e disse : or or mi ppngo in via. Tosto sarò dove quel campo tese Le tende avrà, non conosciuta spia; Vuo' penetrar a mezzo di nel vallo, £ numerarvi ogn' uomo, ogni cavallo. CANTO DECIMOTTAVO 327 LIX Qaanta e qual sia quell'oste, e ciò che pensi Il duce loro, a voi ridir prometto: Tantomi in lui scoprir g)i intimi sensi, E i secreti pensier trargli dal petto. Cosi parla Vafrino,e non trattiensi; Ma cangia in lungo manto il suo farsetto, E mostra fa del nudo collo, e prende D' intorno al capo attorcigliate bende. LX La faretra s'adatta, e Tarco Siro, E barbarico sembra ogni suo gesto. Stupiron quei che favellar Tudiro, Ed in diverse lingue esser sì presto , Ch'Egizio in Menfi, o pur Fenice in Tiro, L'avria creduto e quel popolo e questo. Egli sen va sovra un destrier, ch'appena 3egna nel corso la più molle arena. LXI Ma i Franchi, pria che'l terzo di sia giunto, Appianaron le vie scoscese e rotte : E fornir gì' instrumenti anco in quel punto, Che non fur le fatiche unqua interrotte: Anzi all'opre de' giorni avean congiunto, . Togliendola al riposo, anco la notte: Né cosa è più che ritardar gli possa Da far l'estremy ornai d'ogni lor possa*. 228 LA GERUSALEMME LXII Del dì^ cui dell'assalto il dì successe , Gran parte orando il pio Buglion dispensa ^ E impon eh' ogn' altro ì falli suoi confesse, E pasca il pan dell'alme alla gran mensa. Macchine ed arme poscia ivi più spesse Dimostra, ove adòprarle egli men pensa} E'I deluso Pagan si riconforta, Ch'oppor le vede alla munita porta. LXIII Col buio della notte è poi la vasta Agii macchina sua colà traslata, Ov' è men curvo il muro, e men contrasta, Ch'angulosa non fa parte, e piegata; E d'in sul colle alla città sovrasta Raimondo ancor con la sua torre armata. La sua Cammillo a quel lato avvicina, Che dal Borea all'occaso alquanto incliina. LXIV Ma come furo in oriente apparsi I mattutini méssaggier del sole. S'avvidero i Pagani ( e ben turbarsi) Che la torre non è dov'esser suole: E uiirar quinci e quindi anco innalzarsi , Non più vedttU, una ed un'altra mole; E in numero infinito anco son viste Catapulte, monton, gatti, e b^iste. CANTO DECIMOTTAVO 2^9 LXV Non è la turba di Soria già lenta A trasportarne là molte difese ^ Ove il Buglion le macchine appresentA .Da quella parte, ove primier l'attese: Mal capitan^ eh' a tergo aver rammenta L'oste d'Egitto, ha quelle vie già prese; £ Guelfo, e i duo Roberti a se chiamati: ' State 9 dice, a cavallo in sella armati^ LXVI E procurate voi che mentre ascendo Colà, dove quel muro appar men forte, Schiera non sia che subita venendo S'atterghi agli occupati, e guerra porte. Tacque; e già da tre lati assalto orrendo Muovòn le tre sì valorose scorte ; E da tre lati ha il re sue genti oppesjte, Che riprese quel dì l'arme deposte. LXVII Egli medesmo al corpo ornai tremante Per gli anni, e grave del suo proprio pondo, L'arme, che disusò gran tempo innante , Circonda, e se ne va contra Raimondo: Solimano a Goffredo, e'I fero Argante Al buon Cammillo oppon, che di Boemoudo Seco ha il nipote; e lui fortuna or guida Perchè il nemico a se dovuto uccida. 23o LA GERUSALEMME LXVIII Incominciara a saettar gli arcieri Infette di veaeno arme mortali, Ed adombratoli del par che s^ anneri Sotto un immenso nuvolo di strali : Ma con forza maggior colpi più feri Ne venian dalle macchine murali. Indi gran palle usdan marmoree e gravi , E con punta d'acciar ferrate travi* hxix Par ftilmine ogni sasso, e così trita I/armatura e le membra a chi n'è colto, Che gli toglie non pur l'alma e la vita, Ma la forma del corpo anco e del volto. Noi) si ferma la lancia alla ferita: Dopo il colpo del corso avanza molto: Entra da un lato, e fuor |ìer T altro passa Fuggendo 9 e nel fuggir la morte la^sa. hXX Ma non togliea però dalla difesa Tanto furor le saracine genti. Gontra quelle percosse aveaii già tesa Pieghevol tela^ e cose altre cedenti. L'impeto, ch'in lor cade, ivi contesa Non trova, e vien che vi si fiacchi e lenti: Essi, ove miran piit la calca esposu, Fan con l'arme volanti aspfa risposta. CANTO DECIMOtTAVO 23i LXXI Con tutto CIÒ d* andarne oltre non cessa L'assalitor, che tripartito muove ; E chi va sotto gatti, ove la spessa Gragnuola di saette indarno piove ; E chi le torri alV alto muro appressa, Che loro a suo poter da se rimuove ; Tenta ogni torre ornai lanciare il ponte : Cozza il monton con la ferrata fronte. LXXII Rinaldo intanto irresoluto bada , Che quel rischio di se degno non era , E stima onor plebeo , quando egli vada Per le comuni vie col volgo in schiera ; E volge intomo gli occhi , e quella strada Sol gli piace tentar ch'altri dispera, lÀ dove il muro più munito ed alto, In pace stassi, ei vuol portar T assalto. Lxxin E volgendosi a quegli , i quai già furo Guidati da Dudon, guerrier famosi: Oh vergogna , dicea, che là quel muro Fra cotante arme in pace or si riposi ! Ogni rischio al valor sempre è sicuro: Tutte le vie son piane agli animosi. Moviam là guerra , e contra a i colpi crudi Facciam densa testuggine di scudi.* 3A% LA GERUSALEMME LXXIV Giunsersi tutti seco a questo detto : Tutti gli scudi alzar sovra la testa , £ gli uuiron così , che ferreo tetto Faceau contra V orribile tempesta* ' Sotto il coperchio il fero stuol ristretto Va di gran corso , e nulla il corso arresta: Che la soda testuggine sostiene Ciò j che di ruinoso in giù ne viene. LXXV Son già sotto le mura: allor Rinaldo Scala drìz;^ò di cento gradi e cento, E lei con braccio maneggiò si saldo , Ch' agile è men picciola canna al vento. Or lancia o trave , or gran colonna o spalda D'alto discende: ei non va su più lento j Ma intrepido, ed invitto ad ogni scossa, Sprezzeria, se cadesse, 01im|)o ed Ossa, LXXVl Una selva di strali , e di mine Sostien sul dosso , e sullo scudo un monte. - Scuote i^na man le mura a se vicine, L* altra sospesa in guardia è della fronte. U esempio all'opre ardite e peregrine Spinge i compagni : ei non è sol che monte ; Che molti appoggian seco eccelse scale; Ma '1 valore e la sorte è disuguale. CANTO DECIMOTTAVO 233 LXXVII Muore alcuno , altri cade: egli sublime Poggia, e questi conforta, e quei minaccia? Tanto è già in su, che le merlate cime Puote afferrar con le distese braccia. Gran gente allor vi trae: Turta, il reprime, Cerca precipitarlo ; e pur noi caccia, ( Mirabil vista ! ) a un grande e fermo stuolo Kesister può sospeso in aria un solo. LXXVIII E resiste , e s avanza , e si rinforza, £ , come palma suol cui pondo aggreva , Suo valor combattuto lia maggior forza , . £ nella oppressìon più si solleva : £ vince alfin tutti i nemici , e sforza L* aste e gU intoppi che d' incontro aveva ; E sale il muro, e 1 signore^a , e 1 rende Sgombro e sicuro a chi diretro ascende^ hXXlX Ed egli stesso all' ultimo germano Bel pio Buglion , eh' è di cadere in forse , Stesa la vincitrice amica mano , Di salirne secondo aita porse. Frattanto erano altrove al capitano Varie fortune e perigliose occórse j Ch'ivi non pur fra gli uomini si pugna, Ma le macchine insieme anco fan pugna. 234 LA GERUSALEMME LXXX Sul mura aveauo i Siri uu tronco alzato^ Ch'antenna un tempo esser solea di nave, E sovra lui col capo a^pro e ferrato, Per traverso sospesa è grossa trave : È indietro quel da canapi tirato; Poi torna innanti impetuoso e grave: Talor rientra nel suo guscio, ed ora La testuggin rimanda il collo* fuora. LXXXI Urtò la trave immensa , e così dure Nella torre addoppiò le sue percosse, Che Je ben teste in lei ialde giunture liCntando, aperse , e la respinse, e scosse» IjSl torre a quel bisogno armi vsecure Avea già in punto; e due gran falci mosse, Che avventate con arte incontra al legno , Quelle funi troncar eh' eran sostegno. LXXXII Qual gran sasso talor , che o la vecchiezza Solve da un monte, o svelle ira de' venti^ Ruìnoso dirupa, e porta, e spezza Le selve, e con le case anco gli armenti; Tjil giù traea dalla sublime altezza L'orribil trave e merli, ed arme, e genti. Die la toi're a quel moto uno e duo crolli : Tremar le mura, e rimbombaro i colli. CANTO DECIMOTTAVO a35 LXXXIII Passa il BugiioQ vittorioso avanti, E già le mura d' occupar si crede; Ma fiamme allora fetide e fiunaoti, Lanciarsi incontra immantinente ei veder ^è dal sulfureo sen fuochi mai tanti Il cavernoso Mongibel fuor diede; Né mai cotanti negli estivi ardori Piovve r Indico del caldi vapori. •* LXXXIY Qui vasi, e cerchj, ed aste ardenti sono-. Qual fiamma nera, e qual sanguigna splende. L'odore appuzza, assordai rombo el tuono, Accieca il fumo, il fuoco arde e s'apprende. L'umido cuoio alfin saria mal buono Schermo alla torre : ap])ena or la difende ^ Già suda, e si rìncrespa; e se più tarda Il soccorso dei ciel, convien pur ch'arda. LXXXV H magnanimo duce innanzi a tutti Stassi, e non muta né color ne loco; E quei conforta che su i cuoj asciutti Versan l' onde apprestate incontra al foco. In tale stato eran costor ridutti , E già dell'acque rimanea lor poco; Quando ecco un vento, ch^mprovviso spira, Contra gli autori suoi l'incendio gira. a36 LA GERUSALEMME LXXXTI Yien contra al foco il turbo, e indietro vol(# Il foco, ove i Pagan le tele alearo, Quella molle materia in se raccolto L'ha immantinente, e n'arde ogni riparo. Oh glorioso capitano, oh molto Dal gran Dio custodito^ al gran Dio caro ! A te guerreggia il cielo, ed ubbidienti Yengon, chiamati a suon di trombe, i venti. LXXXVII Ma Tempio Ismen, che le sulfuree £ici Vide da Borea incontra se converse, Ritentar volle l'arti sue fallaci ]Per sforzar la natura, e l'aure avverse: E fra due maghe, che di lui seguaci Si fer, sul muro agli occhi altrui s'offerse: E torvo e nero, e squallido e barbuto Fra due furie parca Caronte, o.Pluto, LXXXVIII Già il mormorar s'udia delle parole Di cui teme Oocito , e Flegetonte : Già si vedea l'aria turbare, e'I sole Ginger d'oscuri nuvoli la fronte; Quaiylo avventato fu dall'alta mole Un gran sasso, che fu paite d'un monte : £ tra lor colse sì, eh' una percossa Sparse di tutti insieme il sangae e l' ossa. CANTO DECIMOTTAVO 937 LXXXIX In pezzi minutissimi e sanguigni SiAiisperser così l'inique teste; Cile di sotto ai pesanti aspri macigni Soglion poco le biade uscir più peste. Ljasciar gemendo i tre spirti maligni L'aria serena, el bel raggio celeste, E sen fuggir tra l'ombre empie infernali; Apprendete pietà quinci , o mortali. xc In questo mezjo alla città la torre, Cui dall' incendio il turbine assecura , S'avvicina così, che può ben porre, E fermare il suo ponte in su le mura : Ma Solimano intrepido v' accorre , E'I passo angusto di tagliar procura :- E doppia i colpi, e ben l'avria reciso; Ma un'altra torre apparse all' improvviso. xci La gran mole crescente oltra i confini De' piti alti edifìcj in aria passa. Attoniti a quel mostro i Saracini Hestar, vedendo la città più bassa : Ma U fero Turco, ancor che'n lui mini Di pietre un nembo, il loco suo non lassa; Né di tagliare il ponte anco diffida; ^ E gli altri che temean rincora e sgrid». ft38 LA GERUSALEMME XCII S'offerse agli occhi di Goffredo allora^ Invisibile altrui, TAngel Michele, Cinto d'armi celesti, e vinto fora Il sol da lui , cui nulla nube vele : Ecco, disse , Goffredo, è giunta Fora Ch'esca Sion di servitù crudele. Non chinar, non chinar gli occhi smarriti: Mira con quante forze il ciel t'aiti. xeni Drizza pur gli occhi a riguardar T immenso Esercito immortai eh' è in aria accolto; Ch'io dinanzi tcMTotti il nuvol denso Di vostra umanità j che intorno avvolto, Adombrando, t'appanna il mortai senso; Sì che vedrai gì' ignudi spirti in vc4to^ E sostener per breve spazio i rai Dell'angeliche forme anco porrai. xciv Mira di quei, che fur camjMon di Cristo, L'anime fatte in cielo or cittadine , Clie pugnan teco, e di si alto acquisto* Si trovan teco al glorioso fine. Là ve bndeggiiar la jK)lve, e il fumo misto Vedi, e di rotte moli alte ruine , Tra quella folta nebbia Ugon combatte^ £ delle torri i fondamenti abbatte. CANTO DECIMOTTAVO aSg xcv Ecco pcd là Dudon che V alta porta AquiloQgr con ferro e fiamma assale: Ministra Tarme a i combattenti, esorta Ch'altri su monti, e drizza, e tien le scale. Quel eh' è su 1 colle, e 1 s(acro abito porta ^ E la corona a i crin sacerdotale, È il pastore Ademaro, alma felice. Vedi eh' ancor vi segna, e benedice. xcvi Leva più in su l' ardite luci, e tutta La grande oste del ciel congiunta guata/ Egli alzò il guardo; e vide in un ridutta Milizia innumerabUe, ed alata: , Tre fólte squadre, ed ogni squadrji instrutta In tre ordini gira, e si dilata; Ma si dilata più, quanto più in fuori I cerchi son: son gl'intimi i minori. - xcvii Qui chinò vinti i lumi, e gli alzò poi. Né lo spettacol grande ei più rivide; Ma, riguardando d' ogni parte i suoi. Scorge che a tutti la vittoria arride. Molti dietro a Rinaldo illustri eroi Saliano : ei già salito i Siri uccide. II capitan, che più indugiar si sdegna , Toglie di mano 4 fido alfier l'insegna* aio LA GERUSALEMME XCVIII E passa primo il ponte, ed impedita Gli è a mezzo il corso dal Soldan la via. Un picciol varco è campo ad infinita Virtù, che 'n pochi colpi ivi apparia. Grida il fier Solimano: all' altrui vita Dono e consacro io qui la vita mia: Tagliate, amici, alle mie spalle or questo Ponte; che qui non fadl preda i* resto* xcix Ma venirne Rinaldo in volto orrendo ^ E fuggirne ciascun vedea lontano: Or cheiarò? se qui la vita spendo, La spefido, disse, e la disperdo invano j E in se nuove difese anco volgendo, Gedea libero.il passo al capitano , Ghe minacciando il segue, e della santa Groce il vessillo in su le mura pianta. lia vincitrice insegna in mille giri Alteramente si rivolge intorno; E pai' che n lei più riverente spiri L'aura, e che splenda in lei più chiaro il giorno: Ch'ogni dardo, ogni strai che 'n lei si tiri , O la declini, o faccia indi ritorno: Par che Sion, par che l'opposto monte Lieto l'adori, e inchini a lei la fronte. CANTO DECIMOTTAVO 24^ CI Allor tutte le squadre il grido alzaro Della vittoria altissimo e festante: E risonarne i monti, e replicaro di ultimi accenti ; e quasi in quello istante Ruppe e vinse Tancredi ogni riparo Che gli aveva all'incontro opposto Argante: • E, lanciando il suo ponte, anch' ei veloce Passò nel muro, e v'innalzò la Croce, cn Ma verso il mezzogiorno, ove il canuto Kaimondo pugna el Palestin tiranno , I guerrier di Guascogna anco potuto Giunger la torre alla città non hanno : Che'l nerbo delle genti ha il re in aiuto ^ Ed ostinati alla difesa stanno: E se bea quivi il murò era men fermo , Di macchine v'avea maggior lo schermo. CUI Oltre che, men ch'altrove, in questo canto La gran mole il sentier trovò spedito , Kè tanto arte potè, che pur alquanto Di sua natura non ritegna il sito. Fu l'alto segno di vittoria intanto Da i difensori, e dai Guasconi udito. Ed avvisò il tiranno, e '1 Tolosano , Che la città già presa è verso il piano: T. Il 16 a4a LA GERUSALEMME civ Oade Raimondo ai suoi dall' altra pane Grida: o compagoi, e la città già pre$a^ Vinta aacor ne resiste ? or soli a parte ISon sarem noi di si onorata impresa ? Ma il re cedendo aUin di là si parte ^ Perch'ivi disperata è la difesa, E sen rifugge in loco forte ed alto, Ove egli spera sostener V assalto. cv Entra allor vincitore il campo tutto Per le mura non sol, ma per le porte; Ch'è già aperto, abbattuto, arso, e distrutto Ciò che lor s'opponea , rinchiuso e forte. Spazia Tira del f(srro, e va col lutto E con Forror, compagni suoi, la morte. Ristagna il sangue in gorghi, e corre in rivi Pieni di corpi estinti e di mal vivi. LA GERUSALEMME LIBERATA CANTO DECIMONONO ▲KGOMENTO Intera palma del famoso Argante Tancredi ottiene in singoiar tenzone. Saho è il re nella rocca : Erminia Jia innante Vafrino ; e questa a lui gran cose espone. jRiede instrutto: ella è seco; e^ Icaro amante Di lei trescano esangue in sul sabbione. Piange ella^ e 7 cura poi. Goffredo intende QuoT insidie il Pagan contra gli tende. vTià la tnorte, o il consiglio, o la pauFa Dalle difese ogni Pagano ha tolto: £ sol non s'è dall' espugnate mura Il pertinace Argante anco rivolto. Mostra *ei la faccia intrepida e secura, E pugna pur fra gl'inimici avvolto^ Più che morir, temendo esser respinto j £ tuo! ratorendo anco p^rer non vinto. ^44 LA GERUSALEMME II Ma sovra ogn' altro feritore infesto Sovraggiunge Tancredi, e lui percuote: Ben' è il Circasso a riconoscer presto Al portamento, agli atti, all'arme note, Lui che pugnò già seco, e '1 giorno sestii Tornar promise, e le promesse ir vote; Onde gridò: così la fé, Tancredi , Mi servi tu? cosi alla pugna or riedi? Ili , Tardi riedi, e non solo: io non rifiuto Però combatter tcco, e riprovarmi; Benché non qual guerrier , ma qui venuto Quasi inventor di macchine tu parmi. Fatti scudo de' tuoi : trova in aiuto Nuovi ordigni di guerra , e insolite armi; Che non potrai dalle mie mani , o forte Delle donile uccisor, fuggir la morte. IV Sorrise il buon Tancredi un cotal rìso *Di sdegno, e in detti alteri ebbe risposto; Tardo è il ritomo mio , ma pur avviso^ Che frettoloso ti parrà ben tosto ; E bramerai che te da me diviso O r alpe avesse, o fosse il mar frapposto; £, che del mio indugiar non fu cagione Tenia o viltà, vedrai col paragone. CANTO DECIMONONO !i45 T Vienne in disparte pur tu ch'omicida ^ei de' giganti solo e degli eroi: L'uccisor delle femmine ti sfida. Così gli dice: indi si volge a i suoi^ £ fa ritrargli dall'offesa, e grida: Cessate pur di molestarlo or voi; Ch'è proprio mio^iù che coraun nemico^ Questi, ed a lai mi stringe obbligo antico. VI Or discendine giù solo, o seguito, Come più vuoi (ripiglia il fer Circasso) Va' in frequentato loco od in romito; Che per dubbio o svantaggio io non ti lasso* Sì fatto, ed accettato il fero invito, Muovon concordi alla gran lite il passo : li' odio in un gli accompagna, ù fa il rancore L'un nemico dell'altro or difensore. VII Grande è il zelo d'onor , grande il desire Che Tancredi del sangue ha del Pagano; Né la sete anmiorzar crede dell'ire Se n'esce stilla fuor per T altrui mano: £ con lo scudo il copre, e: non ferire, Grida a quanti rincontra anco lontano; Si che salvo il nemico infra gli amici Traggo , dall'arme irate e vincitrici. 446 LA GERUSALEMME vili Escon della citude, e dan le spalle A i padìglioQ delle accampate genti , E se ne van dove un girevol calle Gli porta per secreti avvolgimenti ; E ritrovano ombrosa angusta valle Tra più colli giacer, non altPUDenti Che se fosse un teatro, o fosse ad usa Di battaglie e di cacce, intorno chiuso. IX Qui si fermano entrambi; e pur sospeso Volgeasi Argante alla cittade afflitta. Vede Tancredi che'l Pagan difeso Non è di scudo, e 1 suo lontano ei gitta. Poscia lui dice: or qual pensier t' ha preso? Pensi eh' è giunta Fora a te prescritta? Se antivedendo ciò timido stai, Èl tuo timore intempestivo ornai. Penso, risponde, alla città del regna Di Giudea antichissima regina ^ Ghe vinta or cade, e indamo esser sostegàc^ 10 procurai della fatai mina; E eh' è poca vendetta al mio disdegno 11 capo tuo, che'l cielo or mi destina. Tacque; e incontra si van con gran risguardo; Che ben conosce l' un V akro gagliai*do« CANTO DÈCIMONONO i47 È di corpo Tancredi agile e sciòlto, È di man velocissimo, e di piede. Sovrasta a lui con Talto caipo, e molto Di grossezza di membra Argante eccedei Girar Tancredi inchifto, e in se raccolta Per avventarsi e sottentrar, si vede; £ eoa la spada sua la spada trova Nemica, e'n disviarla ttsa ogni prova. XII Ma disteso ed eretto, il fero Argunte Dimostra arte simile , atto divèrso: Quanto egli può va col gran braccio ìnnatìtói E cerca il ferro no, ma il corpo avverso: Quel tenta aditi nuovi in ogni instante f Questi gli ha il ferro al volto ognor converso/ Minaccia ^ e intento a proìl^rgli stassi Furtive entrate, e subiti trapassi, ttii Così ptìgna fiaval, quando tion spirai Per lo piano del mare Africo o Noto^ Fra duo legni ineguali egual si mira, Ch* un d altezza preval, T altro di mòto; L'un con volte e rivolte assale, e gira Da prora a poppa, e si sta Taltro immcrttf^ E quando il più leggier se gli avvicina^ D'alta parte minaccia alta mina. a48 LA GERUSALEMME XIV Mentre il Latin di sottentrar ritenta ^ Sviando il ferro che si vede opporre , Vibra Argante la spada , e gli appresenta La punta agli occhi : egli al riparo accorre ; Ma lei SI presta allor, si violenta , Cala il Pagan, che 1 difensor precorre , E 1 fere al fianco; e visto il fianco infermo^ Grida: lo schermitor vinto è di sc^rmo. XV Fra lo sdegno Tancredi e la vergogna , Si rode, e lascia i soliti riguardi; E in cotal guisa la vendetta agc^a, Che sua perdita stima il vincer tardi. Sol risponde col ferro alla rampogna, El drizza all' elmo, ove apre il passo ai guardi*^ Ribatte Argante il colpo ; e risoluto Tancredi a mezza spada è già venuto. XVI Passa veloce allor col pie sinestro , E con la manca al dritto braccio il prende^ E con la destra intanto il lato destro Di punte mcHtalissime gli offende: Questa, diceva, al vincitor maestro Il vinto schermitor risposta rende. Freme il Circasso, e si contorce, e scuote. Ma il braccio prigionier ritrar non puote. CANTO DECIMONONO 2^91 XVII Alfin lasciò la spada alla catena Pendente, e sotto al buon Latin si spinse: Fé' ristesso Tancredi ; e con gran lena L' un calcò T altro, e Tun V altro ricinse. Né con più forza dall' adusta arena Sospese Alcide il gran gigante e strinse, Di quella onde facean tenaci nodi Le nerborute braccia in varj modi. XVIII Tai fur gli avvolgimenti, e tai le scosse, Ch' ambi in un tempo il suol presser col fianco. Argante, od arte, o sua ventura fosse, Sovra ha il braccio migliore, e sotto il manco: Ma la man eh' è più atta alle percosse. Sottogiace impedita al guerrier Franco; Ond'ei, che'l suo svantaggio e'I rìschio vede , Si sviluppa dall' altro, e salta in piede. XIX Sorge più tardi, e un gran fendente, in prima Che sorto ei sia, vieu sopra al Saracino: Ma come all' Euro la frondosa cima Piega, e in un tempo la solleva, il pino, Cosi lui sua virtute alza e sublima. Quando ei n' è già per ricader più chino. Or ricomincian qui colpi a vicenda : La pugna ha manco d' arte, ed è più orrenda. ftSo LA GERUSALEMME Esce a Tancredi in più d'un loco il sangtté 4 Ma ne versa il Pagan quasi torrenti : Già nelle sceme forze il furdr langue ^ Si come fiamma in debili alimenti. Tancredi che 1 vedea col braccio esanguef Girare i colpi ad or ad or più lenti ^ Dal magnanimo cor deposta ira , Placido gli ragiona^ e '1 pie ritira. XXI Cedimi, liom forte, o riconoscer vogliJt Me per tuo vincitore, o la fortuna: Né ricerco da te trionfo, o spoglia; Né mi riserbo in te ragione alcuna. Terribile il Pagan più che mai soglia , Tutte le furie sue desta e raguna. Risponde: or dunque il meglio aver ti vante ? Ed osi di viltà tentare Argante ? XXII Usa la sorte tua, che nulla io temo^ Né lascerò la tua follia impunita^ Come face rinforza anzi V estremo Le fiamme , e luminosa esce di vita ; Tal riempiendo ei d' ira il sangue scemo, Rinvigorì la gagliardia smarrita, £ r ore della morte om»i vicine Volle illustrar con generoso fine. CANTO DECIMONONO a5i XXIIl La man sinistra alla compagna accosta, £ con ambe congiunte il ferro aUmssa: Gala un fendente , e benché trovi opposta La spada ostil, la sforza, ed oltre-passa: Scende alla spalla, e giù di costa in costa Molte ferite in un sol punto, lassa. Se non teme Tancredi, il petto audace Ifon fé* natura di timor capace. XXIV Quel doppia il colpo orribile ; ed al vento Le forze e Tire inutilmente ha sparte j Perchè Tancredi, alla percossa intento. Se ne sottrasse, e si lanciò in disparte. Tu, dal tuo peso tratto, in giù col mento N'andasti , Argante, e non potesti aitarte: Per te cadesti, avventuroso intanto, Ch'altri non ha di tua caduta il vanto. XXV 11 cader dilatò le piaghe aperte, £1 sangue espresso dilagando scese. Punta ei la manca in terra , e si converte Ritto sovra un ginocchio alle difese : Renditi, grida, e gli fa nuove offerte, Senza noiarlo, il vincilor cortese. Quegli dì furto intanto il ferro caccia, ]£ sul tallone il fiede: indi il minaccia. a5a LA GERUSALEMME XXVI Infurìossi allor Tancredi, e disse t Così abusi, felloD, la pietà mia? Poi la spada gli fìsse, e gli rifisse Nella visiera, ove accertò la via. Moriva Argante , e tal morìa qual visse : Minacciava morendo, e nonlanguia. Superbi, formidabili, e feroci Gli ultimi moti fur, l' ultime voci. XXVII Ripon Tarlcredi il ferro , e pòi devota Ringrazia Dio del trionfale onore ; Ma lasciato di forze ha quasi voto La sanguigna vittoria il vincitore. Teme egli assai , che del viaggio al moto Durar non possa il suo fievol vigore. Pur s'incammina; e cosi passo passo Per le già corse vie muove il pie lasso* XXVIII Trar molto il debil fianco oltnt non puote^ E quanto più si sforza, più s' affanna; Onde in terra s'asside , e pon le gote Sulla destra, che par tremula canna. Ciò che vedea , pargli veder che rote ; E di tenebre il dì già gli s'appanna. Alfiu isviene; e '1 vincitor dal vinto Non ben saria, nel rimirar, distinto^ CANTO DECIMONONO ^53 XXIX Mentre qui segue la solinga guèrra, Che privata cagion fé' così ardente, L' ira ^e* vincitor trascorre ed erra Per la città sul popolo nooente. Or chi giammai dell' espugnata terra Potrebbe a pien Y immagine dolente Ritrarre in carta? od adeguar, parlando, JjO spettacolo atroce e miserando? XXX Ogni cosa di strage era già pieno: Vedeansi in mucchi è in molti, i corpi avTolti, Là i feriti su i morti • e qui giaceno Sotto niprti insepolti egri sepolti . Fuggian, premendo i pargoletti al seno, liC meste madri co' capelli sciolti ; E '1 predàtof ,' di spoglie e di rapine Carco, strìngerle vergini nel crine, XXXI Ma pét le vie eh' al più sublime colle Saglion vei^o occidente, ov' è il gran tempio > Tutto del sangue ostile orrido e molle Rinaldo corre, e caccia il pof)ol empio. La fera spadail generoso estolle Sovra gli armati capi , e ne fa scempio, È schermò frale bgn^ elmo ed ogni scudo: Difesa è (jui l' esser dfiW arme ignudo. »54 LA GERUSALEMME XXXII Sol contra il ferro il nobil ferro adopra^ E sdegna ne^' inermi esser feroce ; E quei eh' ardir noa anm, arme qod copra , Caccia col guardo e con V orriHl voce. Vedresti , di valor niiralMl opra, G>me or disprezza, ora minaccia, or nuoce ; Come, con rischio disegnai, fugati Sono egualmente pur nudi ed armati. XXXIII Già col più imbelle vulgo anco ritratto S' è non picciolo stuol del più guerriero Nel tempio dbe, [hù volte arso e riatto, Si noma aucor ( dal fondator primiero ) Di Salomone, e fu per lui già fatto Di cedri , e d' oro , e di bei marmi , altero^ Or non sì ricco già , pur saldo e forte ^ È d'alte torri, e di ferrate porte. XXXIV arte e questa; Le custodite genti innanzi invia. Nella gran torre, ed egli ultimo resta. Ultimo parte, e sì cede al periglio. Ch'audace appare in provido consiglio. IL Pur a fatica avvien che si ripari Dentro alle porte , e le riserra appena , Che già , rottele sbarre, a i limitari Rinaldo vien, né quivi anco s'affrena. Desio di superar chi non ha pari In opra d'arme, e giuramento il mena: Che non oblia, che n voto egli promise Di dar morte a colui che 7 Dano uccise : 26o LA GERUSALEMME E bene allor allor V invitta mano Tentato avria rinespiignabil muro, Né forse colà dentro era il Soldano Dal fatai suo nemico assai securo: Ma già suona a ritratta il capitano^ Già l'orizzonte d'ogni intorno è scuro : Goffredo alloggia nella terra, e vuole Rinnovar poi l'assalto al nuovo sole. LI Diceva a i suoi , lietissimo in sembiana ^ Favorito ha il gran Dio Tarmi cristiane: Fatto è il sommo de' fatti , e poco avanza Dell' opra , e nulla del timor rimane. La torre ( estrema e misera speranza Degl'Infedeli) espugnerem dimane. Pietà frattanto a confortar v' inviti , Con sollecito amor, gli egri e i feriti. LII Ite, e curate quei ch'han fatto acquisto Di questa patria a noi col sangue loro: Ciò più conviensi a i cavalier di Cristo, Che desio di vendetta , o di tesoro. Troppo, ahi troppo di strage oggi sé visto, Troppa in alcuni avidità dell' oro. Rapir più oltra , e incrudelir i' vieto: O divulghin le trombe il mio divieto. CANTO DECIMONONO a6i LUI Tacque : poi se n' andò là dove il Conte Riavuto dal colpo anco ne geme ; Né Soliman con meno ardita fronte A i suoi ragiona , e 1 duol nell' alma preme : Siate , o compagni , di fortuna all' onte Invitti, infin che verde è fior di speme ; Che sotto alta apparenza di fallace Spavento , oggi men grave il danno giace. LIV Prese i nemici han. sol le mura e i telti , E 1 volgo umil , non la cittade han presa : Che nel capo del re , ne' vostri petti , Nelle man vostre è la città compresa. Veggio il re salvo , e salvi i suoi più eletti : Veggio che ne circonda alta difesa. Vano trofeo d' abbandonata terra Abbiansi i Franchi; alfin perdran la guerra. LV E certo i'son, che perderanla alfine; Che, nella sorte prospera insolenti, Fian volli agli omicidj , alle rapine , Ed agi' ingiuriosi abbraccia nienti : E saran di leggier tra le mine , Tra gli stupri e le prede , o[)pressi e spenti , Se in tanta tracotanza omai sorgiunge L' oste di Egitto : e non puoie esser luoge. 262 LA GERUSALEMME LVI Intanto noi signoreggiar co' sassi Potrem della città gli alti ediiic] , Ed ogni calle, onde al se|)olcro vassi , Torran le nostre macchine a i nemici. Così y vigor porgendo a i cor già lassi ^ La speme rinnovò negl' infelici. Or mentre qui tai cose eran passate, Errò Vafrin tra mille schiere armate. LVII Air esercito avverso eletto in spia, Già declinando il sol , partì Vafriuo , E corse oscura e solitaria via Notturno , e sconosciuto peregrino : Ascalona passò , che non uscia Dal balcon d'oriente anco il mattino; Poi , quando è nel meriggio il solar lampo , A vista fu del poderoso campo, LVIII Vide tende infinite, e ventilanti Stendardi in cima azzurri e persi e gialli ; K tante udì lingue discordi , e tanti Timpani e corni e barbari metalli , E voci di cammelli e d' elefanti , Tra 1 nitrir de' magnanimi cavalli , Che fra se disse : qui l' AlFrica tutta Traslata viene , e qui l' Asia è condulta. CANTO DE€1M0N0N0 a63 Mira egli alquanto pria come sia forte Del campo il sito , e qual vallo il circonde : Poscia non tenta vie furtive e torte, Né dal frequente popolo s'asconde; Ma per dritto sentier tra regie porte Trapassa , ed dv dimanda ed or risponde. A dimande, a rìsjx>ste astute e pronte, Accoppia baldanzosa audace fronte. LX Di qua , di là sollecito s' aggira Per le vie , per le piazze , e per le tende : I guerrier, i destrier, Tarme rimira; L'arti e gli ordigni osserva e i nomi apprende. Né di ciò pago, a maggior cose aspira: Spia gli occulti disegni, e parte intende. Tanto s'avvolge, e così desiro e piano, ' Ch'adito s'apre al padigHon soprano. LXl Vede, mirando qui, sdrucita tela, Ond'ha varco la voce, onde sì scerne; ^ Che là pròprio risponde ove son de la Stanza regal le ritirate interne : Sì che i secreti del signor mal cela Ad tiom che ascolti dalle parti esterne. Vafrin vi guata, e par eh' ad altro intenda, Come sia cura sua C9nciar la tenda. •■7 $64 LA GERUSALEMMI^ LXII Suvasi il capitan la testa ignudo. Le membra armato , e con purpureo ammanto. Lunge duo paggi avean 1' elmo e lo scudo : Preme egli un' asta , e vi s appoggia alquanto. Guardava un uom di torvo aspetto e crudo ^ Membruto ed alto , il qual gli era da canto, Vafrìno è attento, e di Goffredo a nome Parlar sentendo, alza gli orecchi al nome. LXIII Parla il duce a colui: dunque sicuro Sei così tu di dar morte a Goffredo ? Risponde quegli: io sonne, e'n corte giuro Non tornar mai , se vincitor non riedo : Preverrò ben color che meco furo Al congiurare , e premio altro non chiedo, Se non eh' io possa un bel trofeo dell' armi Drizzar nel Cairo , e sottopor tai carnai: ^xiv Queste arme in guerra al capitan Francese, Djstruggitor dell'Asia, Ormondo trasse, Quaudo gli trasse l' alma; e le sospese, Perchè memoria ad ogni età ne passe. Non fia , l'atro dicea, che '1 re cortese L'opera grande inonorata lasse : Ben ei darà dò che per te si chiede; Ma con giunu l'avrai d' alta mercede. CANTO DECIMONONO a65 LXV Or apparecchia pur l'arme mentite; Che 'l giorno ornai della battaglia è presso: Son , rispose, già preste ; e qui, fomite Queste parole, e 1 duce tacque, ed esso. Restò Vafrino alle gran cose udite Sospeso e dubbio, e rivolgea in se stesso Quali arti di congiura, e quali sieno Le mentite arme, e noi comprese appieno. LXVI Indi partissi, e quella notte intiera Desto passò, eh' occhio serrar non volse : Ma quando poi di nuovo ogni bandiera All'aure mattutine il campo sciolse. Anch' ei marciò con l'altra gente in schiera, Fermossi anch' egli ov'ella albergo tolse; £ pur anco tornò di tenda in tenda. Per udir cosa, onde il ver meglio intenda. LXVII Cercando, trova in sede alta e pomposa, Fra cavalieri, Armida, e fra donzelle , Che stassi in se romita, e sospirosa Fra se co' suoi pensier par che favelle. Sulla candida man la guancia posa, £ china a terra l'amorose stelle. Non sa se pianga o no: ben può vederle Umidi gli occhi , e gravidi di perle^ a66 LA GERUSALEMME LXVIII Vedele incontra il fero Adrasto assiso , Che par eh* occhio non batta e che non spiri, Tanto da lei pendea, tanto in lei fiso Pasceva i suoi famelici desiri; Ma Tisaferno , or Tuoo or F altro in viso Guardando , or vien che brami, or che s'adiri; E segna il mobit volto or di colore Di rabbioso disdegno, ed or d'amore. LXIX Scorge poscia Altamor che'n cerchio accolto Fra le donzelle, alquanto era in disparte: Non lascia il désir vago a freno sciolto , Ma gira gli occhi cupidi con arte. Volge un guardo alla mano, uno al bèi volto: Talora insidia più guardata parte, £ la s'interna ove mal cauto apria Fra dite mamme un beA vel secreta via. Alca alfin gli occhi Armida , e pur alquanto- La bella fronte sua torna serena ; E repente fra i nuvoli del pianto Un soave sorriso apre e balena : Signor, dicea, memlx^ndo il vostro vanto ^ L' anima mia puote scemar la pena; Che d' esser vendicata in breve aspetta^ E dolce è l'ira in aspettar vendetta. CANTO DEOMONONO ^67 LXXI Risponde rindìau: la fronte mesta Deh , per Dio ^ rasserena , e 1 duolo allevia ; Ch' assai tosto avverrà cbe L' empia testa Di quel Rinaldo a* pie tronca ti veggia ; O menerolti prigionier con questa Ultrìce mano , ove prigion tu 1 chie^ia. Così promisi in v(Ho : or Y altro eh' ode Motto non fa^ ma tra l^uo cor si rode* LXXII Volgendo in Tisaferno il dolce sguardo : Tu j che dici j signor? colei soggiunge. Risponde egli infingendo : io ^ che son tardo , Seguiterò il valor così da lunge Di questo tuo terribile e gagliardo : E con tai detti amaramente il punge. Ripiglia r Indo allor : ben è ragione Che lunge segua , e tema il paragone. LXXIII Crollando Tisafernoil capo altero, Disse: oh foss'io signor del mio talento! Libero avessi in questa spada impero ; Che tosto e' si parria chi fia più lento. Non temo io te , né i tuoi gran vanti , o fero ; Ma il cielo e 1 mio nemico amor , pavento. Tacque ; e sorgeva Adrasto a far disfida , Ma lo prevenne, e s interpose , Armida, ^68 LA GERUSALEMME LXXIV Diss'ella: o cavalier, perchè quel dono Donatomi più volte, anco togliete? Miei campion sete voi : pur esser buono Dovria tal nome a por tra voi quiete. Meco s' adira chi s adira : io sono 'Neir offese V offesa; e voi '1 sajiete. Così lor parla; e cosi avvien che accordi Sotto giogo di ferro alme discordi. LXXV È presente Vafrino , e 1 tutto ascolta , E sottrattone il vero , indi si toglie : Spia dell'alta congiura , e lei ravvolta Trova in silenzio, e nulla ne raccoglie. Chiedene iraprontamente anco talvolta , E la difficoltà cresce le voglie: O qui lasciar la vita egli è disposto, O riportarne il gran secreto ascosto. LXXVI Mille e più vie d' accorgiménto ignote ^ Mille e più pensa inusitate frodi ; E pur con tutto ciò non gli son note Dell'occulta congiura o Tarme, o i modi. Fortuna alfin ( quel eh' ei per se non puote) Inviluppò d' ogni suo dubf)io i nodi ; Sì eh' ei distinto e manifesto intese , Come V insidie al pio Bnglion sian tese. CANTO DECIMONONO 269 LXXVII Era tornato ov' è pur anco assisa Fra' suoi campioni la nemica amante , Ch'ivi opportun F investigarne avvisa, Ove genti traean sì varie, e tante. Or qui s' accosta a una donzella , in guisa Che par che v'abbia conoscenza innante, Par v'abbia d' amistade antica usanza , E ragiona in affabile sembianza. LXXVIII Eglidicea, quasi per gioco : anch'io Vorrei d' alcuna bella esser campione , E troncar penserei col ferro mio Il capo o di Rinaldo , o del Buglione : Chiedila pure a me , se n' hai desio , La testa d' alcun barbaro barone . Così comincia, e pensa a poco a poco A più grave parlar ridurre il gioco. LXXIX • Ma in questo dir sorrise , e fé' ridendo Un cotal atto suo nativo usato. Una dell'altre allor, qui sorgiungendo, L' udì 5 guardollo, e poi gli venne allato j Disse : involarti a ciascun' altra intendo j Né ti dorrai d' amor male impiegato. In mio campion t' eleggo , ed in disparte , Come a mio cavalier , vuo' ragionarte. 270 LA GERUSALEMME l*XXX RitiroUo , e parlò : riconosciuto Ho te , Yafria : tu me cooosoer dei. Nel cor turbossi lo scudiero astuto : Pur si rivolse sorridendo a lei : Non t' ho , che mi sovvenga , unqaa veduto ; E degna pur d' esser mirata set. Questo so beU) chiassai vario da quello Qie tu dicesti , è il nome ^ ond' io m' appello. LXXXI Me sulla piaggia di Biserta aprica Lesbia produsse , e mi nomò Almazzorre. Tosto disse ella : ho conoscenza antica D' ogn^ esser tuo; né già mi voglio opporre. Non ti celar da me , eh' io sono amica ^ Ed in tuo prò vorrei la vita esporre. Erminia sou, già di re figlia, e serva Poi di Tancredi un tempo, e tua conserva*, LXXXII • Nella dolce prìgion due lieti mesi , Pietoso prigionier , m' avesti in guarda , E mi servisti in bei modi cortesi. Ben dessa i' son , ben dessa i son : riguarda. Lo scudier, come pria v'ha gli occhi intesi , La bella faccia a ravvisar non tarda: Vivi ( ella soggiungea ) da me securo : Per questo del , per questo sol tei giuro. CANTO DECIMONONO !x^l LXXXIII Anzi pregar ti vuo^ che quando tomi Mi rìcouduca alla pri^on mia cara : Torbide notti e tenebrosi giorni , Misera vivo in libertate amara. E se qui per ispia forse so^omi , Ti si fa incontro alta fortuna e rara. Saprai da me congiure, e ciò che altrove Malagevol sarà che tu ritrove. LXXXIT Cosi gli parla; e intanto ei mifa e tace: Pensa all'esempio della falsa Armida; Femmina è cosa garrula e fallace : Yudie e disvuole; è folle uom che sen fida. Sì tra se volge: or, se venir ti piace, Alfin le disse , io ne sarò tua guida. Sia fermato tra noi questo e conchiuso : Serbisi il parlar d' akro a miglior uso. LXXXV Gli ordini danno di salire in sella Anzi il muover del campo allora allora. Parte Vafrin del padiglione ; ed eUa Si torna aU' altre , e alquanto ivi dimora. Di scherzar fa sembiante , e pur favella Del campion nuovo, e se vien poi fuora. Viene al loco prescritto, e s' accompagna ; Ed esooQ poi del campo alla campagna. a7ft LA GERUSALEMME LXXXTI Già eran giunti in parte assai romita y £ già spariaa le saracine tende , Quando ei le disse : or di' come alla vita. Del pio Goffredo altri V insidie tende. Allor colei della congiura ordita L* iniqua tela a lui dispiega e stende : Son ( gli divisa ) otto guerrier di corte , Tra' quali il più famoso è Ormondo il forte» LXXXVH Questi (che che lor muova, odioo disd^no) Han cospirato , e Tarte lor fia tale: Quel dì che 'n lite verrà d' Asia il regno , Tra duo gran campi in gran pugna cambiale ^ Avran sull' arme della croce il segno , £ l'arme avranuo alla Francesca, e quale La guardia di Goffredo ha bianco e d'oro n suo vestir^ sarà l'abito loro. LXXXVIII Ma ciascun terrà cosa in sull'elmetto, Che noto a' suoi per uom Pagano il faccia : Quando fia poi rimescolato e stretto L' un campo e l' altro , elli porransi in traccia , £ insidieranno al valoroso petto , Mostrando di custodi amica faccia; E 1 ferro armato di veneno avranno, Perchè mortai sia d' ogni piaga il danno. CANTO DECIMONONO 27$ Lxxxix: £ perchè fra' Pagani anco risassi Ch' io so vostr usi , ed arme , e sopravveste, Fer che le false insegne io divisassi j E fui costretta ad opere moleste. Queste son le cagion che 'I campo io lassi : Fuggo rimperìose altrui richieste. Schivo ed abborro in qual si veglia modo Contaminarmi in atto alcun di frodo. xc Queste son le cagion; ma non ^à sole. £ qui si tacque, e di rossor si tinse , E chinò gli occhi, e T ultime parole Ritener volle, e non ben le distinse. Lo scudier , che da lei ritrar pur vuole Ciò ch'ella vergognando in se ristrinse; Di poca fede, disse, or perchè cele Le più vere cagioni al tuo fedele? xci Ella dal petto un gran sospiro apriva, E parlava con suon tremante e roco: Mal guardata vergogna intempestiva. Vattene ornai : non hai tu qui più loco. A che pur tenti, o in van ritrosa e schiva, Celar col fuoco tuo d'amor il fuoco ? Debiti fur questi rispetti innante. Non or , che fatta son donzella errante. T. IL 18 274 LA GERUSALEMME XCII Soggiunge poi: b notte a me fatale, Ed alla patria mia che giacque oppressa, Perdei più che non parve, el mio gran male Non ebbi in lei, ma derivò da essa. Leve perdita è il regno: io col regale Mio alto stato anco perdei me stessa : Per mai non ricovrarla, allor perdei La mente, folle! e 1 core, e i sensi miei. xeni Yafrin, tu sai, che timidetta accorsi. Tanta strage vedendo e tante prede, Al tuo signor e mio, che prima i'soor^ Armato por nella mia reggia il piede, E chinandomi a lui lai voci porsi: Invitto vincilor, pietà, mercede: Non prego io te per la mia vita: il fiore Salvami sol del vei^inale onore. xciv Egli la sua porgendo alla mia mano, Non aspettò che'l mìo pregar fornisse: Vergine bella, non ricorri in vano: Io ne sarò tuo difensor, mi disse. Allora un non so che soave e piano Sentii, ch'ai cor mi scese e vi s'affisse. Che serpendomi poi per Talma vaga , Non so come , divenne incendio e piaga. > CANTO DECIMONONO 275 xcv Visitammi egli spesso, e'o dolce suono Consolaiido il mio daol^ meco si dolse :/ Dicea: l'intera libertà ti dono, £ delle spoglie mie spogli^ non vcdse. Ohimè, che fu rapina e parve dono, Che rendendomi a meda me mi tolse! Quel mi rendè eh' è via men caro e degno, Ma s' usurpò del core a forza il regno. xcvi Male amor si nasconde : a te sovente Desiosa i'chiedea del mio signore, Yeggendo i segni tu d'inferma mente: Erminia, mi dicesti , ardi d'amore. Io tei negai; ma un mio sospiro ardente Fu più verace testimon del core: E, invece forse della lingua, il guardo Manifestava il foco onde tutt'ardo. XCVII Sfortunato silenzio! avessi almeno Chiesta allor medicina al gran martire; S'esser poscia dovea lentato il freno. Quando non gioverebbe , al mio desire. Partiimi in somma, e le mie piaghe in seno Portai celate, e ne credei morire, Alfin, cercando al viver mio soccorso, Mi sciolse amor d'agni rispetto il morso; 276 LA GERUSALEMME XCVIII Sì eh' a trovarne il mio signor io mossi^ Ch'egra mi fece, e mi potea far sana; Ma tra via fero intoppo attraversossi Di gente inelemeutissima e villana. Poco mancò che preda lor non fossi: Pur in parte fuggiimi erma e lontana ; E cola vissi in solitaria cella Cittadina de'bosqhi, e pastorella. ic Ma poiché qnel desio, che fu ripresso Alcun dì per la tema, in me risorse, Tornarmi ritentando al loco stesso La medesma sciagura anco m'occorse. Fuggir non potei già; ch'era omai presso Predatrice masnada, e troppo corse. Così fui presa ; e quei che mi rapirò, Egizj fur , eh' a Gaza indi sen giro; G E in don menarmi al capitano, a cui Diedi di me contezza, e 1' {persuasi Sì, ch'onorata e inviolata fui Quei dì che con Armida ivi rimasi. Cosi venni più volte in forza altrui , E men sottrassi. Ecco i miei duii casi. Pur le prime catene anco riserva La tante volte liberata , e serva. CANTO DECIMONONO 277 CI Oh pur colui , che circondoUe intorno Air ahna sì, che non fia chi le scloglia , Non dica : errante ancella , altro soggiorno Cercati pure: e me seco non voglia; Ma pietoso gradisca il mio ritorno , E neir antica mia prigion m' accoglia ! Così diceagli Erminia; e insieme audaro La notte e 1 giorno, ragionando a paro. cu H pili usato sentìer lasciò Vafrino , Calle cercando o più securo, o corto: Giunsero in loco alla città vicino ,' Quando è il sol neir occaso , e imbruna Y orto; E trovaron di sangue atro il cammino, E poi vider nel sangue un guerrìer morto , Che le vie tutte ingombra , e la gran faccia Tien volta al cielo , e morto anco minaccia. CHI L' uso deir anne , e 1 portamento estrano Pagan mostrarlo: e lo scudier trascorse. Un altro alquanto ne giacca lontano, Che tosto agli occhi di Vafrino occorse. Egli disse fra se: questi è crisirano: Più il mise pòscia il vestir bruno in forse» Salta di sella , e gli discopre il viso; Ed, ohimè, grida: è qui Tancredi uccisol -17» LA GERUSALEMME civ A riguardar sovra il gnerrier feroce La male avventurosa era fermala, Quando dal suon della dolente voce Per lo mezzo del cor fa 5;aettata. Al nome di Tancredi ella veloce Accorse in guisa d' ebra , e forsennata : Vista la faccia scolorita e bella , Non scese no, precipitò di sella , cv E in lui verso d' inessiccabìl vena Lagrime , e voce di sospiri mista : In che misero punto or qui mi mena Fortuna! ah che veduta amara e trista ! Dopo gran tempo i' ti ritrovo appena , Tancredi , e ti riveggio , e non son vista : Vista non son da te, benché presente; E trovando , ti perdo eternamente. evi Misera , non credea eh' agli occhi miei Potessi in alcun tempo esser noioso : Or cieca farmi volentier torrei Per non vederti , e riguardar non oso. Oiiimè ! de' lumi già si dolci e rei Ov' è la fiamma ? ov' è il bel raggio ascoso? Delle fiorite guance il bel vermiglio Ov' è fuggito ? ov' è il seren del ciglio ? CANTO DECIMONONO 279 CVII Ma che ? Squallido e scuro anco mi piaci : Anima bella , se quinci entro gire, S odi il mio pianto, alle mie voglie audaci Perdona il furto , e 1 teraerarlo ardire. Dalle pallide labbra i freddi baci , Che più caldi sperai, vuo'pur rapire. Parte torrò di sue ragioni a morte j Baciando queste labbra esangui e smorte. eviri Pietosa bocca , che solevi in vita Consolar il mio duol di tue parole , Lecito sia che anzi la mia partiu D' alcun tuo caro bodo io mi console ; £ forse allor ( s' era a cercarlo ardita ) Quel davi tu , eh' ora convien che invole. L^eciio sia eh' ora ti stringa , e poi Versi lo spirto mio fra i laUm tuoi. cix Raccogli tu F anima mia seguace: Drizzala tu dove la tua sen già Cosi parla gemendo, e si disface Quasi per gli occhi, e par conversa in rio. Rivenne quegli a qneH'tniior vivace, E le languide labbra alquanto d|)rio : Aprì le labbra , e con le luci chiuse Un suo so&pir cpn que' di lei confuse. a8o LA GERUSALEMME ex Sente la donna il cavalier che geme ^ E forza è pur che si conforti alquanto: Apri gli occhi, Tancredi, a queste estreme Essequie, grida, eh' io ti fo col pianto; Riguarda me, che vno' venirne insieme La lunga strada, e vuo' morirti accanto: Riguarda me, non ten fuggir sì presto; L'ultimo don ch'io ti domando è questo. CXI Apre Tancredi gli occhi , e poi gli abbiesa Torbidi e gravi; ed ella pur si lagna. Dice Vafrino a lei : questi non passa : Curisi adunque prima- , e poi si piagaa. Egli il disarma: ella tremante è Lassa Porge la mano all'opere compagna. Mira, e tratta le piaghe, e di ferule Giudice esperta, spera indi salute. CXII Vede che'l mal dalla stanchezza nasce, E dagli umori in troppa copia sparti. Ma non lia, fuor eh' un velo, onde gli fasce Le sue ferite, in si solJnghe parti: Amor le trova inusitate fa3ce , E di pietà le insegna insolite arti : L'asciugò con le chiome, e rilegoUe Pur con le chiome che troncar si volle; CANTO DECIMONONO a8i GXIII lP«rò che'l velo suo bastar non puote Breve e sottile, dile si spesse piaghe. Dittamo e croco non avea, ma note Per uso tal sapea potenti , e maghe. Già il mortifero sonno ei da se scuole: Già può le luci alzar mobili e vaglie* Vede il suo servo, e la pietosa donna Sopra si mira in per^rina gonna. cxiv Chiede: o Vafrin , qui come giungi, e quando? £ tu chi sei, medica mia pietosa? Ella fra lieta e dubbia, sospirando, Tinse il bel vcJto di color di rosa : Saprai, rispose, il tutto: or (tei comando, Come medica tua ) taci, e riposa. Salute avrai: prepara il guiderdone; Ed al suo capo il grembo indi sopponc. cxv Pensa intanto Vafrin come all' ostello Agiato il porti anzi più fosca sera; Ed ecco di guerrier giunge un drappello: Conosce ei ben che di Tancredi è schiera* Quando affrontò il Circasso , e per appello Di battaglia chiamollo, insieme egli era. Non seguì lui, perch'ei non volle allora; Poi dubbioso il cercQ della dimora. !i8a LA GERUSALEMME CXVI Seguìan molti altri la medesma inchiesta} Ma ritrovarlo awiea che lor sticoeda. Delle stesse lor braccia essi han contesta Quasi una sede, ov'ei s'appoggi, e sieda. Disse Tancredi allora: adunque resta n valoroso Atlante a i corvi in preda? Ah, per Dio , non si lasci, e non si frodi O della sepoltura, o deUe lodi. cxvif Nessuna a me col busto esangue e muto Riman più guerra: ^li morì qnal forte, Onde a ragion gli è qnelVonor dovuto , Che solo in terra avanzo è della morte. Cosi, da molti ricevendo aiuto. Fa che! nemico suo dietro si porte. Vafrino al fianco di colei sì pose , Siccome uom suole alle guardate cose. cxviii Soggiunse il prence: alla città regale^ Non alle tende mìe, vuo' che si vada; Che s* umano accidente a questa frale Vita sovrasta, è ben ch'ivi m'accada; Che'l loco, ove mori l'uomo immortale, Può forse al cielo agevolar la strada; E sarà pi^o un mìo pensier devoto, D'aver peregrinato al fin del roto. CANTO DECIMONONO ^83 CXIX IKsse ; e colà portato egli fò posto Sovra le piume , e il prese un sonno chela Vafiino alla donzella, e non discosto , Ritrova albergo assai chiuso e secreto. Quinci s'invia dov'è GoflFredo, e losto Entra , che non gli è^ fatto alcun divfeJo , Sebben allor della futura impresa In bilance i consigli appeiKle, e pesa. cxx Del letto, ove la stanca egra persona. Posa Raimondo, il duce è sulla sponda , E d' ogu' intorno nobile corona De' più potenti, e jm'ù saggi, il circonda. Or mentre lo scudiero a lui ragiona , Non v'è chi d'altro chieda, o chi risponda : Signor, dicea, cmfie imponesti andai Tra gì' infedeli , e'I campo lor cercai; cxxl Ma non aspettar già, che di queir oste L'innumerabìl numero ti conti. r vidi ch'ai passarle valli ascoste Sotto e' teneva e i piani tutti e i monti. Vidi che dove giunga, ove s' accoste, Spoglia la terra , e secca i fìumi e i fonti j Perchè non bastan l'acque alla lor sete, E poco è lor ciò elle la Siria mieta i84 LA GERUSALEMME CXXII Ma si de^cavalier , sì de' pedoni , Sono in gran parte inutili le schiere, Gente che non intende ordini o suoni , Né stringe ferro , e di lontan sol fere. Ben ve ne sono alquanti eletti e buoni, Che seguite di Persia han le bandiere; E forse squadra anco migliore è quella Che la squadra immortai del re s appella. CXXIII Ella è detta immortai, perchè difetto In quel numero mai non fu pur d' uno , Ma empie il loco voto , e sempre eletto Sottentra uom nuovo , ove ne manchi alcuno. Il capitan del campo, Emiren detto , Pari ha in senno e 'n valor pochi, o nessuno; E gli comanda il re, che provocarti Debba a pugna campai con tutte Tarti. cxxiv Ne credo già che al di secondo lardi 1/eserciio nemico a comparire. Ma tu , Rinaldo , assai con vien che guardi Il capo, ònd'è fra lor tanto desire: Che i più famosi in arme , e i più gagliardi, Gli hanno incontra arrotato il ferro e Tire ; Perchè Armida se stessa in guiderdone A qual di loro il troncherà, propone. CANTO DECIMONONO aSS cxxv Fra questi è il valoroso e nobil Perso, Dico Alta moro, il re di Sarmacante; Adrasto v' è eh' ha il regno suo là verso I coufiu dell'Aurora, ed è gigante, Uoni d'ogni umanità così diverso. Che frena per cavallo un elefante, V è Tisafemo, a cui nell' esser prode Concorde fama dà sovrana lode. cxxvi Così dice egli; e'I giovinetto in volto Tutto scintilla, ed ha negli occhi il foco: Vorria già tra' nemici essere avvolto. Né caj)e in se, né ritrovar può loco. Quinci Vafrino al capitan rivolto : Signor, soggiunse, il fin qui detto é poco. La somma delle cose or qui si chiuda: Impugaeranjsi in te l' arme di Giuda. cxxvii Di parte in parte poi tutto gli espose Ciò che di fraudolente in lui si tesse, L'arme e'I venen, l'insegne insidiose, H vanto udito, i premj, e le promesse. Molto chiesto gli fu, molto rispose: Breve tra lor silenzio indi successe. Poscia innalzando il capitano il ciglio Chiede a Raimondo : or qual è il tuo consiglio? 286 LA GERUSALEMME CXXVIIl Ed egli: è mio parer, cb^a i nuovi albori^ Come coQclusofu y più non s assaglia. Ma $i strìoga la tc^rre , oade uscir fuori Chi dentro sta^ a suo piacer uoa vaglia : E posi il nosiro campo, e si ristori Frattaato ad uopo di maggior battaglia. Pensa poi tu s'è meglio usar la spada Cou forza aperta , o il gir teaeodo a bada» CXXIX Mio giudizio è però eh' a te convegna Di te stesso curar sovra ogni cura; Che per te vince Foste, e per te regna : Chi senza te V indrizza e Tassecura ? E, perchè itraditor non celi insegna, Mutar r insegne a' tuoi guerrier procura. Cosi la fraude a te palese fatta Sarà da quel medesmo in chi s'appiatta. cxx X Risponde il capitan : come hai per uso^ Mostri amico volere e saggia mente; Ma quel che dubbio lasci or fia conchiuso: Uscirem coutro alla nemica gente ; Né già star deve in muro, o 'n vallo chiuso Il campo domator dell' oriente. Sia da quegli empj il valor nostro esperto Nella più aperta luce , in loco aperto. CANT O DECIMONONO 387 CXXXI Non sosterrai! delle vittorie il nome, Non che de' vincilor l'aspetto altero, Non che Tarme : e lor forze saran dome, Fermo stabilimento al nostro impero. La torre o tosto renderassi , o come Altri noi vieti, il prenderla è leggiero. Qni il magnanimo tace, e £1 prtita; Che '1 cader delle stelle al sonno invita. LA GERUSALEMME LIBERATA CANTO VIGESIMO ARGOMENTO Giunge T oste Pagana ^ e crudel guerra Fa col campo fedele. Iljìer Saldano V assediata rocca anco disserra , f^ago d^ andare a guerreggiar nel piano : N^ esce col re; ma F uno e t altro a terra Estinto cade^ da famosa mano. Placa Rinaldo Armida: i Cristian scempio Fan de' nemici , e poi van lieti al Tempio. vjrià il sole avea desti i mortali all' opre: Già dieci ore del giorno eraa trascorse , Quando lo stuol eh' alla gran torre è sopre Un non so che da lunge ombroso scorse, Quasi nebbia che a sera il mondo copre ; £ eh' era il campo amico alfin s'accorse , Ghe tutto intorno il ciel di polve adombra , £ i colli sotto e Le campagne ingombra. T. 11. 19 290 LA GERUSALEMME Alzano allor cU^F «Ita ciipa i gndt Jafiao al ciel Y afissedìàie genti , ' Con quel romor, con che da i Trac) nidi^ Yanno a stormi le gru ne^ giorni algenti , E tra le nubi a' più tepidi lidi Fuggon stridendo innanzi a i freddi venti j Ch' or la giunta speranza in lor fa pronte La mano al saettar , la lingaaf all' onte. Ili Ben s' avvisano i Franchi onde dell' ire L' impeto nuovo , e 1 minacciar procede; E miran d' alu parte , ed apparire Il poderoso campo indi si vede. Subito avvampa il generoso ardire In que' petti feroci, e pugna chiede. La gioventute altera accolta insieme: Da', grida, il segno, invitto duce, e freme. IV Ma nega il saggio offrir battaglia innanbe A i nuovi albcHi, e tien gli audaci a freno: Ne pur con pugna instabile e vagante Vuol che si tentin ^'inimicL almeno: Ben è ragioo, dicea, die dopo tante Fatiche an giorno io vi ristori appieno. Forse ne' suoi neniici anco la folle Credenza di se stessi ei nudrir voUe^ CANTO VIGESIMO 291 V Si prepara ciascnn, della novella Luce aspettando cujHdo il ritorno. Non fu mai l'aria sì serena e bella , Come all'uscir del memoralnl giorno. L'alba lieta rideva , e parea ch'ella Tutti i raggi del sdie aves^ intomo; E'I lume usato accrebbe; e senza velo Volse mirar l'opere grandi il cielo. VI Come vide spuntar l'aureo mattino^ Mena fuori Goffredo il campo instrutto; Ma pon Raimondo intomo al Palestino Tiranno, e de' fedeli il popol tutto , Che dal paese di Soria vicino A' suoi liberator s'era condutto: Numero grande; e pur non questo solo, Ma di Guasconi ancor lascia uno stuolo. VII Yassene, e tal' è in vista il sommo duce, Ch' altri certa vittoria indi presume. Nuovo favor del cielo in lui riluce , £1 fa grande ed augusto okra il costume: Gli empie d'onor la faccia, e vi riduce Di giovinezza il bel purpureo lume; E nell'atto degU occhi e delle membra. Altro che mortai cosa egli rassembra: 29^ LA GERUSALEMME vili Ma non molto sen va , che giunge a fronte Dell'attendalo esercito pagano; E prender fa, neir arrivare, un monte Ch' egli ha da tergo e da sinistra mano : E r ordinanza poi , larga di fronte, Di fianchi angusta, spiega in verso il piano; Stringe in mezzo i pedoni, e rende alati Con l' ale de' cavalli entrambi i lati. IX Nel corno manco, il qual s'appressa all'erto Dell'occupato colle , e s'assicura, Pon l'uno e l'altro principe Roberto: Dà le parti di mezzo al frate in ciura. Egli a destra s' allunga, ov'è 1' aperto, E'I periglioso più della pianura. Ove il nemico , che di gente avanza , Di circondarlo aver potea speranza. E qui i suoi Loteringhi , e qui dispone Le meglio armate genti e le più elette. Qui tra' cavalli arcieri alcun pedone Uso a pugnar tra' cavalier frammette. Poscia d' avventurier forma un squadrone , E d' altri altronde scelti , e presso il mette : Mette loro in disparte al lato destro; E Kinaldo ne fa duce e maestro ; CANTO AIGESIMO ^gS XI Ed a lui dice: in te, signor, ripasta La vittoria , e la somma è delle cose : Tieni tu la tua schiera alquanto àscostà Dietro a queste aU grandi e spaziose. Quando appressa il nemico, e tu di costa L' assali , e rendi vah quanto e' propose. Proposto avrà , se 1 mio pensier non falle , Girando , ai fianchi urtarci ed alle spalle. XII Quindi, sovra un corsier, di schiera in schiera Parca volar tra'cavalier , tra' fanti : Tutto il volto scopria per la visieta : Fulminava negli occhi e ne' sembianti. Confortò il dubbio , e donfermò chi spera , Ed all' audace rammentò i suoi vanti , E le sue prove al forte : a chi maggiori Gli stipendj promise , a chi gli onori. xm Alfin colà fermossi , ove le prime E più nobili squadre erano accolte , E cominciò da loco assai sublime Parlare , ond' è rapito ogn' uom eh' ascolte. Come in torrenti dall' alpestri cime Soglion giù derivar le nevi sciolte^ Cosi correan volubili e veloci , Dalla sua bocca le canore voci : ^94 LA GERUSALEMME XIV O de' nemici di Gesù flagello, Campo mìo , domator dell' oriente , Ecco l'ultimo giorno, eccovi quello^ Che già tanto bramaste, ornai presente. Né senza alta cagion , che '1 suo rubcllo Popolo in un s'accoglìa, il del consente : Ogni vostro nemico ha qui congiunto, Per fornir molte guerre in un sol punto. XV Noi raccorrem molte vittorie in una ; Né fìa maggiore il rischio, o la fetica. Non sia, non sia tra voi temenza alcuna In veder cosi grande oste nimica : Che, discorde fra se, mal si raguna, E negli ordini suoi se stessa intrica ; £ di chi pugni il numero fia poco: Mancherà il core a molti , a molti il loco. XVI Quei che incontra verranci , uomini ignudi^ Fian per lo più, ftnza vigor , senz' arte , Che dal lor ozio , o da' servili studj Sol violenza or allontana , e parte. Le spade ornai tremar , trenaar gli scudi , Tremar veggio l' insegne in quella parte: <^^onosco i suoni incerti , e i dubb) moti: Veggio la morte loro a i segni noti. CANTO VIGESIMO ^gS XVII Quel capitan che , cinto d' óstra e d' oro, , Dispon le squadre , e par si fero in vista , Vinse forse talor T Arabo , o 1 Moro , Ma il suo valor non fia eh' a noi resìsta. Che farà, benché saggio, in tanta loro Confusione , e si torbida e mista ? Mal noto è , credo , e mal conosce i ^ui ^ Ed a pochi può dir : tu fosti , io fuL XVIII Ma capitano i'son di gènte -eletta: Pugnammo un tempo , e trionfammo insieme ; ' £ poscia un tempo a mio voler Y h^cy retta. Dì chi di voi non so la patria , o 'i.seiue ? Quale spada m^ è Ignota? o qual saett», Benché per l' aria ancor sospesa treme , Non saprei dir s è Franca , o ^e d' Irlanda , E quale appunto il braccio è che lavanda? XIX Chiedo solite cose : ognun qui sembri Quel medesmo eh' altrove i' Y ho già visto ^ E r usato suo zelo abbia, e rimembri L' onor suo , Y onor mio , l'onor di Cristo. Ite , abbattete gli empi , e i tronchi membri Calcate , e stabilite il santo acquisto. Che più vi tengo a bada ? assai distiutò Megli occhi Vostri il veggio : avece vinto. 296 LA GERUSALEMME XX Parve che nel fornir di lai parole Scendesse un lampo lucido e sereno , Come talvolta estiva notte suole Scuoter dal manto suo stella, o baleno j Ma questo eroder si potea che 1 sole Giuso il mandasse dal più intemo seno : E parve al capo irgli girando , e segno Alcun pensoUo di futuro regno. XXI Forse ( se deve infra' celesti arcani Prosontuosa entrar lingua mortale ) Angel custode fu , die da i soprani Cori discese , e '1 circondo con Tale/ Mentre ordinòe Goffredo i suoi Cristiani ^ E parlò fra le schiere in guisa tale, L' Egizio capitan lento non fue Ad ordinare, a confortar le sue. XXII Trasse le squadre fuor , come veduto Fu da lunga venirne il popol Franco ; E fece anch'ei V esercito cornuto , Co' fenti in mezzo , e i cavalieri al fianco 5 E per se» il corno defstro ha ritenuto, E prepose Altàmoro al lato manco. Muleasse fra Icw^o i fami guida , E in mezzo è poi della battaglia Armida. t:ANTO VIGESIMO 29^ XXIfl Col duce a destra è il re degl' Indiani ^ "E Tisaferno^, e tutto il regio stuolo: Ma dove stender può ne'larglii piani I/ala sinistra più spedito il volo, Altamoro ha i re Persi , e i re Afiricani^ E i duo che manda il più fervente suolo. Quinci le frombe , e le balestre , e gli archi Esser tutti dovean rotate ^ e scarchi. XXIV Così Emiren gli schiera,' e corre ancVesso Per le parti di mezzo, e per gli estremi : Per interpreti or parla, or per se stesso : Mesce lodi e rampogne , e pene e premj. Talor dice ad alcun : perchè dimesso Mostri , soldato , il volto ? e di che temi ? Che puote un contra cento ? Io mi confida Sol coir ombra fugargli , e sol col grido. XXV Ad altri: o valoroso, or via con questa Faccia a ritor la preda a noi rapita. L'immagine ad alcuno in mente desta, Glie la figura quasi , e glie V addita , Della pregante patria , e della mesta Supplice famiglinola sbigottita: Credi, dicea, che la tua patria spieghi Per ìfL mia lingua in tai parole i preghi : 298 LA GERUSALEMME XXVI Guarda tu le mie leggi, e i sacri tempj Fa' eh' io del sangue mio non bagai e lavi : Assicura le vergini dagli empi , E i sepolcri e le ceneri degli avi. A te j piangendo i lor passati tempi , Mostran la bianca chioma i vecchi gravi , A te la moglie le manmielle e 1 petto , Le cune , i figli, el maritai suo letto. XXVII A molti poi dicea: l'Asia campioni Vi fa deir onor suo : da voi s aspetta Gontra qite' pochi barbari ladroni Acerba , ma giustissima vendetta. Così con arti varie , in varj suoni , Le varie genti alla battaglia alletta. Ma già tacciono i duci , e le vicine Schiere non parte ornai largo confine. XXVIII Grande e mirabil cosa era il vedere Quando quel campo e questo a fronte venne , Come y spiegate in ordine le schiere , Di muover già , già d' assalire accenne : Sparse al vento ondeggiando ir le bandiere , E ventolar su i gran cimier le penne ; Abiti , fregj 5 imprese , arme , e colori D' oro e di ferro , al sol lampi , e fulgori. CANTO VIGESIMO 299 Sembra d' alberi densi alta foresta 1u no campo e V altro, di tant'asle abbonda. Son tesi gli archi, e son le lance in resta : Vibransi i dardi , e rotasi ogni fionda. Ogni cavallo in gnerra anoo s appresta ; Gli odj , e '1 furor del suo signor seconda: Raspa , batte , nitrisce , e si raggira : Gonfia le narì , e fumo e fuoco spira. XXX Bello in sì bella vista anco è V orrore , E di mezzo la tema esce il diletto ; Né men le trombe orribili e canore Sono agli orecchi lieto e fero oggetto. Pur il campo fedel , benché minore , Par di suon più mirabile, e d'aspetto: E canta in più guerriero e chiaro carme Ogni sua tromba; e maggior luce han Tarme. XXXI Fer le trombe cristiane il primo invito: Risposer r altre , ed accettar la guerra. S* inginocchiaro i Franchi , e riverito Da lor fu il cielo ; indi baciar la terra. Decresce in mezzo il campo: ecco è sparito: 1/ un con r altro nemico ornai si* serra. Già fera zuffa é nelle corna; einnanti Spingonsi già con lor battaglia i fanti. 3oo LA GERUSALEMME XXXII Or chi fii il primo feritor crisuano. Che dicesse d' oaor lodati acquisti ? Fosti Gildippe tu, che 1 graade Ircano , Che regnava in Onnus, prima feristi: ( Tanto di gloria alla femoiinea mano Concesse il cielo ) e 1 petto a lui partisti. Cade il trafìtto; e nel cadere egli ode Dar gridando i nemici al colpo lode. XXXIII Con la destra viril la donna stringe , Poich'ha rotto il troncon, la buona spada, E cx>ntra i Persi il corridor sospinge , E '1 folto delle schiere apre, e dirada. Coglie Zopiro là dove uom si cinge , £ fa che quasi bipartito ei cada: Poi fer la gola , e tronca al crudo Alarco Della voce e del cibo il do[^o varco. XXXIV D'un mandritto Artaserse, Argeo di punta, li^uno atterra stordito , e l' altro uccide: Poscia i piegbevol nodi , ond' è congiunta La manca al braccio , ad Ismael recide. Lascia , cadendo , il fren la man disgiunta ; Su gli orecchi al destriero il colpo stride: Ei , che si sente in suo poter la briglia, Fugge a traverso, e gli ordini scompiglia. CANTO VIGESIMO 3oi XXXV Questi , e molli altri, che n silenzio preme L' età vetusta, ella di vita toglie. Strìngonsi i Persi, e vanle addosso insieme^ Vaghi d^aver le gloriose spoglie ; Ma lo sposo fedel, che di lei teme, Corre in soccorso alla diletta moglie. Casi congiunta la concorde coppia^ Nella fida union le forze addoppia. XXXVI Arte di schermo nuova e non più udita Ai magnanimi amanti usar vedresti; Oblia di se la guardia , e Y altrui vita Difende intentamente e quella e questi. Ribatte i colpi la guerriera ardita , Che vengono al suo caro aspri e molesti:^ Egli all'arme a lei dritte oppon lo scudo : V'opporria, s'uopo fosse , il capo ignudo. XXXVII Propria l' altrui difesa , e propria face L' uno e F altro di lor Y altrui vendetta* Egli dà morte ad Artabano audace , Per cui di Boecan Y isola è retta : E per ristessa mano Alvante giace, Ch'osò pur di colpirla sua diletta: Ella, fra ciglio e ciglio , ad Arimonte, Che 1 suo fedel battea, partì la fronte. 3o2 LA GERUSALEMME XXXVIII Tal fean de' Persi strage , e via maggiore La fea de' Franchi il re di Sarmacaoie , Ch'ove il ferro volgeva o 1 corridore , Uccideva, abbattea cavallo o ùnte. Felice è qnì colai che prima muore, Né geme poi sotto il destrier pesante; Perchè il destrier ( se dalla s\yèda resta Alcun mal vivo avanzo) il morde ^ e pesta. XXXIX Riman dai colpi d'Altamoro ucciso Brunellone il membruto, Ardonio il grande. L'elmetto all'uno e 1 capo è sì diviso, Ch'ei ne pende su gli omeri a due bande. Trafitto è l'altro injBn là dove il riso Ha suo princìpio , e '1 cor dilata e spande : Tal che ( strano spettacolo ed orrendo ) Ridea sforzato , e si moria rìdendo. XL Né solamente discacciò costoro La spada micidial dal dolce mondo , Ma spinti insieme a crudel morte foro Gentonio, Guasco, Guido, e'I buon Rosmondo. Or chi narrar potrìa quanti Allamoro N'abbatte , e frange il suo destrier col pondo? Chi dire i nomi de le genti uccise? Chi del ferir, chi del morir le guise? CANTO VIGESIMO 3o3 XLI Non è chi con quel fero ornai s' affrante^ Né chi pur lunge d' assalirlo accenne. Sol rivolse Gildippe in lui la fronte , Né da quel dubbio paragon s'astenne. Nulla Amazzone mai sul Termodonte Imbracciò scudo, o maneggiò bipenne Audace sì, com'ella audace inverso Al furor va del fomiidabil Perso.. XLII Ferìllo ove splendea d'oro e di smalto Barbarico diadema in su l' elmetto; El ruppe , e sparse; onde il superbo ed alto Suo capo a forza egli è a chinar costretto. Ben di robusta man parve l' assalto Al re pagano, e n'ebbe onta e dispetto; Né tardò in vendicar Y ingiurìe sue ; Che r onta e la vendetta a un tempo fue. XLIU Quasi in quel punto in fronte egli percosse La donna, di percossa in modo fella, Che d' ogni senso e di vigor la scosse: Cadea ; ma il suo fedel la tenne in sella. Fortuna loro , o sua virtù pur fosse : Tanto bastogli , e non feri più in ella ; Quasi leon magnanimo che lassi. Sdegnando^ uom che si giaccia , e guardi e passi. 3o4 LA GERUSALEMME XLIV Ormondo intanto, alie coi fere mani Era comnoessa b spietata cura , Misto con false insegne è fraXrìstiani, E i compagni con lui di sua congiura. Cosi lupi notturni , i quai dì cani ^Mostrin sembianza , per la nebbia oscura Vanno alle mandre, e spian cernie in lor s'entre^. La dubbia coda ristringendo al ventre. XLV Giunsi appressando; e non lontano al fianco Del pio Goffredo il fer Pagan si mise ; Ma come il capitan V orato e 1 bianco , Vide apparir delle sospette assise : Ecco, gridò 5 quel traditor che Franco Cerca mostrarsi in simulate guise. Ecco i suoi congiurati in me ^à mossi : Cosi dicendo al perfido avventossi. XLVI Mortalmente piagoUo ; e quel fellone Non fere , non fa schermo , e non s arretra ; Ma come innanzi agli occhi abbia 1 Gorgone ( E fu cotanto audace ) or gela e impeti*a. Ogni spada ed ogni asta a lor s'oppone , E si vota in lor soli ogni faretra. Va in tanti pezzi Ormondo e i suoi consorti^ Che 1 cadavero pur non resta a i morti. CANTO VIGESIMO 3o5 XLVII Poi che di sangue osili si vede asperso, Entra in guerra Goffredo , e là si volve Ove appresso vedea che 1 duce Perso Le più ristrette squadre apre, e dissolve Si , che 1 suo stuolo ornai n' andria disperso, Come anzi Y Austro Y Affricana polve. Ver lui si drizza , e i suoi sgrida e minaccia, E fermando chi fugge j assai chi caccia. XLVIH Comincian qui le due feroci destre Pugna, qual mai non vide Ida né Xanto: Ma segue altrove aspra tenzon pedestre . Fra Baldovino e iM uleasse intanto. Né ferve raen Y altra battaglia equestre Appresso il colle , all' altro estremo canto , Ove il barbaro duce delle genti Pugna in persona, e seco ha i duo potenti. IL H rettor delle turbe , e T un Roberto Fan crudel zuffa , e lor virtù s' agguaglia : Ma r Indìan dell'altro ha Y elmo aperto , £ r arme tuttavia gli fende e smaglia. Tisafemo non ha nemico certo Che gli sia paragon degno in battaglia ; Ma scorre ove la calca appar più folta , £ mesce varia uccisione , e molta. T. //• ao 3o6 LA GERUSALEMME L Così si combatteva ; e 'a dubbia lance Col timor le speranze eran so3pese. Pien tutto il campo è di spezzate lance , Di rotti scudi, e di troncato arnese^ Di spade a i petti , alle squarciate panc« Altre confitte, altre per terra stese , Di corpi altri supini , altri co' Tolti , Quasi mordendo il suolo , al suol rivolti. LI Giace il cavallo al suo signore appresso : Giace il compagno appo il compagno estinto : Giace il nemico appo il nemico; e spesso Sul morto il vivo , il vincitor sul' vinto. Non v' è silenzio , e non v' è grido espresso } Ma odi un non so che roco e indistinto ; Fremiti di furor, mormorii d'ira, Gemiti di chi langue , e di chi spira. LII L' arme , che già si liete in vista foro , Faceano or mostra spaventosa e mesta. Perduti ha i lampi il ferro, i raggi V oro: Nulla vaghezza a i bei color più resta. Quanto apparia d' adorno e dì decoro Ne' cimieri e ne' fregi , or si calpesta. La polve ingombra ciò eh' al sangue avanza, Tanto i campi mutata avean semUansa. CANTO VIGESIMO 807 LUI Gli Arabi allora , e gli Etìopi , e i Mori, Che r estremo tenean dei lato manco , Giansi spiegando, e distendendo in inori Indi giravan de' nemici al fianco ^ Ed ornai sagittarj e frombatori Molestavan da Innge il popcd Franco; Quando Rinaldo e'I suo drappel si mosse , E parve che tremoto e tuono fosse» .LIV Assimiro di Meroe, infra V adusto Stuol d' Etiopia, era il prìmier de' forti. Rinaldo il colse ove si aunoda al busto Il nero collo , e 1 fc' cader tra' morti. Poi eh' eccitò della vittoria il gusto li' appetito del sangue e delle morti , Nel fero vincitore egli fé* cqse Incredibili, orrende , e mostruose. LV Die più morti che colpi : eppur frequente De' suoi gran colpi la tempesta cade. ' Qual tre lingue vibrar sembra il serpente, Che la prestezza d' una il persuade ; Tal credea lui la sbigottita gente Con la rapida man girar tre spade. L' occhio, al moto deluso, il £dso crede ; * E 1 terrore a que' mostri accresce fed*. 5o8 LA GERUSALEMME LVI I Libici liranuì, e i Negri regi, L' un nel sangue deir altro a morte stese: Dier sovra gli altri i suoi compagni egregj , Cui d' emulo furor V esempio accese. Cadeane con orribili dispregi L' infedel plebe , e non iacea difese. Pugna questa non è, ma strage sola; Che quinci oprano il ferro , indi la gola. LVII Ma non lunga stagion volgon la faccia, Ricevendo le piaghe in nobll parte: Fuggon le turbe , e sì il timor le caccia , Ch' ogni ordinanza lor scompagna e parte ; Ma segue pur senza bsciar la traccia, Sin che Y ha in tutto dissipate e sparte; Poi si raccoghe il vincìtor veloce, Che sovra i più fugaci è nien feroce. LVIII Qual vento a cui s'oppone o selva o colle^ Doppia nella contesa i soffi e Tira; Ma con fiato più placido e più molle Per le campagne libere poi spira : Come fra scogli il mar spuma e ribolle, E nell'aperto onde più chete aggira; Così , quanto contrasto avea men saldo, Tanto scemava il suo fìiror Rinaldo. CANTO VIGESIMO 809 LIX Poi che sdegiìossi ia fuggitivo dorso Le aobir ire ir consumaado ia vauo, Verso la fanteria voltò il suo corso , Ch' ebbe V Arabo al fianco, e Y AfTrìcaaò: Or nuda è da quel lato , e chi toccorso Dar le doveva, o giace , od è lontano. Vien da traverso , e le pedestri schiera La gente d'arme impetuosa fere, . LX Ruppe r aste e gF intoppi , e'I violento Impeto vinse, e penetrò fra esse : I^e sparse e Y atterrò ; tempesta o vento Men tosto abbatte la pieghevol messe. Lastricato col sangue è il pavimento D' arme , e di membra perforate e fesse j E la cavalleria correndo il calca Senza ritegno, e fera oltre sen valca« LXI Giunse Rinaldo ove sul carro aurato Stavasi Armida in militar sembianti , £ nobil guardia avea da ciascun lato De' baroni seguaci , e degli amanti* Noto a più segni egli è da lei mirato Con occhi d' ira e di desio tremanti. Ei si tramuta in volto un cotal poco: Ella si fa di g^l, diviei\ poi foco. 3io LA GERUSALEMME LXII I Declina il carro il cavaliere e passa > E Ùl sembiante d' uom cui d' altro cale; Ma senza pugna già passaivnon lassa D drappel congiurato il sdo rivale : Chi 1 ferro stringe in lui, chi l' asta abbassa: Ella stessa in sull' arco ha già lo strale. Spingea le mani e incrudelia lo sdegno, Ma le placava y e n era amor ritegno. LXlIX Sorse amor contra T ira , e fé' palese Che vive il fuoco suo ch'ascoso tenne»; La Dfìan tre volte a saettar distese, Tre volte essa inchinoUa , e si ritenne. Pur vinse alfin lo sdegno, e V arco tese, E fé' volar del suo quadrel le penne. Lo strai volò; ma con lo strale un voto Subito uscì, che vada il colpo a voto. LXIV Vorria ben ella che 'l quadrel pungente Tornasse indietro, e le tornasse al core : | Tanto poteva in lei, benché perdente, ( Or che potria vittorioso ? ) Amore. Ma di tal suo pensier poi si ripente , E nel discorde sen cresce il furore. i Cosi or paventa , ed or desia che tocchi < Appieno il colpo , e '1 segue pur con ^i occhi. i CANTO VIGESIMO 3u LXV Ma non fii la percossa invan diretta , Ch'ai cavaliér sul duro usbergo è giunta: Duro ben troppo a femminil saetta , Che , di pungere in vece , ivi si spunta. Egli le volge il fianco: ella negletta Esser credendo, e d'ira arsa e compunta, Scocca r arco più volte , e non fa piaga^ £ mentre ella saetta, Amor lei piaga. rxvi Sì dunque impenetrabile è costui ( Fra se dicea ) che forza ostil non cura? Vestirebbe mai forse i membri sui Dì quel diaspro, ond'ei l'alma ha sì dura? Colpo d' occhio o di man non puote in lui , Di tai tempre è il rigor che V assicura : E inerme io vinta sono , e vinta armata, Nemica, amante, egualmente sprezzata. LXVII Or quaF arte novella, e qual m' avanza Nuova forma, in cui possa anco mutarmi? Misera ! e nulla aver degg' io speranza Ne' cavalieri miei ? che veder parmi , Anzi pur veggio, alla costui j30ssanza Tutte le forze frali , e* tutte le armi. E ben vedea de' suoi campioni estinti Altri giacerne^ altri abbattuti e vinti. 3ia LA GERUSALEMME LXVIII Soletta a sua difesa ella non basta , E già le pare esser prigiona e serva ; Né s' assecura ( e presso V arco ha V asta ) Neir arme di Diana , o di Minerva. Qual'è il timido cigno , a cui sovrasta Col fero artiglio V aquila proterva , Che a terra si rannicchia , e cliina V ali ; I suoi timidi moti eran cotali. LXIX Ma il principe Alumor, che sino allora Fermar de' Persi procurò lo stuolo Ch' era già in piega, e 'n fuga ito sen fora. Ma 1 ritenea ( ben eh' a fatica ) ei solo; Or tal veggendo lei eh' amaudo adora , Là si volge di corso , anzi di volo : E 1 suo onor abbandona , e la sua schiera: Pur che costei si salvi , il mondo pera. LXX •Al mal difeso carro egli fa scorta, E col ferro le vie gli sgombra innante. Ma da Rinaldo e da Goffredo è morta , E fugata sua schiera in queir istante. II misero sei vede , e sei com{x>rta. Assai miglior che capitano, amante. Scorge Armida in sicuro; e torna poi , Intempestiva aita, a i vinti suoi; CANTO VIGESIMO «i« LXXI Che da quel lato deTagani il campo Irreparabilmente è sparso e sciolto; Ma dall'opposto, abbandonando il campo Agl'infedeli, i nostri il tergo han volto. Ebbe r un de' Roberti appena scampo, Ferito dal nemico il petto el volto: li' altro è prigion d'Adrasto. In cotal guisa La sconiìtu egualmente era divisa. Prende Goflfredo allor tempo opportuno: Hiordina sue squadre , e fa ritorno Senza indugio alla pugna; e cosi l'uno Viene ad urtar nell' altro intero corno. Tinto sen vien di sangue ostil ciascuno; Ciascun di spoglie trionfali adomo. La vittoria e l'onor vien da <^i parte : Stai dubbia in mezzo la Fortuna , e Marte. LXXIII Or mentre in giiìsa tal fera tenzone È tra'l fedele esercito e'I pagano, Salse in cima alla torre ad un balcone , E mirò, benché lunge, il fer Soldano, Mirò, quasi in teatro od in agone. L'aspra tragedia dello stato umano: I varj assalti , e '1 fero orror di morte, E i gran giuochi del caso e della sorte. . 3i4 LA GERUSALEMME LXXIV Stette attonito alquanto e stupefatto A quelle prime viste; e poi s' accese, E desiò trovarsi anch' e^ ìd atto Nel periglioso campo alF alte imprese : Né pose indugio al suo desk , ma ratto D' elmo s' armò, eh' aiveva ogn' altro arnese : Su su, gridò, non più , non più dimora: Convien eh' oggi si vinca , o che si mora. LXXV O che sia forse il provveder divino Che spira in lui la furiosa mente. Perchè quel giorno sian del Palestine Imperio le reliquie in tatto spente^ O che sia eh' alla morte omai vicino D' andarle incontra stimolar si sente, Impetuoso e rapido, disserra La porta, e porta inaspettata guerra. LXXVl E non aspetta pur, che i feri inviti Accettino i compagni : esce sol esso, E sfida sol mille nemici uniti, E sol fra mille intrepido s' è messo. Ma dall' empito suo quasi rapiti Seguon poi gli altri, ed Aladino stesso. Chi fu vii , ehi fu cauto, or nulla teme: Opera di furor più che di speme. CANTO VIGESIMO 3i5 LXXVII Quei, che prima ritrova il Turco atroce, Caggiono a i colpi orribili improvvisi^ E in condor loro a morte è sì veloce , CK uom non gli vede uccidere, ma uccisi: Da i primieri a i sezzaì , di voce in~ voce , Passa il terror , vanno i dolenti avvisi j Tal che 1 volgo fedel della Sona , Tumultuando, già quasi fnggia j LXXVIII Ma con men di terrore e di scompiglio L'ordine e 1 loco suo fu ritenuto Dal Guascon, benché prossimo al periglio Air improvviso ei sia colto e battuto* JVessun dente giammai , oesstìn artiglio O di silvestre, o d'animai pennuto Insanguinossi in mandra, o tra gli augelli, Come la spada. del Soldan tra quelli LXXIX Sembra quasi £imelica e vorace: Pasce le membra quasi, el sangue sugge ; Seco Aladin, seco lo stuol seguace Gli assediatori suoi percuote e strugge; Ma il buon Raimondo accorre ove disface Soliman le sue squadre, e già noi fugge ^ Sebben la fera destra ei riconosce. Onde percosso ebbe mortali angosce. 3i6 LA GERUSALEMME LXXX Pur di nuovo l'affronta, e pur ricade , Pur ripercosso , ove fu prima offeso ; £ colpa è sol della 5overchia etade , A cui soverchio è de' gran colpi il peso. Da cento scudi fu, da cento spade Oppugnato in quel tempo anco , e difeso j Ma trascorre il Soldano , o che sei creda Morto del tutto, o 1 pensi agevol preda. LXXXI Sovra gli altri ferisce, e tronca , e svena^ E 'n poca piazza fa rairabil provej Ricerca poi , come furore il mena , A nova uccision materia altrove. Qual da povera mensa a ricca cena Uom stimolato dal digiun si muove; Tal vanne a maggior guerra , ov' egli sbrame Lia sua di sangue infuriata fame. LXXXII Scende egli giù per le abbattute mura j E s' indirizza alla gran pugna in fretta. Ma 1 furor ne' compagni , e la paura Riman , che i suoi nemici han già concetta^ E r una schiera d' asseguir procura Quella vittoria ch'ei lasciò imperfetta : L' altra resìste sì ; ma non è senza Segno di fuga ornai la resistenza. CANTO VIGESIMO 317 LXXXIII n Guascon ritirandosi cedeva , Ma se ne già disperso il popol Siro. Eran presso alFalbei^o ove giaceva n buon Tancredi , e i gridi entro s'udirò: Dal letto il fianco infermo egli solleva, Vien sulla vetta , e volge gli occhi in giro : Vede, giacendo il conte, altri ritrarsi, Altri del tutto già fugati e sparsi. LXXXIV Virtù , eh* a' valorosi unqua non manca, • Perchè languisca il corpo fral, non langue, Ma le piagate membra in lui rinfranca Quasi in vece di spirito e di sangue. Del gravissimo scudo arma ei la manca, £ non par grave il peso al braccio esangue : Prende con l'altra man l'ignuda spada ( Tanto basta all' uom forte ) e più non bada ; LXXXV Ma giù sen viene, e grida: ove fuggite Lasciando il signor vostro in preda altrui ? Dunque i barbari chiostri, e le mesciute Spiegheran per trofeo l'arme di lui? Or, tornando in Guascogna , al figlio dite , Che morì il padre, onde fuggiste vui. Cosi lor parla ; e'I petto nudo e infermo^ A mille armati e vigorosi è schermo; Si8 LA GERUSALEMME LXXXTI E col grave suo scudo, il qual di sette* Dure cuoia di tauro era composto , E che alle terga poi di tempre elette Un coperto d' acciaio ha soprapposto; Tieu dalle spade , e tien dalle saette , Tien da tutte arme il buou Raimondo ascosta: E col ferro i nemici intorno sgombra Sì , che giace sicuro , e quasi ali' ombra. LXXXVII Respirando risorge in spazio poco Sotto il fido riparo il vecchio accolto ; E si sente avvampar di doppio fuoco, Di sdegno il core, e di vergogna il volto; E drizza gli occhi accesi a ciascun loco Per riveder quel fero onde fu colto ; Ma noi vedendo freme, e far pi^para I^e' seguaci di lui vendetta amara. LXXXVIII Ritornan gli Aqnitani, e tutti insieme Seguono il duce a vendicarsi intento. Lo stuol , che innanzi osava tanto , or teme : Audacia |>assa ov' era pria spavento. Cede chi rincalzò, chi cesse or preme. Così varian le cose in un momento. Ben fa Raimondo or sua vendetta, e sconta Pur di sua man con cento morti un' onta. CANTO VIGESIMO Sig LXXXIX Mentre Raimondo il vergognoso sdegno Sfogar ne' capi più sublimi tenu; Vede r usarpator del nobil regno, Che fra' primi combatte, e gli s' avventa : E 1 fere in fronte, e nel medesmo segno Tocca e ritocca, e 1 suo colpir non lenta; Onde il re cade, e con singulto orrendo La terra ove regnò morde morendd. XG Poicfa' una scorta è lunge, e V altra uccisa ^ In color che restar vario è Y affetto : Alcun , di belva infuriata in guisa, Disperato nel ferro urta col petto: Altri , temendo , di campar s' avvisa, E là rifugge ov' ebbe pria ricetto^ Ma tra' fuggenti il vincitor commisto Entra , e fin pone al glorioso acquisto* xci Presa è la rocca ; e su per l' alte scale Chi fugge è morto, o 'n sulle prime soglie; E nel sommo di lei Raimondo sale, E nella destra il gran vessillo toglie; E incontra a i duo gran campi il trionfale Segno della vittoria al vento scioglie. Ma già ned guarda il fer Soldan , che lunge E di là fatto, ed alla pugna giunge. \ Sao LA GERUSALEMME XCII Giunge In campagna tepida, e vermiglia. Che d* ora in ora più di sangue ondeggia , Sì che il regno di morte ornai somiglia , Ch'ivi i trionfi suoi spiega , e passeggia. .Vede un destrier che con pendente briglia ^ Senza rettor, trascorso è fuor di greggia: Gli gitta al fren la mano y e 1 voto dorso Montando preme, e poi lo spinge al corsa xeni ' Grande, ma breve aita apportò questi Ai Saracini impauriti , e lassi: Grande, ma breve fulmine il diresti , Ch'inaspettato sopraggìunga e passi, Ma del suo corso momentaneo resti Vestigio etemo in dirupati sassi. Cento ei n^ uccise e più : pur di duo soli Non fìa che la memoria il tempo involi. xciv Gildippe ed Odoardo, i casi vostri Duri ed acerbi, e i fatti onesti e degni, Se tanto lice a i miei Toscani inchiostri, Consacrerò fra' peregrini ingegni; Sì eh' c^ni età , quasi ben nati mostri Di virtute e d' amor, v' additi e segni , E col suo pianto alcun servo d' Amore La morte vostra e le mie rime onore. CANTO VIGESIMO 3^1 xcv La magnanima donna il destrier volse Dove le genti distruggea quel crudo , £ di due gran fendenti a pieno il colse : Ferigli il fiaifco , e gli partì lo scudo. Grida il crudel , eh' ali* abito raccolse Chi costei fosse: ecco la putta , el drudo: Meglio per te s' avessi il fuso e V ago , Che in tua difesa aver la spada e 1 vago. xcvi Quv tacque; e di fiiror piii che mai pieno. Drizzo* percossa temeraria e fera , Ch'osò, rompendo ogu'arme, entrar nel seno. Che de* colpi d* amor segno sol era. Ella repente abbandonando il freno, Sembiante fa d' uom che languisca e pera , E ben sei vede il misero Odoardo , Mal fortunato difensor non tardo. xcvii Che far dee nel gran caso? Ira e pietà de, A varie parti in un tempo l' affretta. Questa all' appoggio del suo ben che cade, Quella a pigliar del percussor vendetta. Amore indifferente il persuade v Che non sia l' ira o la pietà negletta : Con la sinistra man corre al sostegno; L'altra ministra ei fa del suo disdegno. T. n. ^i 522 LA GERUSALEMME XCVIII Ma voler, e poter, che sì divida, Bastar non può conira il Pagan sì forte ^ Tal che né sostien lei , né Y omicida Della dolce alma sua conduce a morte. Anzi avvien che 1 Soldano a lai recida Il braccio , appoggio alla fedel consorte : Onde cader lascioUa; ed egli presse Le membra a ki con le sue membra stesse. IG Come olmo , a cui U pampinosa piant» Cupida s' avviticchi e si marite , $e ferro il tronca, o turbine lo schianta ^ Trae seco a terra la compagna vitej Ed egli stesso il verde , onde s' ammanta ^ Le sfronda, e pesta Y uve sue gradite: Par che sen dolga , e più che 1 proprio fato^ Di lei gì' incresca che gli muore allato ; 0 Così cade egli ; e sol di lei gli duole , Che '1 cielo eterna sua compagna fece. Vorriah formar , né pon formar parole : Forman sospiri , di parole in vece. 1/ un mira T altro ; e Tun , pur come suole^ Si stringe all'altro, mentre ancor ciò lece; E si cela in un punto ad ambi il die^ £ congittiite sen vaa- U anime pie. . CANTO AIGESIMO 323 CI Allor scioglie la Fama i vanni al volo, Le lingue al grido, e 1 duro caso accerta; Né pur n'ode Rinaldo il romor solo , Ma d'un messaggio ancor nuova più certa. 'Sdegno , dover , benevolenza , e duolo Fan eh' all' alta vendetta ei si converta ; Ma il sentier gli attraversa , e fa contrasto , Su gli occhi del Soldano , il grande Adrasto. cu Gridava il re feroce: a i segni noti Tu sei pur quegli alfin, ch'io cerco e bramo: Scudo non è eh' io non riguardi e noti , Ed a nome tutt'oggi invan ti chiamo. Or solverò della vendetta i voti Col tuo capo al mio nume. Ornai ^icciamo Di valor, di furor qui paragone , Tu nemico d' Armida, ed io campione. CHI Cosi lo sfida ; e di percosse orrende Pria sulla tempia il fere , indi nel collo. L'elmo fatai (che non si può) non fende, Ma lo scuote in arcion con più d' un crollo. Rinaldo lui sul fianco in guisa offende , Che vana vi saria l' arte d' Apollo: Cade r uom smisurato , il rege invitto: E n' è V onore ad un sol colpo ascritto. 324 LA GERUSALEMME civ Lo stupor , di spavento e d' orror misto , Il sangue, e i cori ai circostanti agghiaccia; E Soliman, eh' estranio colpo ha visto , Nel cor si turba , e impallidisce in faccia ; E chiaramente il sito morir previsto , Non si risolve , e non sa quel che faccia : Cosa insolita in lui ; ma che non regge Ddgli affari quaggiù V eterna legge? cv Come vede talor torbidi sogni Ne* brevi sonni suoi V egro o V insano: Pargli eh* al corso avidamente agogni Stender le membra , e che s' affanni invano ; Che ne' maggiori sforzi a' suoi bisc^ni Non corrisponde il pie stanco, e la mano : Scioglier talor la lingua , e parlar vuole ; Ma non seguon la voce , o le parole ; evi Cosi allora il Soldan vorria rapire Pur se stesso all' assalto, e se ne sforza ; Ma non conosce in sé le solite ire , Né sé conosce alla scemata forza. Quante scintille in lui sorgon d' ardire , Tante un secreto suo terror n' ammorza. Volgonsi nel suo cor diversi sensi , Non che fuggir , non che ritrarsi pensL CANTO VIGESIMO . S2S CVII Giunge all' irresoluto il vincitore : "E in arrivando ( o the gli pare ) avanza E di velocitade, e di furore, E di grandezza, o^qì mortai sembianza. Poco ripi}gna quei: pur, mentre muore, Già non oblia la generosa usanza: Non fugge i colpi, e gemito non spande; Né atto fa , se non altero e grande. CVIII Poiché! Soldan che spesso in lunga guerra, Quasi novello Anteo, cadde, e risorse Più fero ognora, alfin calcò la terra Per giacer sempre, intorno il suon ne corse: E Fortuna, che varia e instabil' erra , Più non osò por la vittoria in forse j Ma fermò i giri , e sotto i duci stessi S* uni co' Franchi , e militò con essi. cix Fugge , non ch'altri , ornai la regia schiera, Ov'é deir oriente accolto il nerbo. -" Già fu detta immortale; or vien che pem Ad onta di quel titolo superbo. Emireno a colui eh' ha la bandiera Tronca la fuga, e parla in modo acerbo: Non se' tu quel eh' a sostener gli eccelsi Segui del mio signor fra mille i' scelsi? 3^6 LA GERUSALEMME ex Rimedoa^ qaesta insegna a te non diodi Acciò che indietro tu la riportassi. Dunque, codardo , il capitan tuo vedi In zuffa co' nemici, e solo il lassi ?, Che brami? di salvarti? or meco riedi^ Che per la strada presa a morte vassi : Combatta qui chi di campar desia: La via d'onor della salute è via. GXI Riede in guerra colui eh' arde di scorno* Usa ei con gli altri poi sermon più grave: Talor minaccia e fere , onde ritorno Fa contro il ferro chi del ferro pavé: Cosi rintegra del fiaccato corno La miglior parte , e speme anco pur bave. E Tisaferno, più ch'altri , il iincora, Ch' orma non torse per ritrarsi ancora. GXII Meraviglie quel di fé' Tisaferno. I Normandi per lui furon disfatti: Fe'de'Fiaumainghi strano empio governo : Gemier, Ruggier, Gherardo a morte ha tratti, poi eh' alle mete delT onor eterno La vita breve prolimgò co' fatti , Quasi di viver più poco gli caglia, Cerca il rischio maggior della battaglia. CANTO VIGEStMO 3^^ CXIII Vide ei Rinaldo ; e benché ornai vermigli GU azzurri suoi color sian divenuti j £ insanguinati l'aquila gli artigli E'I rostro s'abbia, i segni ha conosciuti : Ecco , disse , i grandissimi perigli. Qui prego il ciel, che'l mio ardimento aiuti; E veggia Armida il desiato scempio. Macon , s'io vinco , Tvoto Tarme al tempio. cxìv Cosi pregava, e le preghiere ir vote; Che '1 sordo suo Macon nulla n'udiva. Quale il leon si sferza e si percote, Per isvegliar la ferità nativa ; Tale ei suoi sdegni desta ; ed alla cote D' amor gli aguzza, ed alle fiamme avviva. Tutte sue forze aduna , e si ristringe Sotto r arme all' assalto , e '1 destricr spinge^ cxv Spinse il suo contra lui, che in atto scerse D'assalitore, il cavalier Ijatino. Fé' lor gran piazza in mezzo , e sì converse Allo spettacol fero ogni vicino. Tante far le percosse, e si diverse Dell'Italico eroe, del Saracino, Ch'altri per meraviglia obliò quasi L'ire, e gli affetti proprj, e i proprj casi. 328 LA GERUSALEMME CXVI Ma Tun percuote sol: percuote e impiaga L' altro j eh' ha maggior forza, armi più ferme. Tisaferno di sangue il campo allaga Con r elmo aperto, e dello scudo inerme. Mira del suo campion la bella maga Rotti gli arnesi , e più le membra inferme^ E gli altri tutti impauriti in modo , Che frale omai gli strìnge e debil nodo. cxvii Già di tanti guerrìer cinta e munita , Or rìmasa nel carro era soletta. Teme di servitute , odia la vita, Dispera la vittoria , e la vendetta. Mezza tra furiosa e sbigottita Scende , ed ascende un suo destriero in fretta* Yassene , e iugge; e van seco pur anco Sdegno ed Amor, quasi duo veltri aX fiancoi» GXVIII Tal Cleopatra al secolo vetusto Sola fuggia dalla tenzon crudele, Lasciando incontra al fortunato Augusto r^e' marittimi rischi U suo fedele , Che per amor fatto a se stesso ingiusto , Tosto seguì le solitarie vele. E ben la fuga di costei segreta Tisaferno seguia j ma V altro il vieta. CANTO VIGESIMO 3ag GXIX Al Pagan , poi che sparve il suo conforto ^ Sembra che insieme il giorno e 1 sol tramonte ^ Ed a lui, chel ritiene a sì gran torto , Disperato si volgQ, el fiede in fronte. A fabbricare il fulmine ritorto Via più leggier cade il martel di Bronte; E col grave fendente in modo il carca , Che 1 percosso la testa al petto inarca* cxx Tosto Rinaldo si dirizza ed erge, E vibra il ferro, e rotto Q grosso usbergo, Gli apre le coste , e l'aspra punta immerge In mezzo 1 cor , dove ha la vita albergo : Tanto oltre va , che piaga doppia asperge Quinci al Pagano il petto, e ({uindi il tergo; E largamente all' anima fugace Più d' una via nel suo partir si face. cxxi AUor si ferma a rimirar Rinaldo Ove drizzi gli assalti , ove gli aiuti ; E de' Pagan non vede ordine saldo,. Ma gli stendardi lor tutti caduti. Qui pon fine alle morti , e in lui quel caldo Di sdegno marzial par che s'attuti. Placido è fatto; e gU si reca a mente La donna che fuggia sola e dolente. 35b LA GERUSALEMME GXXII Ben rimirò la fuga: or da lui diiede Pietà , che u' abbia cura e cortesia^ E gli sovvien , che si promise iti fede Suo cavalier, quando da lei pania. Si drizza ov' ella fugge , ov' egli vede 11 pie del palafren segnar la via. Giunge ella intanto in chiusa opaca diiostra^ Gh' a solitaria morte atta si mostra. CXXIII Piacquele assai che 'n quelle valli ombrose L' orme sue erranti il caso abUa condutte. Qui scese dal destriero, e qui depose E r arco, e la faretra , e V armi tutte : Armi infelici , disse, e vergognose Ch'usciste fuor della battaglia asciutte | Qui vi depongo : e qui sepolte state , Poiché r ingiurie mie mal vendicate. cxxiv Ah ma non fia che fra tant' armi e tante ^ Una di sangue oggi si bagni almeno : S' ogni altro petto a voi par di diamante , Oserete piagar femminil seno. In questo mio , che vi sta nudo avante , I pregi vostri e le vittorie sieno. Tenero a i colpi è questo mio; ben salla Amor^ che mai non vi saetta in fallo. CANTO VIGESIMO 33i cxxv Dimostratevi io me ( eh' io vi perdono La passata viltà ) forti ed acute : IVIisera Annida in qual fortuna or sono. Se sol posso da voi sperar salute I Poi ch'ogni altro rimedio è in me non buono ^ Se non sol di ferute alle ferute , Sani piaga di strai piaga d'amore , £ sia la morte medicina al core* cxxvi Felice me, se nel morir non reco Questa mìa peste ad infettar l' Infemp. Restine amor: venga sol sdegno or meco, E sia dell' ombra mia compagno eterno ; O ritorni con lui dal regno cieco A colui che di me fe'l' empio scherno: E se gli mostri tal, che in fere notti Abbia riposi orribili, e interrotti. GXXVII Qui tacque; e stabilito il suo pensiero, Strale sceglieva il più pungente e forte , Quando giunse , e mirolla il cavaliero Tanto vicina alla sua estrema sorte, Già compostasi in atto atroce e fero. Già tinta in viso di pallor di morte. Da tergo èi se le avventa , e 1 braccio prende Ghe già la fera punta al petto stende* 33a LA GERUSALEMME CXXVIII Si volse Armida, e 1 rimirò improvviso. Che noi senti quando da prima ei venne ; Alzò le strida, e dall' amato viso Torse le luci disdegnosa , e svenne. Ella cadea , quasi fior mezzo inciso , Piegando il lento collo : ei la sostenne : Le fé' d' un braccio al bei fianco colonna ; E intanto al sen le rallentò la gonna , cxxix E 1 bel volto , e 1 bel seno alla meschina Bagnò d'alcuna lagrima pietosa. Quale a pioggia d'argento e mattutina Si rabbellisce scolorita rosa, Tal' ella, rivenendo, alzò la china Faccia , del non suo pianto or lagrìmosa. Tre volte alzò le luci, e tre chinoUe Dal caro oggetto, e rimirar noi volle . cxxx E con man languidetta il forte braccio. Ch'era sostegno suo, schiva respinse. Tentò più volte, e non uscì d'impaccio, Che via più stretta ei rilegolla e cinse: Alfin raccolta entro quel caro laccio, Che le fu caro forse, e se n'infinse, Parlando incominciò di spander fiumi, Senza mai dirizzargli al volto i lumi: CANTO VIGESIMO 333 CXXXI O sempre 9 e quando partì, e quando tomi, Egualmente crudele, or chi ti guida? Gran meraviglia che'l morir distomi^ E di vita cagion sia, l'omicida. Tu di salvarmi cerchi ? a quali scorni^ A quali pene è riservata Armida? Conosco Farti del fellone ignote; Ma ben può nulla chi morir non puote. CXXXII Certo è scemo il tuo onor , se non s' addita^ Incatenata al tuo trionfo innanti Femmina or presa a forza, e pria tradita: Quest'èl maggior de' titoli, e de' vanti. Tempo fu ch'io ti chiesi e pace, e vita: Dolce or saria con morte uscir di pianti ; Ma non la chiedo a te, che non è cosa • Ch'essendo dono tuo, non mi sia odiosa. CXXXIII Per me stessa, crudel, spero sottrarmi Alla tua feritade in alcun modo. E s'ali' incatenata il tosco e Tarmi Pur mancheranno, e i precipizj, e'I nodo: Veggio secure vie , che tu vietarmi n morir non potresti , e '1 ciel ne lodo : Cessa ornai da' tuoi vezzi. Ah par ch'ei finga: Deh come le speranze egre lusinga! a34 LA GERUSALEMME GXXXIV Cosi doleasi; e con le flebironde. Ch'amor e sdegno da'b^i occhi stilla^ L/ affettuoso pianto egli confonde, In cui pudica la pietà sfavilla , E con modi dolcissimi risponde : Armida y U cor turbato c«nai tranquilla: Non agli schemi, al regno io ti riservo , Nemico no, ma tuo campone e servo. cxxxv Mira negli occhimiiei, s*al dir non vuoi Fede prestar, della mia fede il zelo. Nel soglio, ove regnar gli avoli tuoi, Riporti giuro ; ed oh piacesse al cielo , Ch'alia; ina mente akun de' raggi suoi Del Paganesmo dissolvesse il velo! Gom'io farei che in Oriente alcuna Non t'agguagliasse di regal fortuna. cxxxvi Si parla e prega; e i preghi bagna e scalda Or di lagrime rare, or di sospiri; Onde, siccome suol nevósa falda Dov'arda il sole, o tepid'aura spiri; Cosi l'ira, che in lei parca si salda, Solvesi, e restan sol gli altri desiri : Ecco l'andlla tua: d'essa a tuo senno Dìspon (gli disse) e le fia legge il cenno. CANTO VIGESIMO 335 CXXXVII In questo mezzo il capitan d'Egitto, Gh'a terra vede il suo regal stendardo, £ vede a un colpo di Goffredo invitto Cadere insieme Bimedon gagliardo, E l'altro popol suo morto e sconfitto, Né vuol nel duro fin parer codardo; Ma va cercando, e non la cerca in vano ,. Illustre morte da famosa mana CXXXVIII Contrail maggior buglione il destrierputge, Che nemico veder non sa più degno, E mostra ov' egli passa, ov' egli giunge „ Di valor disperato ultimo segno; Ma pria ch'arrivi alni, grida da lunge : Ecco per le tue mani a morir vegno; Ma tenterò nella caduta estrema , Che la ruina mia ti colga e prema. cxxxix Cosi gli disse; e. in un raedesmo punto L' un verso l'akro per ferir si lancia. Rotto Io scudo, e disarmato e punto È il manco braccia, al capitan di Francia. L'altro da lui con si gran colpo è giunto Sovra i confin della sinistra guancia^ Che ne stordisce in su la sella; e mentre . Risorger vuol, c^de trafitto il ventre. .336 LA GERUSALEMME GXL Morto il dace Emireno, ornai sol resta Picciol avanzo di gran campo estinto. Segue i vinti Goffredo, e poi s'arresta; Gh'Altamor vede a pie di sangue tinto , Gon mezza spada, e con mezzo elmo in testai Da cento lance ripercosso e cinto. Grida egli a' suoi: cessate; e tu, barone , Henditi ( io son Goffredo) a me prigione. GXLI ' Colui, che sino allor l'animo grande Ad alcun atto d'umiltà non torse, Ora eh' ode quel nome, onde si spande Si chiaro il suon dagli Etìopi all'Orse, Gli risponde: farò quanto dimande, Che ne sei degno; e l'arme in man gli porse : Ma la vittoria tua sovra Altamoro Né di gloria fia povera, né d*oro. CXLII Me l'oro del mio regno, e me le gemme Bicompreran della pietosa moglie. Replica a lui Goffredo : il ciel non diemme Animo tal che di tesor s' in voglie: Ciò che ti y\en dall'Indiche maremme, Abbiti pure, e ciò che Persia accoglie; Che della vita altrui prezzo non cerco: Guerreg^o in Asia, e non vi cambio o merco* CANTO VIGESIMO 33; GXIIII Tace ; ed a' suoi custodi in cura dallo , E segue il corso poi de* fuggitivi. Fuggon quegli a i ripari ^ ed intervallo Dalla morte trovar non ponno quivi. Preso è repente, e pien di strage il vallo : Gorre di tenda in tenda il sangue in rivi , E vi macchia le prede , e vi corrompe Gli ornamenti barbarici, e le pompe . CXLIV Cosi vince Goffredo : ed a lui tanto Avanza ancor della diurna luce, Ch'alia città già liberata, al santo Ostel di Cristo , i vincitor conduce. Né pur deposto il sanguinoso manto, Viene al tempio con gli altri il sommo duce; E qui r arme sospende , e qui devoto li gran sepolcro adora, e scioglie il voto. FINE 2a TAVOLA Di lutti i nomi proprj de'Soggetli principali della Gerusalemme, con T Istorie, che vi si trovano sparsamente narrate , riunite insieme sotto i medesimi. il primo numero indica il Canto ^ il secondo la Stanza. yjte^tLLÈ litmilnir^d, prbg>à«o jrrveotmi«re i. 55. vtctAté da< Glorifidà <). 69. t «eg. Ademarct ^tm. Ai Po^io (Ptiy> ìa Linguadoca, ano dei ittt pinati militanti in questa Crociata I. 38. sue truppe 89. nella pia supplicazione^ in ooppia oonf Guglielmo attm velie. croeesrgtMTto , chiude ]# processione 11. 3. ee. Muore trafitta da ClorìndsP 1 1 . 44- dopo la di lui morte alcuni de* 4uoi si ritirano dall' armata 1 3. 69. protegge dai cielo le armi Cristiane 18. 95. Adrasto Elvezio è il primo a dar la scalata a Ge- rusalemme ma è rovesdalo a terra da Argante II. 34- e<^- Adrasto re e condottieTe degl^ Indiani di qùà dal G^ngc 17* 36. ee. si esibisce per vendicatola di Armida 17. 49* ^* sue gare per tale oggetto: ivi, « 19. 68. ec. neir ultimo fatto d' arme ocòupa 34o r ala destra dell' esercito Egizio do. a3. fa prigio- niero Roberto conte di Fiandra ao. 71. si batte eoo Rinaldo j ed è da lui ucciso ne. 101. ec. Africa: descrizione di questa regione i5. i5. ec. Africane truppe nell'esercito Egizio 30. a3. sbara^ gliate da Rinaldo ao. 69. ec. A§ricalte guerriero tra gli Arabi erranti è ucciso da Argìllano 9. 79. Agricalte comandante delle truppe dell' Isole Arabi- che nell' esercito Egizio 17. a3. Aladino re Saraceno di Gerusalemme 6. Sg* suoi sospetti , cautele , e disposizioni, all'awicinarsi del nemico i. 83. ec. a. 1.: 3. 11. ec. è informato da Erminia dei principali guerrieri nemici 3* 17 ec. dice di avere in sua gioventù conosciuto Goffre- do 3. 60. ec. altre di lui disposizioni 6. a. non accorda ad Argante una inopportuna sortita 6* 9. gli permette un duello 6. i4' ^' àk le sue armi ad Argante per un secondo duello 7. 5i. oella sorpresa notturna dà il comando delle sue regie milizie a Clorinda 9. 43- i^ intimare a' suoi la ritirata 9. 93. tien consiglio co' suoi dopo quella perdita 10. 34* ec. è ciiK^orato da Solimano , che invisibile con Ismeno giunge tra quell'adunanza IO. 49* ^- ^oi provvedimenti in occasione del primo assalto 11. a^. -loda Clorinda, ed Argante , che si esibiscono d'incendiare la maggior macchina degli assedianti la. io. ec. ne' suoi turbamenti è confortato da Ismeno i3. la. ec. fa avvelenare tutte le sorgenti , che portavan l' acqua al campo Cristia- no i3. 58. nell'ultimo assalto comanda in persona le sue milizie 18. 66. ec. presa Gerusalemme si rifugge in loco forte , ed alto 18. 104. : 19. 39. ec. tentata un'audace sortita, è ucciso da Raimondo »•• 76. ec. 34i 'glùteo Indiano, nno delle guardie reali del califfo di Egitto 17. 3o. Alarco Persiano ucciso da Gildippe ao. 33. Alarcene Africano comandante delle truppe del re- gno di Barca 17. 19. Albazar uno degli Arabi erranti : nella sorpresa not- turna uccide Ernesto 9. 4>* AlHazar comandante delle truppe dell' Arabia De- serta \n. 22. Albino nella sorpresa notturna ferito mortalmente da Clorinda 9. 68. Alcandro , e Polifemo , figli di Ardelio già uccìso da Clorinda : trovandosi questi in un agguato , quando Erminia di notte sortì di Gerusal. trave- stita da guerriera , credutala Clorinda , tentano di arrestarla 6. 107. datasi ella alla fuga , Alcandro ne àk parte a Goffredo 112 ec. Polifemo la in- segue 108. Alcasto comandante degli Elvez] 1. 63.' si esi^ bisce a liberare la selva incantata, ma non vi riesce i3* 24* ec. Aldianzil uno della schiera errante Araba è ucciso da Argillano 9. 79, Aldino comandante delle truppe dell'Arabia Fe- lice 17. 22. Alete messaggiero con Argante del re d'Egitto a Goffredo: suo maligno carattere 2. 57. ec, sua eloquente parlata 2. 61. ec. sebbene non esaudito, è cortesemente congedato e regalato da Goffredo 2. 92. toma in Egitto 2. 94* Aletto furia infernale eccita scompigli nel campo Cristiano 8. 1. ec. Prende il sembiante del vec- chio Araspe per istigar Solimano 9. 1. ec. istiga an^ che Argante 9. 53. ec» 342 Alfonso IL Estense duca di Ferrara: a Im é dedt« calo questo Poema i. 4* ec. Algazare Saraceno di Grerasal. è ucciso da Dudooe nel primo fatto d' armct 3. 44- Aìgazel guerriero della schiera Araba errante^ uc- cide Engerlauo g. 4i* è ucciso da Argtllano 9. 78. Aliprando duce dei predatori Franchi, dà varj in- ' diz] che Rinaldo fosse stato ucciso 8. 4?* *^ ^' sita di questi indizj. V. Rinaldo. Almamor Saraceno di Gerusal. ucciso da Dudoae nel primo fatto d'arme 3. 44* Alntazzorre iprimo nome di Yafrino 19* 81. AUamoro Persiano re di Sarmacante, alleato del califfo d'Egitto 17. a6. ec. 19. isS. é dichiarato da Armida uno de' suoi vendicatori 19. 69. ec. Dell' ultimo fatto d' anne comanda l' ala sinistra dell'esercito Egiaio ao. a^. ec. fa grande strage di Cristiani 30. 38. ec. la sua schiera è disfatta da Goffredo , e da Rinaldo ao. 69. ec. malconcio dalle ferite si rende prigioniero a Goffreda ao. i4o. ec. Alvante Persiano ucciso da Odoardo ao. 37. Ambuosa ( Amboise ) città in Fr. nel paese di Tu- raine : sue truppe a Gerusalemme 1 . 6a. Amuraito Saraceno di Gerusalemme, ucciso da Do- done nel primo fatto d'arme 3. 44* Angeli: presiedono ai moti celesti 9. 61. Angelo Gabriele spedito da Dio a Goffredo i. 1 1. ec. Angelo custode difende Raimondo 7. 79. ec. S. Michele è mandato da Dio a fugare i demonj 9. 55. ec. L' Angelo custode di Goffredo lo risana da una ferita 11, 73. ec. Nell'ultimo assalto Goffr. è incoraggiato, ed aiuuto, da S. Michele, e da un' immenso esercito di altri Angeli 18. 92. ec. Antiochia capitale della Sona , una delle piasse 343 prfmtefamenle conquistate éni Crìstfnni i. 6. e«. 3. la: 8. 8. ec. l'ebbe ia soo dominio Boemondo I. 9: 5. 49' i4* ^9* n'era prima re Cassano padre di Erminia 6. 56. Antonia detta in Gemsalemnle una torre fabbricata già da Erode il grande , e datole questo nome in onore del ano grand' amico il triumviro Marca Antonio 10. 3i. Aquilino -velocias, destriero di Raim. ^. ^S. Aqaitania di dominio di Raimondo : sue truppe a Gerusalemme ao. 88. Arabi erranti infestanti le strade 5. 87. ec. alla te - sta di questi si mise Solimano dappoiché gli fu disfatto il suo esercito Turco , e toltogli il re- gno 9. 6, ec. Arabia Petrea ^ Felice, e Deserta: truppe Arabe nell'' esercito Egizio 1 7. 20. ec. Arabiche Isole , o sia del Mar Rosso : loro truppe nelP esercito Egizio 17. s3:2o. 53. sbaragliate da Rinaldo ao. 59. ec. Arabico V. Marlabusto. Aradino comandante di quei Soriani, che Idraottc assoldò contro i Franchi 17. 35. V. Idraotie* Araldi de' Franchi 5. 53: 6. 5o } 11. i8. Araldo de' Saraceni 6. i4* ^* 7. 56. ec. Aramanle » uno dei 5. figli di Latino V. Latino, A raspe vecchio consigliere di Solimano. V. A letto, A^aspe comandante del primo squadrone Egizio 17. i5. Arbilano , dice Armida, che ebbe nome suo padre , divenuto re di Damasco per le sue nozze con Ca- riclia sua madre : questa mori nell' atto di dare alla luce Armida, ed essendo 5. anni dopo morto anche Arbilano , questi , attesa F etk puerile della figlia erede y lasciò la iniela di quel regno a4 344 Idraottesno fratello > il qaale ia seguito ne usurpa r intera sovranità 4- 43- ec. jirdelio valoroso vecchio fu ucciso da Clorinda , e gravemente feriti i di Ini figli Alcandro, e Poli- femo 3. 35. V. Alcandro. Ardonio ucciso da Altamoro ao. Sg. Argante di nazione Grcasso , messaggiero con Alete del re d'Egitto a Gofiìredo: suo crudo carattere a. &9. ec. i3. 1 5. Piccato dalle negative di Gof- fredo , si congeda con modi insultanti a. 88. ec. ri« mane in qualità di guerriero presso Aladino a. 94. ec. nel primo fatto d'arme uccide Dudone 3. 43. ec. In un primo ducilo & prigioniero Ottone 6. 28. ec. poi SI batte con Tancredi , ma vien sospeso ri duello dagli Araldi 6. 36. ec. In un secondo duello si batte coir Raimondo, ed è difeso dal demonio Belzebù j. 99. ec. sostiene col suo valore la sorpresa notturna 9. 43. ec. rincuora Aladino abbattuto per i sofferti svantaggi lou 36. ec. sMngelosisce delle imprese di Solimano 10. 56: la. i3. nel primo assalto dato a Gerusal. difende valorosamente le mura n, 27. ec. va con Clorinda a incendiare la maggior mac- cbina murale dei Cristiani , e vi riesce , ma non può seguirla, quando essa si batte con Tancredi ta. a. ec. uccisa questa , giura di vendicare In di lei morte io3. ec. in un terzo duello è ucciso dn Tancredi 19. i. ec. che gli fa gli onori funebri 116. ec. Argeo Persiano ucciso da Gildippe ao. 34» Argillano Anconitano autore di una sedizione con- tro Goffredo 8. $7. ec. è condannato a morte , ed arrestato 81. ec. gli riesce di sprigionarsi: compa- risce in campo, e fa grande strage di nemici^ ma in fine è ucciso da Solimano 9. 74. ec. Ariadeno Arabo uccide due Tedeschi 9. 4o* 345 jiriadino Arabo è ucciso da Argillano 9. ^g. Aridmmante Indiano bravo nella lotta , guardia reale del califfo d'Egitto 17. 3i. Aridho Araldo de' Franchi. V. Pindaro, Arimone ucciso da Clorinda ii 49* *^^- ArimoTÌe Indiano guardia reale del califfo di Egit* to 17. 3i. A rimonte Persiano ucciso da Gildippe ao- 3 7. Armata, Qui talora è detta la flotta nai^ale. V. flotta. Armeno. V. Emireno. Armida bellissima principessa di Damasco, esper- ta nelle arti magiche 4- ^o* ^^ ^^^^ genitori , e sue supposte avventure. 4* 43- ^^' ^^^^^ S^' °^*^'' fici di lei V. Goffredo y Rinaldo ^ Tancredi ^ Ai- venute vane tutte le sue insidie contro i Cristiani, ella va co' suoi bravi ad incorporarsi nel)' esercito Egizio 16. 73. ec. 17. 33. ec. promette la mano di sposa a quegli che la saprà vendicare 17. 4^* ^' 19. 67. ec. i più valorosi Egiz) si offrono a tal vendetta 17. 49- ce. 19. 70. ec. con imponente ap- parizione tenta d' impedire a Rinaldo la liberazione della selva incantata 18. a5. ec. nell'ultimo fatto d'arme comanda il centro dell' annata Egizia 20. sa. ec. ciò che finalmente fosse di lei V. Jiinaldo. Arnaldo intimo amico di Gernando esagera il mi- sfatto di Rinaldo circa l' uccisione di quel princi- pe 5. 33. ec. Aronte ( secondo un artificioso racconto di Armida) aiuta le di lei arti 4« 56. ec. Aronteo comand. del secondo squadr. Egizio 17. 16. Arsete Egizio , vecchio Pagano eunuco nella corte di Etiopia : a lui fu data a trafugare Clorinda ap- .pena nata la. 18. ce. sente gran duolo della morte di lei la. 101, 346 Arsura , e mancanza d' acqua , nel campo Cristiano : Goffredo ottiene dal cielo benefica pioggia i3. • 5a. ec. Artabaìio Persiano re di Boecan. V. Boecan. Artaserse Persiano atterrato da Gildippe ao. 34« Arienudoro conte di Pembrozia, primo estratto dei seguaci di Armida 5. 78. Ascalona porto di Sona i4« 3o. ec. i5. 10. ea Assimiro Maomeliano uno dei tre re Etiopi di Me- roe 17. 24. è ucciso da Rinaldo ao. 54- Astrabora città dell'Etiopia sull'istmo della peni- sola Meroe 17. a4. Aslragorre demonio instiga la furia infernale Aletta, a mettere in scompiglio il campo Cristiano 8. 1. ec Atti di religione de' Franchi. 11. 1. ec. 18. 6a. A^enturieri erano detti nell' esercito Cristiano uno squadrone di prodi cavalieri scelti da più. nazioni 1. 5a. ec. 18. 73.' ao. 10. ec. B. JDjbel è detta la Potenza Maomettana di quei tempi 7. 69. Baldovino : suo carattere i. 9. fratello di Goflredo 3. 6i. minore di esso ao. i38. e maggiore di Eu^ stazio 5. 8 : 18. 79. perchè detto esso, e i fratelli Buglioni y. Buglione, comandante di laoo. guer- rieri del distretto di Boulogne in Francia , e poi delle truppe cedutegli da Goffredo 1. 4o. si esi- bisce a battersi con Argante 7. €6. ec. difende il fratello Goffredo in una sedizione. 8. 76. combatte da semplice soldato 11. a5. prende cura di Gof- fredo ferito 11. 68. comanda il centro dell' armata ao. 9. si batte coi Persiano Muleasse, e lo vinco ao. 48* ec. 34? jSalnaviUa patria di Raggiero i. 54 • J\^oj. Barca , regno in Barberia: sue truppe 17. 19. Bavari guerrieri a GerusaL 5. 76 : 9. 4^* Belzebù (demonio) fa si che resti fierito Raimondo 7. 99. ec, BeHingiero è ucciso da Clorinda 9, 68. Bertoldo padre di Rinaldo t, 59. ec. Blesse^ cioè Blois Gittii di Fr. nell' Orleanese: sue truppe a Gerusal. i. 62. Boecan Isola sulP imboccatura del Golfo Persico. Ar- ubano soldano di essa, tributario del califfo di Egitto 17. a5: M. 37. Boemondo dei duchi di Puglia ebbe in suo dominio Antiochia una delle piazze primieramente concjuista- te 1. 9. ec. 3. 63: 7. 67: i4- ^9* ^t\^ ^^ ^^^ i duci crocesignati non si mosse , né mandò trup- pe a Gerusal. 1 . ao : 7. 58. Presso di lui si rifugia Rinaldo 5. 49* ^O' 7^* Era g>*an zio di Tancredi 7. a8: i8. 67. Bolognesi 1.40. Sono detti cosi gli abitanti del di- stretto di Bonlogne in Fr. allora appartenente alla casa Buglione. V. Buglione. B rimarte Indiano ,^nno delle guardie reali del califfo d'Egitto 17.31. Brunellone ucciso da Altamoro ao. 39» Buglione, Questa casa sovrana » onde poi discesero i moderni duchi di Lorena » prese il nome da Bouillon piccola città , e già ducato in Fr. situato tra il distretto di Boulogne , e la Lorena. Y. Bo- flognesi , e Lotteritighi. LyjiiFFO , cioè re d' Egitto. V. Egitto. Camillo prode condottiere delle truppe Romane , 1. 348 64 • 8. 74- ^^11' ultimo assalto è incaricato da 6o^ fredo di dirigere una delle torri d' approccio i8. 56, 60. Campania (oggidi Terra di La-voro ) è il distretto di Napoli : sua caTalleria a Gerus. comandata da Tancredi i. 49* Campione condottiere del terzo numerosiss. squadro- ne Egizio ly, ly. Canario Maomettano uno dei tre re Etiopi di Meroe 17. 24. Capitano Egizio. V. Emireno, Cariclia madre di Armida portò in dote ad Arbilano suo sposo il Regno di Damasco 4* 43* ^* A rintano. Carlo , Cavaliere di Sveno prìncipe reale di Dani- marca , solo si salva nella sconfitta data dagli Ara- bi masnadieri a quel principe , ed alla di lui ar- mata , che marciava ^ausiliare a Goffr. 8. a. ec. i4« 3i. espone a Goffredo la detta sconfitta 8. 6. ec. V. Sileno, e come da due santi vecchi eremiti fu do- po la morte di Sveno guidato e diretto 8. a5« ec. è uno dei deputati a liberar Rinaldo dall' iso- la incantata di Armida 8. a5. ec. Questa liberazione è esposta in tutto il decorso dei canti i4. i5. 16. e 17. Cassano padre di Erminia , gik re di Antiochia : gli fu tolto il regno , e la viu , dall' esercito Cristia- no a. 71 : 3. la: 6. 56. Castello incantato di Armida nei confini della Pale- stina y e del regno di Damasco 4* 55. ec. Chiaramonte città di Fr. in Arvergna , ove il Papa Urbano II. in un concilio intimò questa crociata 11. a3. Cilicia regno in Asia conquistato da Tancredi Y. Tancredi, Circasso. V. Argante. 349 Clemente. Y. Emireno Clorinda nata Cristiana , ma non battexsata , anzi allevata Pagana, era Gglia di Senapo re di Etiopia : trafugata appena venuta alla luce, fu poi educata fra V armi, e per l' armi, e visse sempre lontana da' suoi 12. i8. ec. y. Arsele, sua insegna militare a. 38* 3. 23 : 6. 94- dopo una disfatta data dai Cristia- ni ai Persiani , Tancredi vide questa beila guerriera presso a un fonte , e se ne invaghì i . 46. ec. appe- na giunta a Gerusalemme ottenne da Aladino la liberazione di Olindo , e di Sofronia a. 38. V. 5o- fronia : giunto V esercito Cristiano sotto Gerusa- lemme , fa una sortita dalla città : fuga un drap- pello di Cristiani predatori: si batte per la prima volta con Tancredi , che non V aveva conosciuta 3. i3. ec. in occasione del duello fra Argante, e Tan- credi , veduta da questo , che ne era già spasimato amante , ne rimane egli cosi alienato de' sensi ,«he dovè per lui battersi un altro 6. ai. ec. nel secon- do duello di Argante , Belzebù fa prendere la di lei figura ad un suo messo 7. 99. in questa occasione suscitatasi una tempesta , Clorinda riordina i suoi sbandati , e fa altre prodezze 7. 116. ec. nella not- turna sorpresa Clorinda accorre in ai^o agli Arabi, e uccide varj dei primi campioni Cristiani 9. 43. ec. nella reggia di Aladino fa riverenza a Solimano venuto per la prima volta a Gei^sal. 10. 54- nel primo assalto ferisce , uccide , o atterra varj de' più prodi assalitori 11. 27. ec. si batte di nuovo con Tancredi, da lui neppur questa volta conosciuta : è da questo uccisa , e prima , a di lei richiesta , battezzata , quindi sommamente compianta , ed onorevolmente esequiata. Tuttociò si contiene nel e. 12. Falsa apparizione dopo morte di Clor. a Tancr. i3. 4i' ^' 35o Clotareo della real casa di Fr. oondottiere ddfe truppe dell' Isola ' «^' io. 70 : i4- 69 : x^, 72. V. Armida e Idraotte. Danesi truppe incamminate, all' armata Cristiana. V. Sueno^ Demoni i loro re Plutone: sono da questo inviati a cagionare scompigli j e danni all'esercito Cristiano 35. 4* u ec. uno di essi istiga Idrmotte contro i Cri-^ fliani. y. Idrmotte : snsciUno nna procella j. 1 14< iCC. coadiuvano la soi^presa notturna g. 53. per or- dine di Dio sono fugati da S. Michele 9. 58. ec. per gì' iBcantesimi d' Ismeno ff impndroBiseono di una aeKa i3. i. ec. fabbricano ad Armida nnaontuo* so palagio incantato. «S. 44* ^6* i* ^' Dragiitte masnadiere Atabo fa strage di Cristiani BcUa sorpresa notturna g. 40. Dudoàe principe di Conta (^ nel regnir di Napoli ) è capo degli avventurieri i. 5à: 3. 3^: ift. 73. è ucciso da Argante 3. 45* ce. Rinaldo tenta di ven- dicar la di lui morte 3. So : 5. i3 Mori fune- bri a lui fatti 3. 54 ce. maneggi per daigli un successore 5. aS. ee. combatte dai delo m fiiv^ de' suoi 18. 9S. DmélU 3. di Argante V. Arganu. E £j9EttjgtiH> Bavaro pregiato avventuriere i, 56. ot- tavo estratto per seguace d' Annida S. 75. Eherardo di SeoBia si esibisce nel secondo duello a battersi con Argante 7. 67. Mgtttf>: sue appartenenze , e suo esercito 17. ^. e segg. suoi re del sangue di Maometto denominati califfi ai tempi di (ìoffredo 17. 4. califfo allora re- gnante Y. 61^: 17- a. ec. stato gran guerriero da gio- vane owi guerreggia pet nnnÌBtri 17- 7. ec. suo &sM^,e pompa atf annata 17. 10. ec. a'intkola véà^regiij. 3j. cb« aceoglié AcmUia , ed il di lei «tn^lo ìT^ 3^. «e. sua goardia ad corpo indiana V. Indimni j detta la sqmadta inm^rttdo , e per- chè 19* ti», ce. ^irezii^ loro truppe « Gerusalemme 1. ^ : 6. i 352 Emaus cittì vicinusima a (ìerasalemme a. SS. ee. Emireno d' orìgioe Armeno , e Cristiano , divenuto in aegnito Maomettano , e caro al califfo d'Egitti, .fu da lui fatto generale delie sue regie guardie , e di tutto r esercito Egìzio 17.32. ec. 19. ia3. per messo di una colomba dirige una lettera ad Aladi» no , 18. 49- ^ >cgg. questa inseguita da un ialco cade nella tenda ^ e in grembo di Goffredo^ i8. 5o. e segg. nell' ultimo fatto d' arme comanda l'ala destra del suo esercito ao. «i. ec. batten* dori da disperato è ucciso da Goffredo ao. 109. ec. 137. ec. Engerlano egregio avventuriere 1. 54- è ucciso dall' Arabo Algasel 9- 4 1 • Enrico è da Goffredo mandato in Grecia ad accele- rare la venuta a Gerusalemme del principe reale di Danimarca , e del di lui esercito , e a Costantino- poli a stimolare quell' Imperatore a mandare esso pure le pattuite milizie Greche i. 67. ec. Enrico Francese , della squadra degli avventurieri , fu il nono estratto per seguace di Armida 5. 7$. Enrico Inglese è ucciso dall' Arabo Dragutte 9. 4o* Eremita promotore di questa crociata. Y. Pietro. Eremiti due santi vecchi confortano, e dirigono Carlo Danese dopo la sconfitta della sua armata incamminata a Gerusalemme. Y. Cario. Erminia beUa figlia di Cassano re di Antiochia, colla vedova sua madre v, che poco dopo mori, fu ricoverata alla sua corte da Aladino re di Gerusal., allorché dall' esercito Cristiano fu conquistato quel regno, ed ucciso il detto di lei padre 3. la. dive- nuta allora prigioniera di Tancredi , ed essendo «tata da questo trattata colla maggiore umanità , concepì per lui il più ardente amore , il qtule per appagare, e scuoprire all'amato principe , sapea- 353 io esser egU gravemente ferito, ed essendo elU bene esperta nel medicare, travestitasi da guerriera 81 porta di notte nel campo Cristiano^ ma scoperta dalle guardie nemiche , ed inseguita , potè appena rifugiarsi in una erma campagna presso un pastore 6. 56. ec. fino alla fine del G. , e G. 7. fino all' otta^ va 22. Da Vafrìno divenuto esso pure prigionìer di Tancredi , dipoi scudiere del medesimo, e quindi occulto esploratore delle forse Egisie , è trovata poi Erminia all' armata Egizia presso Gaza. A questo essa conta tutte le sue avventure , e scuopre insie- me ad esso le insidie , che nelV armata Egizia si tramavano contro Goflfredo. Con Vafrìno tornando essa a Gerusalemme trova Tancredi quasi esangue per le nuove ferite fattegli poc' anzi da Argante : prende cura del languente amato guerriero /^da lui finalmente riconosciuta , e presso di esso rimaue poi onorata e tranquilla pingionìera 19. 77. ec. Ernesto ucciso dall'Arabo Albazar 19. /\i. Erode fece costruire la Torre Antonia in Gerusa- lemme 10. 3i. V. Antonia, Erotimo medico intraprende, ma non può compire, la cura di Gofiìredo ferito 11. 70. ec. Esercito Gristiano : sue prime imprese nella Biiinia , Soria , e Palestina 1 . 6. Esercito Egizio ausiliare di Aladino. V. Egitto. Esercito dei Turchi , ed Arabi erranti , pure ausilia- re di Aladino. V. Solimano, Estensi progenitori , e discendenti di Guelfo , e di Rinaldo. V. Guelfo e Rinaldo, Etiopi tributar) del califib d'Egitto: loro truppe 17. 24 •• 20. 53. V. Meroe, Etiopia patria di Erminia. V. Erminia. Eustazìo fratello minore di Goffredo , e di Baldovino 5. 8 : 18. 79. V. Buglione. È dei primi fra gli av- Tom. IL o.'i 354 venturieri i. S4- è il primo ad imbattersi miami- da , e ne diviene focoso amante, 4* 33. ec. Propone di eleggere, tra gli avventurieri, dieci, che debba- no esser seguaci, e campioni , di Armida 4- 78. ec. 4. 84- 5. 6. ec. procura per gelosia di non aver per compagno Rinaldo nel seguito di Armida. A tal fine si maneggia a£5nchè Rinaldo sia &tto capo degli avventurieri, 5. 8. ec. Benché non estratto , è de' più eoUeciti a seguire Armida 5« 80. ec. Nel primo assalto riman ferito 11. 60. neir ultimo aa» salto si adopera con Rinaldo a dar la acalata a Gerusalemme 18. 79. F Jl ATI no Greco ^ condottiere di aoo. uomini di ca- valleria, che soli mandò la Grecia a questa cro- ciata 1. 5o. ec. si ritira dall'armata co' suoi per una siccità i3. 68. FìanUnghì : loro truppe sotto Gerusal* 1. 43- w. Filippo guerriero Tedesco ucciso da Ariadeno nella sorpresa notturna g. 4o. Flotta Cristiana costeggia la Palestina 1. 78: a. 7S. Flotta Egizia ausiliare ad Aladino 5. 86. Franchi sono qui detti per lo più tutti gli Euro- pei crocesignati a. 55 : 6. i3. ec. 7. 109. ec. Francia: isola di Francia è detta qui la provincia capitale della Francia ove risiede Parigi : truppe di essa, e di altre contrade della Francia 1. 37. ec. legni Francesi nella flotta Cristiana 1 . 79. Fuochi bituminosi inventati da Ismene 12. 17. ec. 18. 87. et. 355 G G. "jtLto è ferito nel tiso da ClorìodA 9. 68. Garda duce dei predatori Crisffani è ucciso da Clo- rinda 3. i4 ec. Gaza città frootiera dell' Egitto» su i confini di questo Regno, e della Soria. Qui si accampò il re d'Egitto 1.67: 8. 5i: 10. 4- i5.io.ec. 16.75: 17. I. ec. ig. 99. Gazello comandante del quarto squadrone Egizio 17. i8. Gente candida e bionda sono detti i Fiaminghi I. 43. Gentonio valoroso avTenturiere 1. 54* è ucciso da Altamoro ao. ^o. Germani. V. Tedeschi. Gernando fratello del re di Norvegia è uno dei primi tra gif avventurieri. Sua alterìgia 1. 54' 3. 4^- crede » se dovuto di succedere a Dudone nel comando degli avventurieri: parla con gran di- sprezzo di Rinaldo suo competitore : venuto perciò a duello eon lui è da lui ucciso 5. i5. ec. Gerniero pregiato avventuriere 1 . 56. si esibisce a battersi con Argante 7. 66. ferisce Clorinda , e da lei gli è troncata una mano 9. 69. è ucciso da Ti- aaferno ao. 1 1 x. Gerusalemme: Sion- monte dentro ad essa i. a3. sua struttura, situazione^ e fortificazioni 1. 90: 3. 55. ec. 64*ec.6. 1 : io. 4^-' 1 1* a5.ec. 18. 55. ec. sue torri 3. 9. ec. 6. 6t : 10. 3i : 1 1. 27: 19. 39. sue provvisioni 3. 56: 6. 1. ec. io* ^'ò. ec. sue adia- - cenze 3. 57: 9* 95: 10. a8. ec. 11. 10. arrivo dell'esercito Cristiano a Gerusal. 3. 3. ec. Gherardi: Due guerrieri di questo nome ^ono dei più valorosi tra gli avventurieri 1. 54- uno di 356 essi è il secondo estratto per seguace di Armida 5. 73. fanno gagliarda resistenza ad Argante 7. 107. uno dì èssi è ucciso da Tisaferno ao. 11 a. Gilberto Tedesco è nccisso dall' Arabo Ariadeno nella sorpresa notturna g. 4o« Gildippe spasa di Odoardo milita con esso nella schiera degli avventurieri 1. 56. ec. 3. ^o. si esibi- sce al secondo duello con Argante 7. 67. uccide molti Persiani , e fa prodigj di valore 20. Sa. ec, si oppone ad Altamoro, e lo ferisce, ma è da esso poi ferita 20. 4>- ®^' ^ quindi vigorosa resi- atensa a Solimano , e lo ferisce, ma è dipoi da lai uccisa essa , e il soccorritore sposo 20. qS. ec. Giordano noto fiume della Palestina 3. 67 : 7. 3. 13:67. Giosqfa: valle cosi detta contigua a Gerusalemme 11. 10. Goffredo. Sua nascita principesca. V. Buglione 9 So* lognesi , e Loiteringhi, Sue virtù 1. 1. ec. sue prodezze da giovane 7. 72. Iddio gli manda un An- gelo 1. ii.ec. sua parlata ai Grrandi dell'esercito 1 . 21. ee. eletto primo duce cede le sue schiere a Baldovino suo fratello 1. 4^. manda un espresso a sollecitare le truppe di Danimarca , e della Gre- cia i. 67. ec. Accorda la pace al re di Tripoli di Soria 1. 76: 10. 47- In Emaus riceve Ambascia- dori dal re di Egitto 2. S6. ec. Ricusa di far pace con questo^ e con altri Prìncipi Saraceni 2. 81. ec. congeda con regali i detti Ambasciadori 2. 92. ec. Suo arrivo coli' esercito a Gerusal. 3. 2. ec ne osserva il sito, e la struttura 3. 54* ec. ne disegna l'assedio 3. 65. ec. elogj, ed onori j da lui latti air estinto Dudone 3. 66. ec. pensa a far cos- truir macchine per l'assalto 3. 71. ec. dà udienza •d Armida , e vinto dalle istanze dei primarj suoi 357 guerrieri accorda a dieci di loro di seguirla 4« 38. ee« . 5. 1 . ec. suo rigore , e moderazione eoa Rinaldo uccisore di Gemando 5. 3a. ec. i8. i. ec. fa tirare a sorte i nomi dei detti dieci 5. 72. ei)v.aul. timore di mancanza di proviridoni rassicura , e conforta i suoi 5. go. ec. accetta la disfida degli assediati ad un duello con Argante, e destina a tale impre- sa Tancredi 6. 18. ec. rimasto indeciso l'esito di questo duello , Goffredo si esibisce a sodisfarvi esso in una seconda disfida , ma è rimpiazzato da Raimondo 7. 58. ec. Nato un sospetto che Ri- naldo esule fosse stato fatto uccìdere de Goffrè- do , si suscita nel!' esercito un principio di lìheì^ lione , il quale da esso ^ien represso con autorevo- le , e robusta parlata 8» 75. ec. in occasione della sorpresa notturna si pone alla testa de' suoi , ed obbliga il nemico a ritirarsi 9. ^u ec. intima , e fa eseguire , una pia processione , e supplicazione 1 1 . 3. ec. In occasione del primo assalto fa prodigi di valore 11. 20. ec. in una sgomentosa siccità ot- tiene da Dio larga benefica pioggia i3. 70. ec. dà le opportune disposizioni perchè sia richiamato Rinal- do i4> ^' ec. dà un secondo assalto, per mezzo del quale è presa Gerusal. 1 8. 54* ce. alla testa de' suoi marcia contro P esercito Egizio : con nuovo ardore infiamma gli animi di essi , scuopre le particolari insidie degli Egizj contro dì se , uccide Ormondo principale autore dì tal congiura , e fa varie al- tre prodezze. Tutto ciò è esposto nel C. xx. Greci : non mandano a questa Crociata che 200 uo« mini 1. Ko. ec. 2. 71. ec. 5. 90. anche questi si ritirano poi dall' armata 1 3. 68. Guardia reale del califfo d' Egitto V. Indiani. Guasco pregiato avventuriere i, 56. estratto il quarto 358 per seguace da Armida 5. 75. £' uecìso da AltaiBò- ro ao. 4^. Guascone è detto Raimondo , perchè fioo in Guasco- gna si estendeva il suo dominio 20. 78. ec« Guasconi a Gerusalemme ao. 6* Gaeifo della casa de' Guelfi Tedeschi , dimmatà dalla nobilissima Italica d' Cste , era zio di Rinal- do 1 7. 80. ec. suoi stati in Germania, e sue truppe: sue pregevoli qualità 1. 10. ec. 3. 63: 5. 36. in« duce il suo nipote Rinaldo a riUraisi dal Campo 5« So : 5. 53. ce. Nella notturna sorpresa è aiutante di campo di Goffredo : sue prodezze in cjaelP occor- renza 9. 43* ec. In occasione del primo assalto cade urtato da un sasso tiratogli dalle mura ii. 56. ec. Guidato da superno impulso chiede , ed ottiene, il richiamo del nipote , i4* 17- ec. 18. 4* Guglielmo principe reale d'Inghilterra è coman- dante a Gerusal. d'Inglesi, e d' Irlandesi i. 44* ft uno de' seguaci non estratti di Armida: racconta le vicende sue j e degli altri , nel tempo della loro detenzione presso di essa 1 o. 5g. ec. È ferito gra* vemente da Clorinda 11. 42* Guglielmo Comandante dei legni Liguri nella flotta Cristiana costeggiante la Palestina , avvisa Goflre- do del prossimo arrivo in quelle acque della ne- mica flotta Egizia 5. 86. Era stato prima Arma- tore contro i C^orsari Saracinir Essendo un eccel- lente macchinista , viene all' armata di terra con cento minori artefici , e costruisce per V assalto un buon numero di macchine murali 18. 4^« ^* Guglielmo Vescovo di Oranges , uno dei due pre- lati crocesignati i. 38. ec. in occasione della pia supplicazione^ egli, ed Ademaro, chiudono la processione ii.S.ec. celd>ra la santa Messa 11. i4* ce. 3:kj Guglielmo RoDùiglione aTTenturiere fu il settimo estratto per seguace di Armida 5. 75. Guidi due , pregiati avventurieri 1. 56. si esìbi« SCODO a battersi con Agante 7. 66. uno dì essi è piagato da Argante 7. 107. ec. Uno è ucciso da Altamoro ao. 4^* I JtuBJOBTE Indiano , uno della guardia reale del califfi) d'Egitto 17. 3o. Idraoiie Mago, e re di Damasco, manda Armida sua nipote pur Maga a cagionare i maggiori disor- dini nel campo cristiano 4- ^o* ^- ottiene da Armida di mandare in dono incatenati al re d' Egitto i di lei segnaci Cristiani , i quali sono poi liberali da Rinaldo 10. 70. ec. assolda in Scria uno stuolo dì guerrieri ausiliari di Armida 17. 35. Immagine della B. V. tolta ai Grìstanì , e da questi ritolta ai Pagani a. 5. ec. altra simile yenerata dalla madre di Clorinda la. a3. /m^i'ani militanti nell'esercito Egizio 17. i8. ee. al- cuni di questi formano una ostil congiura panico* larmente contro Goffredo V. Ormando. Di questa nazione erano le guardie del corpo del re, o califfo 17. ag* ec. di queste era spedai comandante Emi- reno suprèmo duce Ai tutto V esercito. V* E mire- no. Questa schiera nell'* ultimo £itto 4' arme si dà alla fuga ao. 109. Inglesi: loro truppe, e guerrieri 1. 44- 7- ^7- 4. 3 . ec. loro navi i. 79. Insegna militare di Clorinda, di Rinaldo , di Solima- no. V. i respettivi nomi-, dell' armaU cristiana. V« Croce. Ircano Persiano soldano di Ormus. V. Ormus. 36o Irlandesi : loro tmppe , e guerrieri , i. 44- ' 7- 6y. Ismeno di Cristiano divenulo Pagano , e poi om* go, induce Aladino a far torre da un tempio dei cristiani un' immagine della B. V. per valerMne nei suoi incanieaimi 2. 1. ec. rianima Solimano foggiti- vo , e resolo invisibile lo conduce nella reggia di Aladino 10. 7. ec. dirige la sortita notturna di Clo- rinda , e di Argante, la. 17. ec. fa occupare dai Demoni la selva ^ che somministrava ai cristiani il legname da costruzione i3. 1. ec. lusinga Aladino col predire un' arsura molto nociva ai cristiani i3. i3. ec. inventa nuove misture incendiarie 18. 47*^- è ucciso egli , e due maghe sue coadiutrici 1 6. 87. ec. Isola incantata d'Armida in parte remota dell'Oceano i4* 6p. ec. i5. 37. ec. Isola di Francia è qui detta, a cagione della sua d- tuaaione, la contrada principale di quel regno , ove risiede Parigi: truppe, e guerrieri di essa 1. 37« Dopo la morte del loro duce Clotareo, alcuni di questi guerrieri si ritirarono dall'armata i3. 69* Isolani sono qui detti gli Olandesi, perchè posti quasi in isola da grossi fiiuni, e dal mare 1. 43. jLjjTtifi sono qui detti gl'Italiani 8. 3.ec. ed altrove. Latino Romano ucciso con 5. suoi figli da Solimano 9. 27. ec £aure/t£e, e Pico, figli gemelli di Latino. V. Zaiirao. Leopoldo valoroso, ma prepotente, guerriero, ucciso in sua gioventù da Raimondo 7. 64* Lesbino paggio di Solimano è ucciso da Argillano 9. 81. ec. Lesbino padre di Vafrino. V, Vafrino. Libano monte nella Palestina 1. i4« 36i ^ibia : suoi re uccisi da Rinaldo ao. 56. * Liguri: loro legni nella flotta cristiana i. 79. Lincastro 9 o Lancaslro , granducato in Inghilterra 1. 55. Latnbardi: tre fratelli militanti nelF esercito cristiano 1. 55. ZoCfeW/i^Ai (Lorenesi) antichi sudditi della casa Bu- glione 20. 10. V. Buglione. M xu.^ccir/iir£ militari dei cristiani 3. 71. ec. 8. 85: 10. 4^** 11* 1* e<^* 12* 5. ec. i3. i« nuove macchine fatte far da Goffredo 18. 43» ec. Macchine difensive degli assediati 11. 27 : 18.47*^* Maga cristiana : guida Carlo e Ubaldo alla liberazione di Rinaldo 14. 72. ec. i5. 3. ec. guida poi anche i medesimi di ritorno con Rinaldo 17. 53. ec. Maga Pagana. V. Armida: Maghe due coadiutriei d' Ismeno 18. 87. ec. Maghi Pagani. V. IdraoUe y e Ismeno. Mago fatto Cristiano dall' eremita Pietro dirige Car- lo, e Ubaldo^ a ritrovare , e liberar Rinaldo i4. 3o. ec. sino alla fine del C. 1 5. 1 . ec. I detti depu* tati ritrovano questo mago anche al lor ritomo con Rinaldo liberato, 17. 58. ec Maomettani: loro truppe. V. Meroe. Maometto guerriero Saraceno di Gerusalemme ucciso da Dudone 3. 44- Maometto IL gran signore de' Turchi , e conquisto to- tore di Costantinopoli nel Sec. xv. sue gesta pre- dette da Ismeno 10. aa. ec. ' Marlabusto Indiano , uno delle guardie reali del califfo d'Egitto detto V Arabico 17.30. Matilda la celebre contessa di Toscana si fece re- 362 care alla sna corte Rioaldo ancor bambinello per allevarlo, e dargli, come fece, regia educazio- ne 1. 59. Medico dell'annata Cristiana. V. Erotimo, Meroe vasta penisola del Nilo in Etiopia, attem- po di Goffredo divisa in tre regni tributar) al ca- liffo di Egiito , due Maomettani , ed uno Cristia- no : questo terzo non venne , né mandò truppe , all' esercito Egizio 17. a4. S. Michele. V. Afègelo. Milano : sua insegna: un suo guerriero a Gerusa- lemme 1. $5- Monte nell' isola incantata di Armida i4. 70. ec. i5. 44- ^^* ^' Isola incantata. Mori : loro truppe nell' esercito Egizio 20. 53. Muleasse Arabo ucciso da Argillano 9. 79. Muleasse Indiano comanda l'infanteria dell'esercito Egizio 20. 22. Si batte con Baldovino , « oc es- porta dei vantaggi 20. 48* cc« N JL V^poLf: sua cavalleria nell'esercito Franco V. Campania. Navigio corsaro Saracino : rese finalmente vani gli armamenti contro di lui di Guglielmo Ligure i8. 42. V. Guglielmo Ligure. Negri della sinistra costa dell' Eritreo: loro trup- pe 17. 23. loro re uccisi , e loro truppe diafatte da Rinaldo 20. 56. Nicea in Bitinia^ una delle piazze primieramente conquistate dai crocesignati in Levante 1. 6: ^. 9^» era capitale di vasto impero , e n' era re Solimano 6. 10 : 9* 3. ec. 363 Niceno^ bencbè detronizzato, è detto Solimano già re di Nicea io. i5. Normando cavaliere è detto Roberto principe di Normandia u. 81. o O BiZio Toscano pregiato avTentariere 1. 55. Odemaro indiano , nno delle guardie reali del califfo di Egitto : 17. 3o. Odoardo sposo di Gildippe milita con essa nella squa- dra degli avventurieri 1. 56. ec. 3. 4o. si esibisce al secondo duello con Argante 7. 67. unitamente alla sposa fa gran strage di Persiani ao. 35. ec. soccorre la sposa ferita da' Àltamoro ao. 43. è con lei ne* ciso da Solimano ao. 93. ec. Olandesi: loro truppe nell'esercito Cristiano i, 43. loro navi 1. 79. Olderico avventuriere sesto estratto per seguace di Armida 5. 76. Oliferno Bavaro è ucciso dalP Arabo Dragutte nella sorpresa notturna 9. 4o- Olindo. V, Sofronia. Oliveto monte presso Gerusalemme ti. 10. Gradino famoso sagittario ^ per arte del demonio Belzebù reso invisibile , soccoire Argante 7. 1 00. ec. Orcano veccbio guerriero di Aladino: si oppone agli arditi progetti di Argante 10. 39. ec. Orindo Indiano , uno delle guardie reali del califfo di Egitto 17. 3i. Ormanno fa resistenza ad Argante dopo il secondo duello , ma è da lui ucciso 7. 107. ec. Ormida prepotente duce dei negri oell' esercito Egi* zio 17. a3. V. Negri. Ormondo valoroso Indiano, uno delle guardie reali 364 del califfo di Egitto ij, 3o. si fa capo £ congiura contro la persona di Goflfredo 19. 62. ea è ucciso da Goffredo con tutti i suoi complici ao. 44* ^« Ormus Isola nel golfo Persico, il cui soldano Iro- no , tributario del califfo di Egitto^ milita nell'eser- cito di questo , e nell' ultimo fatto d' arme è uc- ciso da Gildippe 17. a5 : ao 32. Ormus duce degli Arabi predatori, introduce in Ge- rusalemme milizie , e vettovaglie io. 55. Ottone signore di Milano , uno dei più prodi fra gli avventurieri i. 55. battutosi in vece di Tancredi con Argante è da questo fatto prigioniero 6. %9» ec. nel secondo duello Argante lo conduce al cam- po di battaglia quale ostaggio della disfida j, 56. Osmida guerriero palestino ferito da Guelfo nella sorpresa notturna 9. ^3. p JL AhAGto incantato d'Armida 1 5. 66 : 16. i. ec. y. Isola Incantata Palamede Lombardo pregiato avventuriere, fratello di Achille, e di Sforza 1. 55. è uccisa da Clorin- da 11. 45. Palestini diconsi qui i Saraceni allora padroni della Palestina. Parigi: sue truppe a Gerusalemme. V. Isola di Francia. Pastore , presso cui si ricovera Erminia fuggitiva 7. 6. ec. Pastori sono qui detti i due Vescovi militanti 11. 3. ec. i8. 95. Pembrozia G>ntea d'' Inghilterra nel Paese di Gal- les. V. /iriemidoro. 365 Persiani : con innumerabile esercito contrastarona a! Cristiani la presa di Antiochia i. 6. ed altre conqui* ste 1. 4^ •* <> i8. loro re^ e loro truppe ao. a3. Pico, e Liaarente , figli gemelli di Latino. V. Latino. Pietro eremita , primo consigliatore di questa crocia- ta , propone Peleisìpne di un supremo duce i . 29. ec. predice le gesta di Rinaldo, e de' suoi discendenti 10. 73. ec. propone atti di pietà in apparecchio al primo assalto 11. 1. ec. V. atti di religione. Ri- chiama ai più pìi sentimenti Tancredi quasi esangue per le ferite , e smaniante per la morte da lui stessa data all'amata Clorinda la. 85. ec. dirige i guer- rieri » che devon liberar Rinaldo i4. 18. ec. tornato Rinaldo , ei lo riconcilia a Dio , e cosi purificato lo in^ia a superar la selva incantata 18. 6. ec. Pindoro Araldo di Aladino 6. i4* ^* 7* S6. ec. Pirga Indiano , uno della guardia reale del Califfo di Egitto 17. 3 1. Pirro : co' suoi polidci maneggi fé' si che l'espugnata Antiochia fosse rilasciata in dominio a Boemondo 7. 67. si esibisce a battersi con Argante. Ivi. È ucciso da Clorinda 7. iig. Plutone capo de' Demoni 4* 6: i3. a3. Poliferno figlio di Ardelio insegue Erminia creduta Clorinda. V. Ardelio , e Alcandro. Procella suscitata dai demoni 7. ti4« ec. altra ap* portatrice di benefica pioggia al campo Cristiano i3. 74* ec. Processione sacra in apparecchio al primo assalto 1 1. 4* «e. R i? aimondo conte di Tolosa: sum stati , e sue trup- pe i.6i. uomo vecchio^ savio, e di consiglio 3* 366 S9.ec. 5. Sg* ^ ^' ^^' ^' ^^^ prodezze dt gìoTane 7. 64* n esibisce a battersi con Argante: distolto da tal rischio 9 yi è eletto dalla sorte, e protetto dal Gelo 7. 61. ec. suoi sertigj nell* ultimo assalto 18. 54- ee« 19. 43- presa Gemsalemnie consiglia che si assalga la più munita torre 19. 127. ec. ao. 6. si batte di nuovo con Solimano , e di nuovo gettato a terra è salvato da Tancredi au. 79 ec. uccide Aladino ao. 89. presa la rocca , sventola da trioniante il gran yes* siilo della Croce ao. 91. Jtambaldo Guascone 7. 33. uno dei più valorosi tra gli avventurieri i»bi. è l'ultimo dei dieci estratti per seguaci di Armida : rinnega la fede 5. jS: 10. 69. fa fronte ad Eustazio , che non era de' dieci $• 81. ec. capitato Tancredi all'ingresso del castello incantato di Armida , Elambaldo ve lo imprigiona 7» 3i. ec. Rapoldo stato gran corsaro, ora uno della guardia reale dd Califfo d'Egitto i3. So. Ridolfo pregiato avventuriere 1. 56. quinto estratto per seguace di Armida 5< 76. Ridolfo Irlandese si esibisce a battersi eoa Argante 7. 67. dal quale è poi ucciso 7. 119. JRimedone Indiano , uno della guardia reale del calif- fo di Egitto: sua ferocia , ed audacia 1 7. 3o. è ucciso daGofliredo ao. 137. Rinaldo: suo carattere 1. 10. suoi genitori, sua pa- tria, ed educazione 1. 59. ec. sua bellezza 1. 58: 3. 37: 5. 8. era della casa d' Este io. 76 : 16. 57. poi imparentata colla casa Buglione 14. 19- era ni- pote di Guelfo 1. 10: 5. 36. ec. 14. a4. suo genio^ militare sin da giovinetto, 1. 58. ec. 3. 37. ec 8. 7. ec. sua insegna 3. 37: 8. 49- ^- ^^- ^^3. ap- parteneva alla squadra degli avventurieri i. 58: 3. 37. ec. tue prin&e prodttae sotto Gerusalemme 3. 367 4i. ec. era eguale in calore a Goffredo 3. Sg. lavw dialo e pel suo valore, e -per la sua bellezza 5. 8» Euistazio mosso da invidia^ e da gelosia , per non averlo compagno presso Armida, si adopera per indurlo a farsi eleggere capo degli avvenlurieri 5. 8. ec. Offeso nell'onore si batte con Gemando, e Io uccide 5. a6. ec. Per tal trascorso è indotto dagli amici a ritirarsi in Antiochia -presso Boemondo 5. 49* ^^' 7- ^8 - 8* 4^ * 9* ^- ^^ discorsi equivo- ci, e da alcuni indizj , deducendosi per errore Ri- naldo essere stato ucciso, e credendosi per opera di Goffredo , si suscita però fiera sedizione contro di questo 8. 46* ec. falsità dei detti discorsi , ed in- diz) i4. 5i. ec. Dai seguaci di Armida liberati dai lacci di lei si ha sictn?a notizia Rinaldo esser vivo, nazi essere egli stato il loro liberatore io. 71. ec. Armida sommamente di ciò piccata con insoliti artificj trae lui medesimo ne' suoi lacci ^ e lo con- duce a star seco in un luogo deliziosissimo 14. 5i. ec. a Goffredo è intimato in sogno di richia- mar Rinaldo : egli concerta coli' eremita Piero la più decorosa maniera di questo richiamo, e ri- condotta. Questo dettaglio occupa quasi tutti in- tieri i canti 1 4' i5. 16. 1 7. stato di effemmiaatez- za , nel quale è trovato Rinaldo : per quali mezzi fu tratto da si infelice stato i5. 17. ec. nel suo ritomo , già presso ai confini della Palestina , dal mago Gìstiano vede effigiate in uno scudo appeso ad un albero le gesta de' suoi antenati 1 j. 58. ec. Carlo Danese uno de' suoi rìconduttori gli conse- gna la spada di Sveno per vendicarne la morte 17. 83. ec. y. Carlo^ e Svena* Armida alleatasi coli' e- sercito Egizio impegna i maggiori guerrieri di esso ad uccider Rinaldo 17. 43- ce. Goffredo va ad incontrar Rinaldo tornato: questi gli chiede 368 . perdono dell' uccisione da lui gii fatta di Ger- nando: è riammesso da Goffredo alla sua graiia: gli è commesso di vincer la selva incantata ^ il die egli eseguisce felicemente 18. 1. ec. Neil' ultimo as- salto egli il primo sale sulle mura di Gerusalemme e fjBL prodigi di -valore 18. 72. ec. 19. 3i. ec. nell'ultimo fatto d' arme è duce degli avventurieri ao. 10. uccide l'Etiope Assimiro , e fa gran strage di altri nemici ao. 54* ec. Gli si fa incontro Ar- mida attorniata da' suoi bravi , i quali Rinaldo abbatte 9 o uccide , e di lei non si cura ao. 61 «ec. uccide Solimano 20. io4* ce. Armida essendo fug- gita y e già in atto di darsi la morte , Rinaldo la raggiunge, la distoglie dall' empio proponimento^ e la impegna a cangiar Fede, e costumi 20« 1 17. ec. Hoberto conte di Fiandra è condottiero nell' eser- cito Franco di 1000. tra Fiaminghi, Olandesi, e Tedeschi 1. 43. ec. nel primo assalto è ferito da Clorinda ii. 43. nel secondo assalto è incaricata coli' aluro Roberto da GofiGredo di difendere a ter- go gli assalitori 18. 65. ec. nell' ultimo fatto d'ar- me comanda coli' altro Roberto l'ala sinistra dell' e- sercito Franco 20. 9. è fatto prigioniero da Adrasto comandante degl'Iodiaui 20. 71. Roberto principe di Normandia conduce 1000. uo- mini a cavallo 1. 38. nel primo assalto è gettato a terra da Solimano 11. 81. nel secondo assalto ha commissione di difendere coli' altro Roberto gU assalitori. 18. 65. ec. nell'ultimo &tto d' arme co- manda coli' altro Roberto l'ala sinistra dell' esercito 20. 9. combatte insieme con Goffredo con egual valore 20. 49* riman ferito nel petto, e nel vol- to 2o. 71. Homani: loro milizie a Gerusalemme t. 64* Mosmondo Inglese pregiato avventuriere 1. 55. ai 369 esibisce. a battersi con Argante ^» 67. è ucciso da Altamoro 20. ^o. Jlossano Turco soldato di Solimano è da Goffredo mutilato di ambe le braccia 9. go. jRosteno altro Turco soldato di Solimano è da Gof* fredo ferito in un fianco g, go. Ruggiero di Balnavilla uno dei più egregj avven* turieri 1 . 54* si esibisce a battersi con Argante 7. 66. fa gagliarda resistenza al medesimo, ma è da lui atterrato 7. 107. ec. nell'ultimo fatto d'ar- me è ucciso da Tisafemo ao. 11 a. l^jBiNo uno dei 5. figli di Latino. V. Latinm. Saladino Arabo è ucciso da Argillano 9. 79. Sarmacante regno orientale , ed alleato all' Egit- to 1-. 37. Scozia: suo guerriero a Gerusalemme 7. 67. Scudo ampissimo invisibile, sotto del quale l'An- gelo custode ripara Raimondo dai colpi di Ar- gante 7. 82. ec. Seguaci d'Armida: loro detenzione, e liberazione 10. 59. ec. Seir monte presso Tripoli di Palestina 1. 77. . Selino Turco, soldato di Solimano, è ucciso da Goftredo 9. 90. Selua vicina a Gerusalemme da questa si prorvi- dero dapprima i Franchi dì legname da costruzio- ne 3. 74. ec. questa rimase poi per qualche tem- pò posseduta dai demoni i3, a. ec. 14. 14; 18. 10. ec. Senapo re Cristiano di Etiopia, padre di Cforin- da 12. 21. Tom. IL H Sforza LombArdo fratello di Achille ^ e di Palarne* de , e come e»i , illustre ayyenturìere i. 55. Sicilia: sue navi i. 79. Si face condottiere delle truppe dell' Arabia Petrea nelP esercito Egizio 17. aa. Sifanie Indiano eccellente domator di cavalli , uqo della guardia reale del califfo di Egitto 17. 3i. Sigiero scudiere di Goffredo 3. Sa : 11. 53. ec. è ucciso da Argante 11. 80. Sitoè fiumicello di acqua potabile presso Gerusa- lemme i3. 59. Sion monte dentro Gerusalemme : qui con questa nome è sempre indicata Gerusalemme stessa 1. a3. ec. 9. 64-' i3. 1. ec. iS. 93. Sojia madre di Rinaldo 1. 59 : 16. Sj. So/Ironia vergine adulta Cristiana , abitante di Ge- rusalemme^ attribuisce a se stessa il rapimento da una moschea di un' immagine della B. V. ed è con* dannata al fuoco. Olindo occulto di lei amante, per liberar lei , si dichiara per vero reo : son con- dannati ambedue. Clorinda ne ottiene la libera- zione: divengono sposi 5 ma sono esiliati dalla Pale- stina a. 14. ec. Sogno nunzio del cielo ad Arsete la. 36. ec. a Clorinda la. 4o. a Goffredo i4* 3' ec. Soldano è qui per lo più detto Solimano 9. 16. ee. 10. 9. e altrove. Solimano Turco soldano di Nicea ^n Bitinia , pri- ma della conquista che ne fecero i Cristiani , divenne poi condottiere delle masnade Arabe er- ranti 6. io: 9. 3. ec. era antico emolo di Argan- te 6. 13. alla testa dei detti Arabi uccide Sveno prìncipe reale di Danimarca^ che veniva ausiliare a Goffredo, e disfò tutta la di lui annata 8. i4- ^^' aua insegna militare 9. a5. autore della sorpresa 371 aouarna al campo Cristiano, della qnaje il det- taglio occupa tutto il C. 9. è distolto dalla fuga dal mago Ismeno» il quale invisibile lo conduce di notte in Gerusalemme io. 7. ec. nel primo as- salto, difende le mura di Gerusalemme 11. 27. ec« scende con Argante nel campo nemico, ed uccide molti Cristiani 11. 6a ec. in occasione della sortita notturna di Clorinda, e di Argante, rimane in guardia di una porta di Gerusalemme 12. 16 ec. tenta di render vani i colpi lanciati da una torre dagli assalitori 18. go ec. presa la città , fa ricovera* re la guarnigione di essa , ed Aladino 9 nella torre di David: egli si pone in guardia ai capi delie strade : finalmente è costretto esso pure a ritirarsi 19. 39. ec. tenta di rianimare i suoi, sebbene del tutto sconfitti 53. ec. incoraggiato per i soprag- giunti aiuti d'Egitto, di nuovo torna in campo , e si batte da disperato , ma è ucciso da Rinaldo ao. 73. ec. Soria : vasta regione dell' Asia , della quale è una dipendenza la Palestina: sue truppe nell'esercito Egizio 17. 35. Sorpresa notturna fatta da Solimano al campo Cri- stiano. Occupa tutto il canto 9. Squadra immortale perchè fosse detta la guardia reale del califfo di Egitto 19. 122. ec. nell' ultimo fatto d'arme si dà alla fuga 20. 109. Stefano conte di Blesse ( Blois) , d' Ambuosa ( Am- boise) e di Toui's,sua truppa 1. 62. si esibisce a battersi con Argante 7. 66. muore ferito da Go- rinda 11. 4^* Stefano conte di Carnuti ( Cartres ). Suo senno • e valore: suo squadrone 1. 4o. Stuolo regio, cioè la guardia reale del Califfo d' Egitto è postato nelP ala destra dell' esercito Egizio 20. 23. si dà alla fuga ao. 109. V. Indiani y e Squm* drà immortale. Supplicazione pia preAiessa al primo assalto 1 1. 5. ec. Sveno piincipe reale di Danimarca era in viaggia per la Grecia con poderoso esercito ausiliare, quan- do Goffredo mandò un suo fido ad accelerarne la Tenuta 1. 68i era già \idno alla Palestina, quando il suo esercito fu sorpreso di uotte, e {ntleràmente disfatto , dalle masnade Arabe er- ranti , ed egli ucciso da Solimano condotdere di essi Arabi 8. 6. ec. circa le circostanze , e conse- guenze della di lui mokte , e sepoltura V. Carta. t ANcnEDi valoroso prìncipe ( di origine Norman- no ^ ma nativo della Puglia ) sensibilissimo per l'amore, e spasimato amante di Clorinda i« 9: 1. 45. ec. condottiere di una squadra di cavalleria della Campania 1. 49* eguale in valor militare a Goffredo 3. 69. amato alla follia da Erminia 3. 18. ec. nei primi anni di questa spedizione egli aveva conquistala la Cilicia , ma dovè cederla alla prepotenza di Baldovino 5. 4B • 8. 64* appena giunto l' esercito Cristiano sotto Gerusalemme , libera i predatori Cristiani da un attacco dei Sa- raceni di Gerusalemme 3. 16. ec. si batte , senza conoscerla , coli* amata Clorinda : conosciutala , le scuopre il suo sfmore , ed impedisce che ella sia offesa dai Franchi 3. ai. ec. fa quanto può per iscusare presso Goffredo Rinaldo reo dell' uccisione dì Gernnndo 5. 3b. ec. ciò non riuscitogli , va a trovare l'amico Rinaldo; gli fa varie amorevoli am- monizioni , e lo induce a ritii*ar$i dal campo 5. ^o. ec. è credulo il più valente a sostenere il duello 37-3 proposto da Argante. Accetta queSt' impegno ; ma mll' iacammioarsi verso Temolo , alla vista di Clo- rinda intic'pìditosi in lui I' aldor gueitiero , suben- tra per iva nel conflitto Ottone , il quale fatto prigioniero , e barbaramente trattato dal vincitore , accorre Tancredi a far le di lui vendette , e ferì* sce gravemente il nemico , ma ferito egli puf e , ed avvicinatasi la notte , vien sospeso dagli araldi questo abbattimento 6. ^4. ec. Erminia travestita cogli abiti militari di Clorinda avendo tentato di recarsi a cavallo di notte alla tenda di Tancredi per medicarlo 9 e scoprirgli il suo amore, è tenu- ta addietro , ed inseguita da un cavalier Franco , cha la crede Clorinda. Ciò saputosi da Tancredi , accorre egli a cavallo per difender questa donna da lui pur creduta Clorinda , ma inoltratosi troppo si trova air ingresso de) Castello incantato di Armida, ove , non ostanti le vigorose sue resistente , rimana prigioniero di quella maga 6. 55. ec. 7. 22. ec. 10 58. ec. Nel primo assalto dato a Gerusalemme essen^ do Goffredo rimasto ferito , e ritiratosi , Tancredi col suo coraggio e valore, mantren vivo 1' ardore della pugna 11. 67. ec. si batte per la seconda volta coir amata Clorinda travestita. Il dettaglio di questo abbattimento , e delle conseguenze di esso occupa tutto il C. 12. V. Clorinda, ftrende l'im- pegno di liberare la selva posseduta dai Demonj^ ma per artificio dei Demonj stessi è costretto a desiste- re dall'impresa i3. Sa. ec. si batte di nuovo con Ar- gante , e lo uccide: gli fa dare onorevol sepoltura , ma rimasto egli stesso gravemente offeso dalle fe* rite è tro^'ato in tale stato , e quindi curato da Er- minia 19. 1. ec. Neir ultimo fatto d'arme, ben- ché non peranche ben ristabilito dal detto languore 374 prende le armi , e rinTigorisce i suoi abbattati 20, 83. ee. Tedeschi: loro truppe 1. 4^* ^c* Tif;rafte Saraceno di Gerusalemme è ucciso da Du- doDC 3. 43» Tigrane Indiano , uno delle guardie Reali del Califfo d'Egitto 17. 3o. Tirreno è qui detto anche quella parte del Mare Me* diterraneo , che bagna il lido Napolitano 1. 49* Tisa/erno valorosissimo Indiano , uno della guardia Reale del Califfo d'Egitto 17. 3i. entra in com- petenza con Adrasto per vendicare Armida 17. 5o. ec. 19. 68. ec. Occupa colle sue truppe l' ida de- stra dell' esercito Egizio 20. a3. & molta Arage di Cristiani ao. 49* battutosi oon Rinaldo è da lui mortalmente ferito 20. 111. ec. Tolosano V. Raimondo Tortosa : 1' ultima delle Piazze prese dai Cristiani ìr Sona prima di passare a Gerusalemme i. 6.ec. Toscano guerriero a GerusaK 1. 55. V. ObÌ2io. Traci chiama il PoeU i Turchi di Costantinopoli de' suoi tempi , essendo questa città situata in quella regione, che Tracia anticamente nomavasi 1. 5. Tripoli di Barberia : sne truppe 17. 19. Tripoli di Soria : suo re : conclusioDe di pace di es- so con Goffredo 1 • 76 : 10. 47* Tronto : fiume della Marca d' Ancona. V. ArgiUano. Turchi antichi sudditi , e soldati di Solimano , uni- tisi poi a militar sotto di lui cogli Arabi erranti 1. 26 : 9. 89. Turs ( Toura ) Città in Fr. capitale del Turenese : sue truppe a Gerusalemme i. 62. 375 U U BALDO pregiato avrenturierc i. 55. Suoi pregi, e sua amicisia con Guelfo i^. 27. ec. è uno dei due deputati a ricondur Rinaldo Ivi. Qual parte egli avesse nelP eseguire questa commissione ve- dasi nel rimanente del Canto i4. e nei Canti i5. 16. 17. Vgone fratello del re di Francia , e condottiere delle truppe particolari di quel re, prevenuto dalla morte non potè aver parte in questa spedizione 1. 87. ap- parso in sogno a Goffredo lo consiglia a richia- mar Rinaldo i4* 5* ec. Urbano JL Papa intima questa Crociata nel Con- cilio di Clermont 11. 23. f^ AFniNO : in occasione della conquista di Antio- chia fatta dalle armi Franche divienne schiavo, e dipoi scudiere di Tancredi : fu poi mandato da Gof- fredo a spiare incognito le forze, e le mire dell' esercito , e dei duci Egizj accampati presso Gaza 18. 57. ec. Era nativo delle vicinanze di Di- serta in Africa figlio di un tal Lesbino , e da bam- bino nomavasi Almazzorre 19 81. sua avvedutez- za e diligenza , nelP eseguire la detta commissio- ne 19. 56. ec. Trova all'armata Egizia Erminia : è da lei aiutato nel suo spionaggio , e le promet- te di ricondurla a Tancredi , come fa. Scuopre una congiura ostile determinatamente contro la persona di Goffredo , e le trame di Armida contro Rinal- do. Egli , ed Erminia , marciano a Gerusalemme colP armata Egizia^ ma deviati alquanto trovano presso Gerusalemme Tancredi giacente per terra ec. 376 V. Erminia. Espone a Goffredo , e ai prioii duci CrìBlìaoi , il resttltato della sua commiasioae ig. . 1 10. ec. fino alla fine del Canto. f^eneziani : loro navi 1. 79. f^escoyi militanti 1. 38. f^incilao avventuriere ^ uomo vecchio e* savio j I ma predominato dall' amore : fu il terzo estratto per seguace di Armida $• 73* jtjoìftKQ Peniano ucciso da Gildtppe ao. 33. Zumata regno in Africa : suo re e sue truppe »ell' esercito Egidio 17. 19. FIRENZE 9ÀI TORCm Dt GIOVANNI MàOHERI Teraainato di mampare ilao Dicembre i8i8. I 1 f